domenica 30 marzo 2014

LA TRAVIATA 25/3/2014

Locandina dello spettacolo

Se l'opera si fosse intitolata "Giorgio Germont" avrei potuto parlarne come di un grande successo vista la bravura del relativo cantante, ma purtroppo si chiama "La Traviata" e, durante la recita cui ho assistito, le cose non sono andate proprio bene per i due protagonisti.... Parliamo di una produzione andata in scena alla Fondazione Lirica Giuseppe Verdi di Trieste martedì 25 marzo 2014. Sono andato a cercare altre recensioni dello spettacolo per capire se il mio era un abbaglio o meno....credo che per Jessica Nuccio quella di martedì sia stata una brutta serata, mentre per il tenore un problema che si ripete.

Ma parliamo prima dell'allestimento: meraviglioso! Veramente.
Ora capisco perché questa cosiddetta "Traviata degli specchi" continua a girare, immortale! La suggestione che si crea a partire da quando, durante il preludio, assistiamo alla salita di quella specie di coperchio, che poi scopriremo essere rivestito internamente di specchio, apre un mondo dentro di noi e davanti ai nostri occhi.
Si, perché quello che Josef Svoboda è riuscito a creare è veramente magico: attraverso i suoi famosi giochi di luce, l'uso della tecnologia, con scenografie ridotte all'essenziale, ma ricche di tutta la sua poesia interiore, trasporta gli artisti di questa Traviata in luoghi,  suggestioni altrimenti impossibili da realizzare. Come immergerli in un campo di margherite nella prima scena del secondo atto, che scopriamo centimetro dopo centimetro, mentre la casa di campagna di Violetta viene "risucchiata" nell'angolo tra lo specchio e il palcoscenico sui quali vengono srotolati i fondali che vediamo riflessi. Oppure quando vediamo i protagonisti inglobati tra una serie di foto d'epoca...fantastico, veramente!
Meno interessanti i costumi di Giancarlo Colis, spesso ingoffanti e incapaci di suggestionare.
La regia di Henning Brockhaus si salva per la potenza dell'allestimento scenico: siamo talmente presi dalle nostre immagini personali che notiamo meno il poco che il regista ci propone. Quando lo propone. C'è da dire, a sua discolpa, che allestire una Traviata con una settimana, anche se è uno spettacolo già andato in scena, è opera titanica e improba....brutti i tempi moderni di ristrettezze economiche che uccidono la possibilità di sperimentare, provare, osare, anche nei templi della lirica...
Un pensiero: Violetta che entra e si toglie le scarpe per affrontare "E' strano" lasciamolo al ricordo e alla genialità interpretativa della Callas...
Secondo pensiero: una volta "Coreografie di" prevedeva che ci fossero delle coreografie create da qualcuno e non che ci fosse della sola e pura improvvisazione che è facilmente riconoscibile come tale...mi sono perso qualcosa?

Venendo alla musica, è stata una serata difficile.
Jessica Nuccio è stata una Violetta poco credibile: perfetta per l'età reale, ma troppo acerba interpretativamente. Vocalmente ha iniziato male, molto male, anche se è andata migliorando fino ad un buon III atto, in cui la voce piccola e chiara bene si adatta alla moribonda Violetta. Negli altri atti la voluttà era poco visibile, così come la determinazione e la dimistichezza con il palcoscenico.
L'Alfredo di Merunas Vitulskis è stato parimenti: impacciato scenicamente e neutro vocalmente. Ha cantato quasi tutto bene, ma senza anima e con un timbro poco interessante.
Su di loro svettava il Germont padre di Vitaly Bilyy: saldo, antipatico come deve, vocalmente sicuro e con un bel timbro scuro, perfetto per essere bacchettone e moralista come richiede il personaggio.
Ho notato come Gianluigi Gelmetti si impegni maggiormente nei confronti dei cantanti che sfoggiano tecnica e voglia di "giocare" con lui: li sostiene, li aiuta, trattiene l'orchestra e sottolinea i punti di forza. Al contrario, nei momenti in cui tenore e soprano si sono persi addirittura attacchi o frasi, sembra voler correr via, far finta di niente, limitandosi ad uno sguardo di disappunto misto a delusione.
Gestisce benissimo l'Orchestra triestina che, come il Coro, conosce ormai a menadito il capolavoro verdiano. Meno interessante la resa scenica del Coro, forse a causa delle poche prove come detto prima: poco partecipe, molto statico...un tuffo nel passato! Peccato.

