domenica 29 dicembre 2024

IL LAGO DEI CIGNI domenica 22 dicembre 2024

Locandina dello spettacolo 

HO ASSISTITO AD UN MIRACOLO!!

Dopo aver visto morire il corpo di ballo dell'Arena di Verona nel 2017, oggi ho assistito ad una replica de Il lago dei cigni che sembrava portato in scena da una compagnia che lo danza regolarmente! Mi spiego meglio. Mettere in scena alcuni titoli del repertorio del balletto classico - in particolare quelli con gli atti bianchi, come Lago dei cigni, Bayadere, Giselle, Don Chisciotte, ecc. - prevede che la compagnia li rappresenti frequentemente, affinché il lavoro di assieme di gambe e braccia sia unisono e con uno stile unico per tutti. Questo è difficile, se non impossibile, per quelle compagnie che vedono tra le loro fila danzatori e danzatrici che danzano poco frequentemente assieme o che hanno tipologie fisiche disparate. Per cui, scoprire che il coordinatore del ballo dell'Arena di Verona, Gaetano Petrosino supportato dalla maître de ballet Elisabetta Candido, sia riuscito in meno di due mesi di prova a mettere in scena uno spettacolo di indiscutibile qualità, non può che essere la dimostrazione che i miracoli esistono e che Petrosino conosce veramente bene il suo mestiere!

Detto ciò non posso che sperare che il Sovrintendente dell'Arena, Cecilia Gasdia, prenda atto del risultato raggiunto, del sold out dei posti a sedere per tutte le repliche, della ridda di applausi e delle ovazioni del pubblico e che tutto ciò la convinca ad investire maggiormente e perennemente su questo settore che è indubbiamente più vivo di quello dell'opera!

Venendo allo spettacolo, la versione scelta per portare in scena il capolavoro di Čajkovskij, non è delle più interessanti, anzi. Evgenij Polyakov è stato un ottimo maestro e direttore di compagnia ma a giudicare da quanto visto, non un coreografo altrettanto interessante. Questa sua rilettura del classico creato da Marius Petipa e Lev Ivanov - che non vengono neanche citati sul programma di sala e di cui il nostro invece saccheggia il secondo atto e il passo a due del cigno nero - non porta nulla di nuovo, rende ancora più oscura la mimica e confonde la trama con l'introduzione di un Rothbart che sembra più il fidanzato del Principe Sigfried che il deus ex machina della vicenda. La musica viene ripetutamente maltrattata con inversione dei numeri e tagli brutali rispetto a quanto siamo abituati ad ascoltare e vedere (senza dimenticare però che l'ordine originale è ancora frutto di studi e ricerche). Il primo atto è quello più interessante, anche grazie all'utilizzo massiccio dei danzatori del corpo di ballo che, in calzamaglia bianca e giubba rossa, danno una bella dimostrazione di lavoro affiatato e di qualità, aspetto non sempre scontato nel comparto maschile. Segue il passo a tre con variazioni inusuali e un assolo per Rothbart, molto ben danzato da Alessandro Macario e dagli altri solisti, per poi chiudere con la coda e un duetto per Sigfried e Rothbart che inizia a complicare la situazione, dimenticando di narrare i tormenti di Sigfried, creati dalla madre che lo vuole sposato il prima possibile, ed il suo andare a caccia per svagarsi un po'. Dopo l'intervallo, il secondo atto inizia senza il brano usuale che segna l'ingresso del Principe con la balestra, regalatagli dalla Regina per il compleanno che si festeggia durante il primo atto, saltando direttamente all'ingresso di Odette: un po' troppo affrettato diciamocelo e si ripeterà in diversi altri momenti. Il terzo atto, nonostante la vasta conoscenza delle danze di carattere di Polyakov che deve averle studiate fino allo stremo durante gli anni di formazione nel blocco sovietico, risulta confuso, pasticciato e machiavellico. Ecco, direi che questo potrebbe sintetizzare lo stile del coreografo in questa produzione.


