venerdì 29 marzo 2013

THE RAPE OF LUCRETIA 27 marzo 2013

Locandina THE RAPE OF LUCRETIA


Accidenti, stavolta sarà difficile scrivere di questa opera: primo perché ero al mio debutto Britteniano; secondo perché lo spettacolo è altalenante. Ma ci provo lo stesso.

A me, nel complesso, è piaciuto e devo ammettere che sono partito parecchio prevenuto, soprattutto ascoltando l'aria di disfatta di chi entrava in teatro: "Mariuccia è uscita appena è scesa la tela alla fine del primo atto" "Io ho preso un posto di corridoio, così  posso andarmene quando voglio senza fare alzare tutti" "Io ho preso un palco e mi sono fatto un caffè doppio". Ecco, non proprio incoraggiante. Però è risaputo che i frequentatori triestini del Teatro Lirico Giuseppe Verdi non sono molto amanti del novecento musicale. Sbagliano però perché "The rape of Lucretia" (Lo strupro di Lucrezia) è un'opera con dei momenti di grande bellezza e poesia musicale, che fanno di quest'opera da camera scritta da Benjamin Britten nel 1946, un piccolo e preziosissimo gioiello.
Nelle orecchie, e poi nel cuore, mi sono rimasti quella sorta di basso continuo che Tarquinio, Collatino e Giunio nella prima scena del primo atto creano impostando una nota e portandola avanti alternatamente: bellissimo! Oppure le parti più melodiche che Lucia, una delle ancelle di Lucrezia, canta nella seconda scena assieme a Lucrezia e Bianca; infine, tutti gli interventi del coro maschile. Veramente bella musica, che arriva al momento giusto per toccare le corde dell'anima.


Il libretto di Ronald Duncan è pungente e poetico al contempo e tuttora modernissimo. Ha la caratteristica di porre in contrasto la modernità, l'oggi con il passato, lo stupro di Lucrezia con la passione di Gesù Cristo, in un parallelo tanto ardito, quanto riuscitissimo.
Qualche perplessità mi resta sulla regia. Nenad Glavan in questa occasione mi convince più come scenografo: ha creato una bellissima arena mobile che, montata su carrelli, ruota intorno ad una arena offrendo scorci sempre diversi e stimolanti. Ma ho trovato ridondante e completamente inutile il solito, immancabile, abusato video che propone immagini mixate in precedenza, alternate a momenti in presa diretta che evidenziano i volti dei protagonisti o la bellissima (sic!) scena dello stupro. Non arricchisce, anzi distrae soltanto dalla scena, anche se ha una sua bellezza, esteticamente parlando, rafforzata dalla sua proporzione e posizione rispetto allo spazio scenico.


La recitazione dei protagonisti è curata, ma non convince fino in fondo: è molto più approfondita di quanto vediamo in genere nell'opera lirica, ma proprio per questo, alla fine risulta incompiuta per essere davvero credibile. Anche alcune idee sembrano buttate lì: è strano, ad esempio, che la stessa cassetta di medicinali da campo di guerra (si, tanto per modernizzare l'opera, la vicenda è spostata dall'epoca romana a quella della solita seconda guerra mondiale....basta!) resti in scena anche quando siamo a casa di Lucrezia e, come questo, tanti altri piccoli o grandi dettagli che distraggono lo spettatore dalla possibilità di immedesimarsi, di credere ciecamente alla lettura registica. Costumi adeguati, ma senza sforzo, di Teresa Acone e luci interessanti, ma poco precise.