Teatro stracolmo; agli applausi qualche dissenso nei confronti dei due già citati e cori di "Bravo" a Bilyy: il pubblico triestino non è sordo! ;-)



venerdì 28 marzo 2014

CERCASI CENERENTOLA 28/03/2014


Locandina dello spettacolo

Frizzante, brillante, accattivante, sognante...italianissimo! Cosi penso di poter riassumere questo "Cercasi Cenerentola" prodotto dalla Compagnia della Rancia, ospitato fino a domenica pomeriggio al Politeama Rossetti di Trieste.

Insomma, a me questo spettacolo nella sua freschezza, nella sua semplicita, è piaciuto tanto. Dicevo italianissimo perche, al contrario di tanti remake, riallestimenti, revival, è nato e cresciuto tutto nel nostro paese, grazie all'enorme esperienza di Saverio Marconi, attore e poi deus-ex-machina della Compagnia della Rancia, prima realtà a credere ed investire nel musical (eccezion facendo per il Teatro Sistina che però produce commedie musicali), nonché produttore dei primi esperimenti made in Italy.
Lo assiste Stefano D'Orazio uno dei componenti dei Pooh, ma anche autore di alcuni musical italiani di grande successo, che si occupa anche delle liriche mentre le canzoncine e le musichette di grande orecchiabilità, pensate e realizzate con grande maestria e notevole inventiva, sono opera di Stefano Cenci, al quale riconosciamo il merito di citare, non di scopiazzare innumerevoli melodie e canzoni arcinote. Fantasiose le scene di Gabriele Moreschi, bellissimo l'effetto trasformazione di Cenerentola grazie ai costumi di Carla Accoramboni, splendido disegno luci di Valerio Tiberi, ottimo il disegno fonico di Emanuele Carlucci e divertentissime le coreografie di Gillian Bruce.

Inutile raccontarvi la storia di Cenerentola, un mito immortale che stravince in qualunque allestimento e proposta, anche se in questo spettacolo l'accento è più centrato sul principe.

Gran parte del successo i creatori lo devono alla coppia di protagonisti (STREPITOSI!) composta da Paolo Ruffini e Manuel Frattini, gloria televisiva il primo e stella del musical italiano, fenomeno del tip tap e gradevolissima voce il secondo. Al pari delle grandi coppie di comico e spalla, tengono insieme dei siparietti che attingono all'avanspettacolo italiano e si evolvono fino all'odierno cabaret televisivo, facendo la felicità del pubblico televisivo accorso a teatro: ma evitando snobismi di qualunque tipo a loro ho dedicato gli aggettivi frizzanti, brillanti e aggiungo spumeggianti! Un vero piacere ascoltarli, anche a fine giornata, per farsi quattro sane risate e rilassarsi!


Anche il versante femminile è adeguato e piacevole: la dolcissima Cenerentola di Beatrice Baldaccini; la matrigna romanaccia e scollacciata di Laura  Di Mauro, strepitosa nell'utilizzo di un lessico sempre sbagliato; le sorellastre dalla pronuncia difettosa Silvia Di Stefano e Roberta Miolla; la Fata buona Claudia Campolongo, degna della Smemorina di Disney.
Citiamo ancora i quattro componenti del cast che interpretano vari ruoli che sono Silvia Contenti, Luca Spadaro, Rossella Contu con un plauso in più per il triestino Gianluca Sticotti che vediamo crescere sempre più sui palcoscenici italiani, in tante produzioni di musical: bravo!

Come sempre più spesso accade, anche in questo spettacolo qualche ignaro spettatore diventa protagonista e alla prima di venerdì 28 marzo 2014 scopriamo che, tra le pretendenti del Principe possiamo annoverare la signora Giannella che, se non ha mai fatto teatro prima in vita sua, dovrebbe pensarci tale è la sua spontaneità e l'abilità nel gestire i tempi teatrali.