Le scene di Michele Olcese sono eleganti e suntuose, riprendendo la tradizione ballettistica dei fondali dipinti al posto delle costruzioni: funzionano egregiamente, grazie anche alla maestria artigianale di Paolino Libralato che le ha dipinte. A mio modesto parere, quello del secondo e quarto atto è tra i più belli che io abbia potuto ammirare. Ancora più eleganti e ancora più suntuosi i costumi di Francesco Morabito, ben illuminati dal disegno luci di Vinicio Cheli. L'Orchestra della Fondazione Arena di Verona suona con passione e diligenza, mettendo in risalto il valore dei propri solisti che nella partitura Čajkovskijana hanno modo di brillare e di divertirsi, guidati con eleganza, e un occhio attento alle chiusure dei danzatori, da Vello Pähn.



Venendo alla bella danza di cui abbiamo potuto godere, gran parte la dobbiamo al Principe per definizione: aitante, bello, elegante proprio come l'immaginario comune ha sempre descritto i principi...tutto questo è Timofej Andrijashenko, primo ballerino del Teatro alla Scala di Milano. Così come la partner, e moglie, Nicoletta Manni che si rivela un'ottima Odette e un'eccellente Odile: tecnicamente forte, con linee interessanti e saldi sostenuti. Come già anticipato, Alessandro Macario ha dato splendida vita ad un Rothbart finalmente danzante ma non costruito con lo stesso spessore di quello, per esempio, della versione di Rudolf Nureyev, tra l'altro grande amico in vita di Polyakov. L'elenco dei solisti è lunghissimo e mi spiace che non li riporti neanche il sito della Fondazione perché sono tutti meritevoli di plauso e lode!

Insomma, un successo inequivocabile su tutti i fronti!







domenica 22 dicembre 2024

GIULIETTA E ROMEO sabato 21 dicembre 2024

Locandina dello spettacolo 

Due i sottotitoli: 

- 35 anni e non dimostrarli; 

- per fortuna che la compagnia del Balletto di Roma ci rappresenta in importanti tournée all'estero.

Non avevo ancora mai visto il Giulietta e Romeo di Fabrizio Monteverde, nonostante ne avessi seguito molto da vicino la genesi nel 1989, e ora me ne dispiaccio non poco. Vedere uno spettacolo di danza contemporanea italiana che regge così bene il peso del tempo ha del miracoloso e non oso immaginare la potente bellezza che deve aver sprigionato al debutto. Fabrizio, ha avuto una carriera molto interessante sia grazie alle sue origini attoriali che hanno permeato la sua danza di potente espressività, che per aver potuto creare nella fase dell'ascesi del glorioso Balletto di Toscana negli anni migliori. Questo Giulietta e Romeo resta efficace, come scrivevo prima, nonostante i 35 anni che lo separano dal debutto per il segno contemporaneo che tale è rimasto, per un'asciutta eleganza stilistica e narrativa e per il vigore che Monteverde è riuscito ad infondere ancora e ancora nei vari cast che lo hanno interpretato. L'impianto scenico, firmato sempre dal nostro, è essenziale quanto presente, altero, ingombrante e funzionale, stagliandosi sul fondale col suo essere muro, scala, tomba e anche luogo di morte. Ben si sposa con i costumi ugualmente essenziali ma significativi, firmati da Eve Kohler, e magnificamente illuminati dal disegno luci di Emanuele De Maria.

Monteverde rimaneggia la vicenda, dichiarando di ispirarsi liberamente alla tragedia di William Shakespeare, condensandone la storia, eliminando alcuni personaggi meno rilevanti e puntando sulla gioventù, sulla borghesia dominata e organizzata dal matriarcato, sulle rotture di schemi e convenzioni, senza dimenticare quello che più colpisce e commuove da sempre di questa vicenda: la felicità eterna sfumata, l'amore irrealizzato e il dolore per tutto ciò. Usa la partitura di Sergej Prokofiev che ha la (s)fortuna di raccontare tanto, forse tutto, da sola e se qualche momento è meno toccante, meno riuscito (il passo a due del balcone per esempio), altri come la scena finale nella tomba sono magistrali. Il linguaggio coreografico usato da Fabrizio è incontrovertibilmente connotato dalla sua cifra stilistica, molto gestuale, volutamente finanche fastidiosamente frammentato, farcito di giri e pirouettes  fino al giramento di testa per chi vede (e forse anche per chi esegue) ma senza ombra di dubbio accattivante e fortemente narrativo.