La scena dello stupro diventa una danza, coreografata egregiamente da Almira Osmanovic, una delle più grandi danzatrici croate dei nostri tempi, che regala così alla Lucrezia di Sara Galli, un'arma in più di seduzione e di sfoggio delle proprie abilità. La Galli si muove come una danzatrice, è un'ottima attrice, ma è un soprano mentre la parte è scritta per un contralto e qualcosa non convince fino in fondo...a volte il volume, a volte il timbro: peccato. Adeguato il suo violatore, Tarquinio, interpretato dal baritono Carlo Agostini, e il Giunio di Gianpiero Ruggeri. Molto più interessanti ho trovato Lucia, una delle ancelle di Lucrezia, cantata dal soprano Nuria Garcia Arrés, dotata di bel timbro e buona tecnica, il Collatino del basso Marijo Krnic, vocalmente più interessante che scenicamente, e del coro femminile, Katarzyna Medlarska, e di quello maschile, Aleksander Kroner, entrambi precisi, con buon volume e teatralmente convincenti (perché hanno la toga solo nella prima scena? boh...)


Il Coro del lirico triestino, guidato da Paolo Vero, fa una fugace apparizione solo nel quadro finale, ma lo fa con precisione e costumi piuttosto discutibili. Bene la ridotta Orchestra che suona con grande potenza, forse troppa, guidata dal Maestro che sembra trascurare un po' l'attenzione acciocché le voci dei cantanti arrivino al pubblico con il giusto e dovuto equilibrio.
Il pubblico abbastanza presente, ha evitato l'esodo di massa nell'intervallo, come temevo, ed ha giustamente applaudito con calore Marijo Krnic e Nuria Garcia Arrés.


domenica 24 marzo 2013

BOOTY LOOTING 23 marzo 2013

Locandina dello spettacolo

Ogni volta che assisto ad uno spettacolo di Wim Vandekeybus esco sempre con lo stesso quesito: perché mi è piaciuto tanto? Stavolta credo di averlo capito: mi piacciono i suoi spettacoli perché la tensione non cala mai pur con le sceneggiature dell'assurdo, del non sense, che li caratterizzano.
Cerco di spiegarmi meglio anche se temo risulterò caotico e multi tematico come lo spettacolo Booty Looting che ho visto ieri sera in un tutto esaurito Teatro Palamostre di Udine. Grazie all'attenta programmazione del Teatro Contatto, da sempre un'isola felice di innovazione nel conservativo e tradizionale Friuli, ho avuto la fortuna di poter assistere a questo spettacolo senza dovermi spostare, come minimo, a Lubiana.
La serata della Compagnia Ultima Vez si apre su un palcoscenico spoglio e pieno di materiali poveri, che sembrano quasi inutili, sui quali troneggia una fotocopiatrice. La prima persona che vediamo apparire è la sorpresa principale della serata, il musicista Elko Blijweert, che disegna un tappeto sonoro di straordinaria efficacia e presenza grazie ad un paio di chitarre e di bassi meravigliosamente e fantasiosamente suonati, sbattuti, svisati, staccati e riattaccati, giocando con il contatto della sua mano sullo spinotto dell'amplificatore che crea suoni impensabili: bravo!


Inizia il racconto di una storia che dovrebbe essere quella di Birgit Walker (un'antropologa o un'attrice del passato o l'omonima attrice che la interpreta?) o forse di Joseph Beuys (un artista americano), o forse quella di Medea, mito immortale...ma, in fondo, chi se ne frega!?! Come per le favole che conoscevamo perfettamente da bambini, ma che volevamo ascoltare sempre e ancora, con gli stessi dettagli e le stesse voci che papà o mamma ci proponevano, così pendiamo dalle immagini che Vandekeybus ci propone, talmente belle e originali che vale la pena di organizzarle secondo il nostro personale vissuto, come fosse un nostro album dei ricordi, senza darci pena di capire a cosa ogni singola azione si riferisce.
Le immagini sono bellissime, sia i tableaux vivant creati dal coreografo che le immagini vere e proprie, scattate continuamente e immediatamente amplificate su di uno schermo posizionato vicino al fondale, ad opera di Danny Willems. Ma, in effetti anche per quelle il debito verso Vandekeybus è grande: dalla scena iniziale in cui i tre danzatori maschi  (di bravura ed energia incrollabile) ricordano l'installazione in cui Beuys si fece rinchiudere in una gabbia per 3 giorni con un coyote, riparandosi solo con un grosso feltro, a quella in cui si girano dei piccoli cortometraggi dietro a dei pannelli che fungeranno da scenografie, ma che impediscono la visione di cosa accade al pubblico: il senso si capirà solo attraverso l'uso della parola e delle fotografie che appariranno.