La platea è straripante di giovanissimi spettatori che, stranamente, tacciono e seguono appassionati lo spettacolo, anche se sono pronti a reagire alle battute, spesso a doppio senso, lanciate dai protagonisti: è sempre bello vedere tanti giovani a teatro e sperare che in futuro continueranno ad andarci, per puro piacere, senza "obblighi" scolastici.

Bella serata, grazie ragazzi: Amici lettori, se avete voglia di farvi quattro risate e di rilassarvi correte: avete tempo fino a questa domenica!

giovedì 20 marzo 2014

CATS 19 marzo 2014

Locandina dello spettacolo


Sono felice che il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia abbia raggiunto una sequela di "Sold Out" per questa riproposta di Cats! Veramente molto felice che, in tempi bui come questi, le persone escano ancora di casa per andare a teatro e i programmatori riescano a far approdare operazioni economicamente rischiose. Grazie all'aiuto della Fondazione CRTrieste che ha generosamente reso possibile questo evento!

Purtroppo però, con il teatro così pieno, i posti a disposizione per noi blogger sono stati veramente sfortunati: stavolta sarò in grado di riferirvi solo di quello che ho sentito visto che ero seduto in un posto dal quale intravvedevo solo il proscenio destro.


Il livello del sound design, supervisionato da Graham Hurman e da Greg Pink, era veramente all'altezza della fama dei britannici! Perfetto, delicato, ma presente: non una sbavatura, non un fruscio....ma come fanno?

Ineccepibile anche l'orchestra che ha suonato tutta la partitura dal vivo.

Passando alle voci mi è parso un cast veramente interessante: bravi dal primo all'ultimo, anche se da Grizabella/Joanna Ampil mi aspettavo una versione meno Elaine Page della conosciutissima Memory. Onore e gloria al nostro Filippo Strocchi, orgoglio tutto italiano e perfettamente inserito nel cast anglo sassone di questa produzione da tournée. Come sempre sarebbero da citare e lodare uno ad uno, ma è più semplice che andiate a leggere la locandina che allego, sapendo che sono uno più bravo dell'altro!

Molto di più non posso dire: se trovate ancora biglietti, andate a vederlo! Deve essere bellissimo...

mercoledì 12 marzo 2014

UNA 7/3/2014

Locandina dello spettacolo

Piccola incursione nel mondo della prosa: non me ne vogliano i miei lettori "musicali"! Chiedo scusa anche agli esperti teatrali per le baggianate che potrò produrre e che vi troverete a leggere...

Inizio col dire che trovo la Sala Bartoli del Politeama Rossetti di Trieste un luogo meraviglioso, specialmente per spettacoli che, come questo, sarebbero spaesati e fuori luogo nella sala grande: intima e raccolta, mostra il sudore così come il respiro dell'attore...bellissimo!

Proseguo col dire che Maria Grazia Plos, la Una del titolo, deve essere molto grata alla regia di Marco Casazza che le disegna addosso un One Woman Show veramente strepitoso. E Casazza deve essere molto grato al testo che Enrico Luttmann gli affida, così perfettamente teatrale e minuziosamente cesellato che si sarà risparmiato la fatica di renderlo rappresentabile. E Luttmann dovrà essere grato agli altri due per aver inscenato la sua creatura di carta, credo, proprio come l'aveva partorita la sua fantasia.
Riassumerai dicendo che è bello partecipare ad un processo creativo con persone che si stimano e concorrono alla realizzazione di un progetto comune, volto ad esaltare le singole qualità per accrescerle al valore di un bene comune.

Questo traspare durante tutto lo spettacolo. Almeno per me.

Maria Grazia Plos disegna una donna qualunque, che qualunque non è, ma che come tante persone che vivono rinchiuse in uno dei tanti palazzi che affollano le nostre periferie, stenta ad affermare la propria personalità ed a trovare interlocutori disposti ad ascoltarla o anche solo a ricordarsi che esiste. Perché di quella certificazione abbiamo tutti bisogno: di sapere che ci siamo non solo per noi, che altri hanno ci desiderano, ci chiamano, ci cercano o che hanno addirittura anche piacere a stare con noi.