Venendo agli interpreti, la Giulietta di Azzurra Schena è giovane ma esperta, forte ma delicata, presente ma evanescente, un vero gioiello se non fosse per le linee degli arti inferiori che la penalizzano, soprattutto in punta; il Romeo di Paolo Barbonaglia è talmente perfetto da non aver bisogno di aggiungere altro: bellezza, tecnica, presenza, tutto. Lo stesso dicasi per il Tebaldo danzato da Alessio Di Traglia e il Mercuzio di Francesco Moro dai quali non si riesce a staccare lo sguardo. Ma, a dire il vero, tutta la compagnia è omogenea, compatta, unisona al punto da non poter notare una sola sbavatura e per questo sono lieto che giri anche all'estero e che possa tenere alto il nome della danza italiana, cosa che compagnia più blasonate non riescono più a fare.

Teatro pieno, molti applausi e gradimento alto per l'unico titolo di danza nel cartellone degli spettacoli in abbonamento: speriamo che la direzione artistica del Teatro Comunale di Monfalcone Marilena Bonezzi punti su qualche altro titolo, visto il successo della serata!

domenica 1 dicembre 2024

DON CHISCIOTTE sabato 30 novembre 2024

Locandina dello spettacolo 

Abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di vedere in scena due veri primi ballerini, anche se in due diversi momenti delle rispettive carriere: la consolidata, indiscutibile e impeccabile Iana Salenko, affiancata da un acerbo ma sicuro astro nascente di nome Solomon Osazuva. Entrambi hanno meritato applausi a scena aperta per il loro alto virtuosismo tecnico che non ricordavo al Verdi da molto tempo!

La compagnia slovena con cui si sono esibiti, la SNG di Lubiana, si è mostrata in gran spolvero nelle file del corpo di ballo, probabilmente merito dello sguardo attento del coreografo di questo nuovo allestimento del Don Chisciotte. Un po' meno nei ranghi solistici. I magnifici, lucenti, immaginifici costumi di Neven Mihic, assieme all'elegante impianto scenico, hanno sicuramente aiutato molto la messinscena. Per non parlare della guida, protettiva e fraterna, del Maestro Ayrton Desimpelaere che, forse anche grazie alla frequenza con cui la Direzione del Teatro Verdi lo invita, ha saputo gestire molto bene i suoi orchestrali, in genere poco motivati quando si tratta di musica da balletto. Desimpelaere è riuscita a scavare fuori dalla partitura di Ludwig Minkus momenti delicati, moderni, molto lontani dalla sua musica tanto ballabile e gioiosa quanto, talvolta, un po' fracassona. Che poi è quanto spesso si scrive di Verdi: un paragone mica da poco!


Bellissime foto del nostro Fabio Parenzan per VisualArt

Iana Salenko è decisamente l'opposto della sua minuta figura: ha delle bellissime proporzioni fisiche che, unite ad un gran talento artistico, hanno fatto di lei una stella di fama e grandezza mondiali qual è e quale meritava di essere. Brava! Anche per saper affrontare la fastidiosa pendenza del Teatro Verdi, senza lesinare nei fouettés doppi e in tutti gli altri virtuosismi tecnici che il ruolo di Kitri richiede. Come già detto, le era perfettamente al passo (sic) il prestante e solido Salomon Osazuva che ha avuto qualche incertezza nella partnership, sicuramente dovuta alle pochissime (zero?) prove avute con la Salenko , ma che ha sciorinato un bagaglio tecnico solido, preciso e accattivante, come la sua bellezza e prestanza che ha sicuramente infranto più di un cuore... Molto graziosa e precisa nella variazione dell'Amorino Nina Kramberger, finalmente in un ruolo giusto per la sua fisicità. Sicura e affascinante, come sempre, la Mercedes di Tjasa Kmetec e prestante l'Espada di Yujin Muraishi cui le calzamaglie non fanno mai un bel servizio. Il bravo Tomaz Horvat, che mi ha spesso incantato come Scrooge nel A chistmas carol in scena a Lubiana anche nei prossimi giorni, è stato qui un po' lasciato a sé stesso, come buona parte degli altri personaggi di contorno, senza riuscire a rendere realmente la poetica, insensata follia di Don Chisciotte. Meglio è andata al suo Sancho Panza, qui interpretato da Alexandru Barbu, che ha fatto sfoggio anche di qualche passo tecnico di buona levatura tecnica. Bene la coppia zingara formata da Barbara Potokar e Hugo Mbeng. Il corpo di ballo, come detto, ben figura per puntualità presenza e precisione, anche se manca di maggior calore e mediterranea confusione. La disomogeneità fisica di questa compagnia che risulta quasi un plus nel repertorio contemporaneo, sfiora in questo caso il ridicolo quando, per esempio, entrano le prime tre damigelle del grand pas. Vispi e gagliardi i sei toreri.