Oppure la meravigliosa sequenza in cui uno dei danzatori fotocopia il corpo di Birgit Walter, teatralmente morta, spostandolo, disponendolo, trascinandolo sul vetro della macchina e ricostruendolo su di un pannello, con i singoli fogli A4 che lo compongono; o quando Medea/Walter trucida i propri figli e ne immortala il volto sofferente e urlante con la medesima tecnica. O ancora la sequenza in cui tutti tornano bambini e giocano con qualunque cosa, richiamando l'attenzione die genitori, e rischiando le ossa, forse anche la vita, per farsi vedere forti, fighi e finalmente adulti!
Insomma immagini e suggestioni infinite e bellissime, danzatori strepitosi (su tutti Luke Jessop), due attori fantastici, un bravo fotografo e un musicista con i fiocchi: cosa volere di più?


Uno spettacolo che dovete vedere se vi piace andare a teatro e lasciarvi suggestionare, prendere spunti esterni per riflettere su voi stessi, vedere immagini che impressioneranno a lungo le vostre retine. In ogni caso andate sempre, e comunque, a teatro invece di farvi cndizionare dal quel malefico schermo di vetro colorato che avete in salotto....


venerdì 22 marzo 2013

FRANKENSTEIN JUNIOR 20 marzo 2013

Locandina dello spettacolo

Divertente! Anzi, no: divertentissimo!!
Due ore abbondanti di risate, musica gradevole e grandi interpreti per questo musical ospitato al Politeama Rossetti di Trieste dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.

La strasposizione dal film di Mel Brooks,  autore anche dei testi e delle musiche della versione teatrale, è fedelissima al blockbuster che molti di noi conoscono praticamente a memoria, io incluso! In effetti, durante lo spettacolo, sembra di assistere ad una replica del Rocky Horror, tanto il pubblico precede le battute degli interpreti o le sottolinea coralmente! E anche questo aspetto aggiunge piacevolezza alla serata Per tutto ciò dobbiamo dire grazie alla Compagnia della Rancia e quindi agli inossidabili Saverio Marconi e Michele Renzullo che, oltre ad aver contributo in maniera notevole alla diffusione del genere musical in Italia, continuano a rischiare in proprio e a produrre lavori di alto livello professionale.

Il musical è un genere facile (non me ne vogliano gli appassionati e sfegatati programmatori) che deve le sue fortune presso il grande pubblico proprio grazie a questo: arriva dritto alle orecchie, agli occhi e al cuore, ma non lascia grandi tracce se non melodiche. Non è un caso che i prodotti più evoluti che affollano l'Off Broadway siano appannaggio di pochi spettatori e restino prodotti di nicchia, seppur di notevole fattura, creatività e finezza.

Frankenstein junior è sopravvissuto a Broadway dal 2007 al 2009 e questo ci lascia facilmente capire a quale tipo di musical appartiene, ma ce ne fossero di "facili" così! E' scritto molto bene, così come lo era il film; gode di una regia veloce e serrata ad opera di Susan Stroman come le coreografie, una veterana pluripremiata del genere, ripresa e adattata in Italia da Marconi e Marco Iacomelli; ha delle musiche gradevoli, arricchite dalle voci dei nostri interpreti, ma vi sfido a ricordarvi un solo motivo il giorno dopo...; vive grazie ad un bell'allestimento con scene di Gabriele Moreschi, costumi di Carla Accoramboni, splendide luci di Valerio Tiberi e alla fonica di Enrico Porcelli; si muove grazie alle brillanti coreografie di Gillian Bruce. Ma il merito maggiore va sicuramente all'intero cast di performer!


A cominciare dalla strepitosa Elisabeth di Giulia Ottonello: strepitosa nell'utilizzo dello strumento vocale che trasforma dalla voce di Paperina a quella di un decorosissimo soprano; disinvolta e teatralmente abilissima nel costruire il personaggio di una snob assatanata di sesso. Proprio brava: io che snobbo per partito preso i figli dei format televisivi....