Così la povera Una entra in confusione per un'ora della sua vita, dubbiosa com'è all'idea di invitare una coinquilina del condominio per andare al cinema. Aldilà delle solite considerazioni sulla solitudine che affligge molti abitanti metropolitani, è pur vero che siamo sempre meno abituati ai contatti diretti, sempre meno pronti a ricevere un diniego, quasi fosse un disonore insormontabile. Siamo tutti sempre più abituati ad agire dietro la protezione di uno schermo, che sia il pc o un telefonino, fino al punto di entrare in ansia per situazioni che dovrebbero essere solo piacevole socialità. Forse Una poteva ovviare il problema mandando alla vicina un sms...se solo avesse avuto il suo numero! Già, perché è costretta a cercare il suo numero di fisso sull'elenco telefonico, talmente poca è la confidenza tra di loro...non sanno neanche i reciproci nomi; anzi, si sono a malapena scambiate un cenno di saluto sulla terrazza condominiale dove entrambe vanno a stendere i panni. Eppure sembra che parli di una persona amica, preziosa, stimata...come siamo ridotti! Far fantasie su perfetti sconosciuti pur di cancellare un pezzo della solitudine con cui veniamo in contatto nascendo...


Quello che mi è rimasto nella mente a qualche giorno di distanza - ho assistito alla recita di venerdì 7 marzo -  è la bravura della Plos nel saper reggere la scena da sola per un'ora e mezza (aiutata dalla divertente scenografia di Andrea Stanisci: una montagna di indumenti bianchi da stirare che celano varia accessori, dal telefono ad un rifugio segreto, dal ferro da stiro all'elenco del telefono); la leggerezza del testo di Luttmann che, pur indagando un disagio, lo fa con tanta ironia, senza drammi o pesantezze di sorta; la regia di Casazza che riempie di colore, sia con le luci che con i toni espressivi della sua attrice, la tavolozza bianca dei panni da stirare.


A proposito la Plos stira divinamente! Quasi, quasi per le prossime recite, le porto qualche camicia...











giovedì 6 marzo 2014

MADAMA BUTTERFLY 4/3/2014

Locandina dello spettacolo

Classica, straclassica, ma di grande eleganza visiva e di contenuti la Madama Butterfly che la Fondazione Lirica Giuseppe Verdi di Trieste ci offre in questa stagione di grandi riprese per grandi risparmi!
Una versione tradizionale, molto curata, sentita e amata sia dal team creativo che dagli artisti chiamati ad interpretarla. Dalla sua ha la fortuna di essere una ripresa e quindi di aver già passato il rodaggio, di aver migliorato il pensiero e di essere maturata, come il buon vino.

Di tutto ciò dobbiamo rendere gloria al suo regista Giulio Ciabatti e allo scenografo e costumista Pier Paolo Bisleri che firmano questo bellissimo allestimento. Tanto le scene d'assieme che i temibili momenti di assolo sono brillantemente risolti e creano atmosfere delle quali l'occhio e il sentire non si stancano facilmente.
Non da meno - anzi! - è la parte musicale: uno splendido cast, armonizzata dalla bacchetta illuminata di Donato Renzetti e del Maestro del Coro triestino, Paolo Vero.

 Iniziando proprio dalle masse posso dire che l'Orchestra ha suonato questa Butterfly meravigliosamente, come se la suonasse sempre; con maestria e semplicità, con armonia e sapienza: non una delle sezioni orchestrali è sembrata fuori luogo: bravi!
Stesso dicasi del Coro: bene nella breve parte in scena e meravigliosi nei vari momenti dietro le quinte.

L'allestimento è come dicevo prima tradizionale, ma di grande gusto, senza scadere mai nel dejà-vu o nel macchiettistico, spesso un rischio quando si toccano gli stereotipi, i grandi classici: stesso dicasi per gli adeguati ed eleganti costumi firmati, come le scene, da Pier Paolo Bisleri.
La regia di Ciabatti è attenta e preziosa: muove le comparse, giapponesizzate in pochissimo tempo, insegnando loro la soavità del gesto, la cerimonialità, la delicatezza dell'inclinazione del capo con la quale muove la grande parata dei parenti di Buterfly nel primo tempo; così come riesce a trasformare la quindicenne CioCioSan in una belva scatenata o in una timida pecorella; così come inventa, crea personaggi e piccoli dettagli che trascinano nella vicenda anche i recalcitranti non amanti di questa opera pucciniana, come me: bravo Giulio!

