Locandina dello spettacolo
A chiusura di una stagione brillante, la direzione della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, propone al suo pubblico un ritorno ad una delle tradizioni più amate e conosciute di Trieste: l'operetta e, nello specifico, Il Pipistrello.
Avendo avuto un ruolo decisamente attivo in numerose edizioni del mitico Festival dell'Operetta, non posso che ricordarla con nostalgia e divertimento conscio, però, che erano altri tempi e che oggi è un genere decisamente superato.
Per noi era una sferzata positiva, eravamo sempre in scena in particolare nelle edizioni con la regia di Gino Landi, eravamo riconosciuti ed apprezzati nel nostro ruolo di danzatori e, spesso, l'intero spettacolo reggeva sui nostri interventi e sulla nostra interpretazione.
Invece, la prima volta che ho visto un'operetta da spettatore sono stato assalito dallo sconforto: non immaginavo che potessero essere più simili all'avanspettacolo che al musical! La banalità dell'intreccio, la volgarità dei doppi sensi nei testi, la forzatura della battuta in triestino per imbonire il pubblico, non mi erano mai apparse tali mentre ero coinvolto all'interno della macchina...

Il voler rappresentare la popolazione multietnica e multi linguistica della Trieste dell'epoca, visto che l'ambientazione è stata spostata nella nostra città? Ma era davvero così importante? Al punto di costringere gli spettatori a sgozzarsi per seguire i sottotitoli per seguire il plot? Mah...

Alla guida del comparto musicale un fuoriclasse come Gianluigi Gelmetti che riesce ad esaltare le parti più preziose e raffinate di una partitura popolarissima.
In scena ammiriamo una completa e affascinante Mihaela Marcu nel ruolo di Rosalinde, con una bella voce timbrata e una tecnica di canto solida, Christoph Strehl che disegna un Gabriel von Eisenstein spigoloso e non molto simpatico, Lina Johnson che tratteggia una Adele brillante interprete ma con poco colore vocale e l'Alfred di Merto Sungu, una piacevole conferma.

Un cenno a parte alla verve comica e brillante di Fulvio Falzarano, un Frosch teatralmente spassoso e perfetto.
E la danza? Due coppie di allievi mal assortiti e niente più...che tristezza. Speriamo in un futuro migliore...