Le fa compagnia un adeguato Roberto Colombo nei panni di Federick Frankenstein, suo fidanzato nonchè nipote del realizzatore del Mostro, interpretato da Fabrizio Corucci, un baritono bravo quanto spiritoso nel prestarsi a questo ruolo "ingrato". Per non parlare di come riesce a diventare brutto, il bel Mauro Simone che cerca di essere quanto più possibile aderente all'indimenticabile Marty Feldman, l'Igor cinematografico, e che ha dalla sua un mestiere inaffondabile.
Devo citare ancora la puntuale Altea Russo nei panni di Frau Blucher (ihhhh = nitrito di cavallo), vero deus ex machina di tutta la vicenda, e Valentina Gullace, una Inga bella e brava come tutti vorremo fosse la nostra assistente. Di loro due dobbiamo sottolineare la voce dal bel timbro e dalla tecnica sicura e la grande presenza scenica, ma dobbiamo dirlo anche di tutti gli altri interpreti: Felice Casciano, Davide Nebbia, Michele Renzullo, Giorgio Camandona, Paola Ciccarelli, Francesca di Cresce e Anna Bodei. Bravi!


Insomma, una ridda di complimenti, ma tutti meritatissimi, e un grazie per averci fatto trascorrere una piacevolissima serata! Platea ingiustamente piena solo a metà...

lunedì 11 marzo 2013

MACBETH 8 marzo 2013

Locandina dello spettacolo

A distanza di 2 giorni dalla visione del "Macbeth" in scena al Teatro Verdi di Trieste, resta il ricordo di una splendida serata, sia dal punto di vista musicale che da quello visivo.

E' stata una intuizione brillante quella di recuperare quest'allestimento realizzato per il Teatro Comunale di Jesi. Semplice e lineare nella realizzazione, lascia spazio alla bellezza del capolavoro verdiano e alla regia. Si, siamo proprio di fronte ad un capolavoro. No, non lo diventa con questa mia certificazione: lo sanno già tutti che è così. Ma mi aggiungo al coro.

Ecco, partirei proprio dal coro, che è una delle colonne di questo spettacolo. I momenti più interessanti di questa opera sono affidati a loro che cantano strisciando, ondeggiando, rotolando, saltando, marciando, cadendo, dando prova di grande teatralità che a volte viene uccisa da qualche regista che, a corto di idee o un tantino retrogrado, li relega al ruolo di quinte umane. Questa volta no. Il regista Henning Brockhaus li usa come materia plasmabile e li adatta perfettamente al proprio credo artistico. Magari le streghe potrebbero ogni tanto stare un po' più fermine: si contorcono al punto da creare un effetto nausea da mal di mare, ma lo scrivo solo per cercare il pelo nell'uovo. Tornando alla regia, Brockhaus dichiara: "Macbeth è l’opera più sorprendente che Verdi abbia mai scritto da un punto di vista musicale, canoro e drammaturgico. Purtroppo Verdi però non sviluppò più nelle opere successive questo recitar cantando con le sue relative indicazioni interpretative. I due protagonisti non hanno una sola nota di bel canto e anche per questo oggi è difficile mettere in scena quest’opera. Nessuna Lady Macbeth, nella maggior parte delle edizioni presentate al pubblico, ha il coraggio di "sporcare la voce", per citare un termine del Maestro, di cantare con una voce abbruttita, andando così contro la volontà di Verdi."
Non potrei essere più d'accordo. Registicamente si adegua e allora Lady Macbeth ha un rapporto con il pavimento, con gli oggetti, realmente viscerale: canta da tutte le posizioni immaginabili, senza paura di "sporcarsi", mentre Macbeth sembra essere tutto d'un pezzo, bloccato, folle e irrigidito, nel suo desiderio di potere. Quanti rimandi alla nostra attualità politica....