Il cast musicale è strepitoso. Amarilli Nizza è una Butterfly epica, direi da manuale: l'ho trovata musicalmente sublime, bel fraseggio, timbro chiaro e volume che gestisce con facilità, dai pianissimi agli acuti più impervi. Interpretativamente racconta un personaggio che conosce bene e lo ha arricchito di molti e gradevoli dettagli: vive, soffre, ama, muore proprio come potrebbe averla sperata Puccini.
Le faccio solo due appunti: l'ho trovata troppo sorridente nel primo atto. E' vero Butterfly emana solarità, freschezza e gioventù, ma per me le giapponesi dell'epoca non sorridevano: si coprivano la bocca con la mano, anche per ovviare al brutto contrasto dei denti giallognoli al confronto della pelle bianca. Il secondo è legata al fatto che doveva rifiutarsi di indossare quella parrucca: bella com'è al naturale, rischia il grottesco... Ma sono proprio due schiocchezze.
Luciano Ganci è un tenore che adoro: come Pinkerton ha tutto lo squillo e la naturalezza negli acuti che il ruolo richiede, oltre ad essere un attore convincente, sia nei momenti drammatici che in quelli più leggeri. ha un bel timbro e voce da regalare con facilità.

 La vera sorpresa della serata è stata per me Chiara Chialli nel ruolo di Suzuki, orientale fin dal gesto più piccolo, nell'inclinazione del capo e del busto, nel saper costruire in scena un personaggio completo e a tutto tondo: veramente completa e bravissima nella recitazione. Musicalmente è anche lei convincente e appropriata: veramente brava!
Adeguato e sicuro lo Sharpless di Filippo Polinelli, la Kate Pinkerton di Silvia Verzier e il Commissario Imperiale di Giuliano Pelizon. Poco convincenti gli altri comprimari .

Bellissima serata, pubblico entusiasta e plaudente, sala stracolma: una gioia per gli occhi e per il cuore!

mercoledì 5 marzo 2014

IL CORSARO 2/3/14

Locandina dello spettacolo

E' una bellissima compagnia quella del Ballet du Capitole di Tolosa che ho visto domenica 2 marzo al Teatro Verdi di Pordenone. Bellissimi ballerini, tecnicamente saldi, agguerriti e ineccepibili (doppie pirouettes en attitude e tante altre prodezze tecniche da manuale), artisticamente presenti e coesi nell'esecuzione della partitura coreografica assegnata.
Inoltre Il Corsaro che hanno presentato ha un bellissimo apparato scenografico e costumistico.
Fantastico.
Perfetto, quindi.
No, mica tanto.
Qualcosa non funziona più di tanto e - ahimè - è proprio la coreografia.

Il Corsaro è un balletto che conosciamo da relativamente poco tempo, dato che per molti anni era scomparso dalle scene ed era rimasto in vita solo il Gran pas de deux visto - e stravisto - in numerosissimi Galà come banco di prova e di esibizione per danzatori di grande virtuosismo. Alla stregua dei grandi titoli di Cajkovskj, ci aspettiamo una sequela di assoli, passi a due, a tre, momenti corali e danza, danza, danza.
 Belarbi invece ci propina 15 minuti di mimica tutti assieme, all'inizio dello spettacolo. Gulp! E' vero che servono a costruire quello che viene dopo, ma diluito o alternato a un po' più di danza forse sarebbe stato più digeribile. Di danza comunque è abbastanza avaro e privilegia di gran lunga i duetti alle scene d'assieme. Se posso essere proprio perfido, direi che privilegia i duetti tristi, mosci e un po' depressi.
Così come la scelta musicale, sicuramente più raffinata dello Zum-pa-pa di Ricardo Drigo, molto spesso incline all'adagio stramelodico, ma sempre poco colorata.