Venendo alla rilettura di Denis Matvienko sono rimasto molto perplesso. Sul programma di sala, il nostro dichiara: "non ho cambiato le parti originali di Petipa e Gorsky" "ho deciso di aggiungere nuovi personaggi" "ho accorciato considerevolmente il balletto" "presentare la storia al pubblico nel modo più naturale possibile, senza ricorrere alla pantomima" "il nostro obiettivo era rendere lo spettacolo simile a una di quelle famose telenovele" "il senso dell'umorismo e le scenografie del passato spesso sono così stereotipate" e così via. Allora, o è un'intervista precedente l'inizio delle prove o fa un po' di confusione.

Nel suo voler accorciare, che è un tema di cui spesso parlo e non vedo l'ora di vedere la risposta del pubblico al prossimo Wagner in programma al lirico triestino, mi trova pienamente d'accordo e ho pensato proprio ieri sera a quanto siamo "fortunati" nel mondo della danza classica dove, per vero malcostume, ogni coreografo taglia e cuce a proprio piacimento, senza rispettare quanto coreografo e musicista avevano creato e concertato all'epoca della creazione. Per cui, nulla di nuovo ma una buona occasione per snellire la visione per noi pubblico, il cui tempo di attenzione è ormai simile alla durata di una puntata di una serie Netflix. Peccato però che questa sua scelta faccia perdere completamente il filo della narrazione. Un esempio? Tagliare la scena del finto suicidio di Basilio che, morente, riesce a strappare la benedizione di Lorenzo, il padre di Kitri, alla quale si era opposto nei due precedenti atti. Ma ce ne sono diversi altri. Se l'idea era veramente quella di "asciugare", non avrebbe alcun senso aggiungere un personaggio totalmente inutile quale il padre di Gamache (mi perdoni l'ottimo Renato Zanella) che è la brutta copia del padre di Alain ne La fille mal gardée, e aggiunge solo una complicazione narrativa che nulla porta alla vicenda. Di più. Se pensa di voler rimodernare lo stereotipo, sia così gentile da evitare l'ennesima, inutile derisione del mondo omosessuale che secondo lui non vede l'ora di indossare un tutù e di apparire totalmente incapace a fare anche un solo passo corretto di danza. E ci sono esempi in questa stessa compagnia di danzatori maschi abilissimi a danzare anche sui tacchi a spillo. Siamo nel 2024 come dice la mia quattordicenne allieve Viola, per piacere.

E per fortuna che dichiara di non aver cambiato le parti (immagino intenda i passi) originali: l'atto del sogno è irriconoscibile, sfigurato nei disegni coreografici e nelle composizioni, ad esempio nei due gruppi di tre e quattro driadi; la variazione della Regina delle Driadi è inutilmente confusa e pasticciata; la seconda variazione del Grand pas è data a Gamache che (mi perdonerà anche il superlativo quando ben guidato Lukas Zuschlag) sfiora l'imbarazzo. Per non parlare di una danza di seduzione o similia che precede il passo a due del terzo atto, sostituisce il tipico fandango e poco c'entra con lo stile del resto.

Trovo piuttosto comico anche il paragone di voler accorciare messo a confronto con le telenovelas che per tradizione sono di lunghezza infinita.

Insomma, nell'infinito rispetto che ho per il danzatore Matvienko e per la bravura con cui ha saputo far figurare gli ensembles di questa compagnia, questa sua prima operazione mi lascia decisamente insoddisfatto. Vorrà perdonarmi ma la mia generazione è cresciuta a pane e Don Chisciotte.

Sala piena, plaudente e soddisfatta dalle prestazione di Kitri e Basilio!