In realtà il secondo protagonista della serata è il defunto Josef Svoboda che aveva firmato questo allestimento già nel 1995 per il Teatro dell'Opera di Roma. Qui lo riporta in vita Benito Leonori, restituendogli tutta l'aura di mistero, di intrigo, di buio, di sottobosco. Con dei semplici tessuti, riesce a ricreare saloni e foreste, aiutato tutt'al più da un gigantesco specchio che attraversa la scena in diagonale durante il banchetto, restituendo l'immagine del direttore, a sottolineare quasi una regia esterna dietro il dramma che si consuma in scena.


Queste stoffe vengono arrotolate o distese, dal basso verso l'alto, per ricostruire spazi immaginari o per sottolineare il crollo di certe situazioni: oppure vengono fatte avanzare per simulare "finché il bosco di Birna vedrai ravviarsi e venire con te". Splendide immagini proiettate sottolineano la vicenda e a volte la spiegano, come l'apparizione di Banco o i teschi, la corona che ruota senza essere poggiata su un capo o le cupe ombre di esseri misteriosi in movimento. Splendido! E molto ben supportato dai costumi di Nanà Cecchi, lineari, scarni e tristi come la vicenda. Poco visibili le coreografie di Maria Cristina Madau e del tutto inutili le due acrobate con i teli.


Venendo ai cantanti, giganteggia la Lady di Dimitra Theodossiu: maestosa e sottile, vocalmente imperiale e sussurrante, cesella questo archetipo femminile con tale maestria da sembrare lei stessa folle e perversa e omicida. Veramente strepitosa! Indimenticabili i suoi sottovoce al marito durante il banchetto che chiude il secondo atto: "e un uomo voi siete?" "voi siete demente" e "vergogna signor"...un brivido scorre lungo la schiena nel sentirle proferire questa parole per la profonda credibilità e il partecipato disgusto.
Le fa compagnia un ottimo Macbeth, interpretato da Fabian Veloz, baritono al suo promettente debutto italiano: l'ho trovato strepitoso nei primi due atti, in cui rivela uno strumento vocale sicuro, modulato e un'interpretazione sentita e intelligente. Sembra cedere dal terzo atto in poi, complice forse l'evoluzione del personaggio che inizia ad essere sempre più isolato e autoreferenziale: speriamo di risentirlo presto in qualche altro ruolo.

Anche il Banco di Paolo Battaglia risulta convincente, specialmente per presenza scenica e, nella terribile scena dell'agguato a lui e al figlio, anche vocalmente. Ugualmente interessante e ben costruito il Macduff di Armaldo Kllogjeri, travolgente soprattutto nell'intenso finale.
Completano il grande cast Giacomo Patti, Sharon Pierfederici, Dario Giorgielè, Stefano Consolini, Francesco Musinu e Giuliano Pelizon, tutti ugualmente coinvolti, appassionati e fondamentali alla riuscita di questo splendido spettacolo.


Mi resta da dire della splendida direzione orchestrale del Maestro Giampaolo Maria Bisanti, che conduce con estrema cura questa opera verdiana, senza sottolinearne i pericolosi clangori, anzi rivelandone momenti veristici, poco usuali per il Cigno di Busseto. Attento e partecipe alla scena, al coro ai cantanti, ottiene il massimo da tutte le maestranze: l'Orchestra del Teatro Lirico gli risponde come ad un padre; lo stesso fanno il coro, guidato egregiamente dal Maestro Paolo Vero, la Civica orchestra di fiati "Giuseppe Verdi" e i Piccoli Cantori della Città di Trieste.
Pubblico tipicamente maleducato da prima. Teatro pieno e, solo alla fine, il giusto riconoscimento e apprezzamento per un allestimento di questa qualità.

martedì 5 marzo 2013

HOMMAGE A STRAVINSKY 1 marzo 2013

Beh, direi che il Teatro Nazionale di Maribor non poteva festeggiare in modo migliore il 130° anniversario della nascita di Igor Stravinky e il centenario dalla composizione di questa meravigliosa partitura immortale, anche se la serata è riuscita a metà. Purtroppo, per rivederlo, dovrete darvi da fare perché quella allo Sloveno di Trieste era una data unica e, al momento non sono previste altre rappresentazioni in zona. Ma, se riuscite, andate, cercatelo, vedetelo: ne vale la pena!