Certo, la lettura che fa di questo Corsaro è molto più fedele alla versione poetica di Lord Byron che alla tradizione ballettistica e giustamente il dramma prevale sul godimento dei ballabili e dell'esibizionismo tecnico, ma...ce n'era proprio bisogno? Non era meglio cercarsi un soggetto originale? Capisco la logica di marketing che rende molto più facile vendere al grande pubblico Il Corsaro che Un tram chiamato desiderio, però...
Inoltre, ho un altro quesito sciocco: Belarbi è maschilista? Agli uomini affida tripudi di tecnica e li fa saltare dall'inizio alla fine; le sue danzatrici invece, sono relegate in ruoli introspettivi, in variazioni senza mordente - tecnicamente rognosissime - ma senza alcuna presa sul pubblico che, guarda caso, si scatena nella prima, e ultima, ovazione della serata proprio dopo la variazione maschile (originale) del Gran pas de deux del secondo atto....Belarbi ci avrà fatto caso? Al suo posto mi sarei sentito malissimo. Anche se è vero che il danzatore che l'ha interpretata, Davit Galstyan, il pubblico l'avrebbe amato lo stesso tanto è bravo.
Ma perché mantenere proprio, solo, quell'unica variazione e non tutto il passo a due, per esempio? La coreografia del passo a due è bruttina...mah?
Devo però riconoscere a Belarbi un gran mestiere, la bravura nel saper muovere le masse, una grande fantasia a livello di passi e una musicalità sopraffina: è solo l'operazione in sé che non mi convince...

Tornando al bellissimo allestimento, qualche struttura architettonica trasparente a suggerire un ambiente piuttosto che un altro, un paio di elementi che richiamano una dormeuse, poi un paravento, sono dovuti all'elegante visione della scenografa Sylvie Olivé. Meravigliosi, elegantissimi, con colori inusuali e raffinatissimi i costumi di Olivier Bériot che ci trasportano in un Oriente concreto e al contempo onirico.

Passando alla danza Julie Charlet nel ruolo della Bella Schiava è stata precisa, ineccepibile, presente, con uno splendida capacità di legato e di controllo, abilissima nel riprendersi da un doppio fouetté en tournant che ha finito in mezza punta per poi ripartire con altri 16 singoli: brava!
Splendidi i Dervisci e les Almées del secondo atto, così come la danza dei Corsari del terzo: strano che Belarbi insista tanto sui duetti quando le scene d'assieme gli riescono così bene... Nuovamente devo tessere le lodi di questa Compagnia per l'energia con la quale danza, l'afflato e la generosità.
Perfida Juliette Thélin nel ruolo della Favorita e brillante saltatore Demian Vargas, il Sosio del Corsaro. Affascinante, cattivo e ottimo danzatore il Sultano di Takafumi Watanabe.
Lascio appositamente in fondo il protagonista, Davit Galstyan, il Corsaro. Forse proprio "Il Corsaro" nel senso che raramente ho visto altri danzatori che sappiano unire la felina attitudine al salto alla potenza, il languore sentimentale alla presenza così virile, l'espressività alla tecnica: veramente un danzatore di grande levatura, completo, preciso e carismatico. Bravo!





sabato 8 febbraio 2014

JE SUIS ELEONORA ABBAGNATO 8/2/2014

Locandina dello spettacolo

Mannaggia: ce l'ha fatta a conquistarmi!
Nonostante fossi partito prevenuto, totalmente prevenuto nei confronti di questa nostra stella all'estero, mi sono dovuto ricredere....che fastidio!
Bellissima ballerina, del tipo che proprio mi piace: non troppo dotata per la danza classica (non un tipo alla Zakharova o alla Guillem per intenderci, con chili di collo del piede ed estensioni infinite), ma lavorata, intelligentemente lavorata; un grande charme e appeal...si, è proprio una Prima Ballerina, anzi un Etoile de l'Operà de Paris. Complimenti Madame Abbagnato, chapeau!
Assieme a lei, colleghi di grande qualità e una interessante scaletta di coreografie hanno fatto di questa serata il momento di danza più alto di questa stagione teatrale del Politeama Rossetti di Trieste.