(Del primo brano "Songs for the mating session" Canzoni per il periodo dell'accoppiamento, farò a meno di scrivere tanto l'ho trovato poco gradevole musicalmente e poco interessante coreograficamente...ricorda la fase "isterica" del coreografare di Clug con uomini e donne in abiti borghesi a sottolineare che "l'eroe" middle class non riesce a sottrarsi all'istinto primordiale dell'accoppiamento quando arriva la stagione....mah?!?)


Ma quando il sipario si apre per il secondo tempo dello spettacolo, restiamo inchiodati sulle poltrone perché succede una magia: abbiamo di fronte a noi un opera artistica di alto livello.
Tremavo all'idea dell'ennesima "Sagra della primavera": già tante letture, alcune stravolgenti l'originale, altre più classiche, ma soprattutto una serie di versioni capolavoro. Da quella di Bejart a quella di Pina Bausch, da quella di Angelin Preljocaj a quella originale di Nijinskj, tutte hanno lasciato un ricordo indelebile e sono contraddistinte da una cifra unica, che riduce sempre più la possibilità di trovare nuove strade.
La Sagra, come il Bolero di Maurice Ravel, come i titoli firmati dal compositore russo per George Balanchine, hanno ormai un corrispondente visivo talmente forte che è difficile scalzare nella nostra memoria questi rimandi, questi ricordi indelebili e bellissimi.
Ma Edward Clug ce la fa e trova una sua chiave di lettura: parte da Nijinskj, passa attraverso la Bausch e approda nel suo personalissimo linguaggio coreografico, fatto di innumerevoli movimenti


Recupera il tema del primitivo e del sacrificio di una vergine che deve danzare fino alla morte in onore della divinità della primavera, affinché questa aumenti la fertilità della terra.
E lo fa presentandoci le donne con i pomelli rossi e le lunghe trecce, gli uomini con basette e baffi, a sottolineare l'iconografia tipicamente russa.


E' una danza musicalissima quella di Clug: abbiamo l'impressione di vedere gli strumenti musicali infusi, trasposti nei corpi dei danzatori, tanto gli accenti, le biscrome, sono cesellate e perfettamente aderenti alla splendida orchestrazione di Stravinsky. Se avete qualche minuto, scorrete il video che trovate in fondo alla recensione e potrete capire meglio quanto vi dico, nonostante sia un video della prima e ora lo spettacolo è molto più rodato e digerito dai danzatori.
Questi danzatori della compagnia di Maribor rispondono perfettamente ai dettami del loro demiurgo, anche se sembrano raccogliticci (uno alto, uno basso, una brevilinea, una altissima, ecc.), ma ce ne dimentichiamo molto presto per l'energia che infondono, spendono, regalano e per la precisione con cui ci accompagnano, lungo questo rito pagano di magia unica. E danzano benissimo, con un unisono invidiabile, come se fossero un solo corpo, delle stesse proporzioni. Bravi.


E poi il coup de theatre: ad aiutare la fertilità giunge l'acqua... Se Pina Bausch aveva sottolineato la corporeità, l'appartenenza del Sacre al suolo, al mondo, alla crosta terrestre, riempendo il palco di terriccio, Clug lo inonda di acqua e trasforma la coreografia in un susseguirsi di scivolamenti, di instabilità, di allontanamenti e rientri nel gruppo fino al bellissimo finale, dove il corpo esanime dell'Eletta, viene lanciato a pelo d'acqua nell'angolo di fondo del palco. La luce si spegne e partono applausi liberatori e convinti dall'affollata platea.


Vorremmo citare il nome dei danzatori, dell'Eletta, del disegnatore delle splendide luci, ma è ormai passato di moda citare chi rischia faccia e articolazioni sul palcoscenico....