 Un teatro pieno, esaurito anche nei posti a visibilità limitata, ha applaudito con sapienza e generosità la Abbagnato e i suoi colleghi, consci di aver vissuto una serata magica. Non c'è molto da dire: quando la qualità è alta, anche lo spettatore più ignorante se ne rende conto.

La serata è impostata come un Galà, una serie di pezzi di bravura con i quali i protagonisti si esibiscono nei propri cavalli di battaglia. Ma bisogna dire che quando, come in questo caso, sono coordinati da Daniele Cipriani, si può stare certi che non si assisterà solo ad una serie di passi a due da Il Corsaro o dal Don Chisciotte: Cipriani richiede una programmazione diversa, alternativa, ed è un grande pregio perché in cittadine più provinciali come la nostra, un certo repertorio di danza è tutt'altro che frequentato.

Ecco quindi brani d'epoca (troppo d'epoca, in verità) di Roland Petit e di Maurice Bejart, nuove coreografie e capolavori del contemporaneo a firma di Forsythe o Preljocaj e un neoclassico di Jerome Robbins.

La serata inizia con la protagonista del Galà che si cimenta in un duetto, francamente dimenticabile, di Roland Petit: Les Rendez vous dove, secondo i cliché esistenzialisti francesi dell'epoca, una donna/mantide uccide il suo amante alla fine del duetto. Coreograficamente molto datato, seppur danzato sui tacchi, mette immediatamente in risalto l'allure dell'Abbagnato: alta, regale, longilinea, una vera star. E' accompagnata da un Benjamin Pech poco trascinante, ma partner solido e non troppo ingombrante.
Segue il solito In the middle somewhat elevated che, dopo essere stato portato in giro per il mondo da Sylvie Guillem e Laurent Hilaire o Manuel Legris, è sempre poco credibile danzato da chiunque altro. Nonostante la bravura e la precisione sia Alice Renavand che Alexandre Gasse restano un ricordo nebbioso.
Tutt'altro tiro per Nicolas Le Riche coreografo, e interprete assieme a Clairemarie Osta, del bellissimo duetto Odyssée: fluido, elegante, originale, con una bella struttura compositiva e delle belle idee coreografiche, indica Le Riche come un coreografo interessante e da seguire.
L'assolo da Sept Danses greques di Maurice Bejart nulla porta e nulla toglie alla serata, se non il mostrarci il bellissimo fisico di Gasse, apollineo, statuario, ma che per colpa dei pantaloni a zampa di elefante sembra meno preciso di quanto invece lo è tecnicamente.
Il terzo passo a due da Le Parc di Angelin Preljocaj è molto più bello quando è inserito nel contesto dell'intero balletto, ma resta interessante e riesce a strappare un applauso a scena aperta quando la Renavand appesa al collo di Pech volteggia a velocità sempre più vorticosa: a parte ciò resta un brano di grande sensualità, dolcezza ed eleganza.
Chiude il primo tempo il duetto da Carmen di Roland Petit con Abbagnato e Le Riche strepitosi: lui con la maschia presenza, lei nella civettuola seduttrice. Veramente perfetti e grandiosi.

Tutto il secondo tempo è dedicato a In the night di Jerome Robbins che, anche grazie alla bellissima musica di Frédérick Chopin suonata al pianoforte con grande attenzione ai danzatori da Enrica Ruggero, crea un'atmosfera rarefatta e di grande eleganza. Tre storie d'amore si intrecciano in altrettanti duetti.
Su tutte vince nuovamente la coppia Abbagnato/Le Riche: belli, appassionati e affiatati come solo certe grandi coppie di danzatori che danzano spesso assieme sanno essere. Segue la bella rivelazione di
 Alessandra Amato e Damiano Mongelli, primi ballerini del Teatro dell'Opera di Roma, perfettamente a loro agio e al livello dei colleghi francesi: lei solida e dalle belle linee; lui serio, ma preciso e affidabile. Meno convincenti la Osta e Pech.

In the night resta una coreografia poco comprensibile, poco accattivante, insidiosa in molti passaggi, ma viene affrontata con grande maestria dai 6 danzatori che sciorinano tutto il loro sapere, il loro mestiere per uscirne vincenti e regalarci un ultimo momento di sogno e di altissimo livello tecnico e artistico.

Grazie, tornate presto!