domenica 1 dicembre 2024

DON CHISCIOTTE sabato 30 novembre 2024

Locandina dello spettacolo 

Abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di vedere in scena due veri primi ballerini, anche se in due diversi momenti delle rispettive carriere: la consolidata, indiscutibile e impeccabile Iana Salenko, affiancata da un acerbo ma sicuro astro nascente di nome Solomon Osazuva. Entrambi hanno meritato applausi a scena aperta per il loro alto virtuosismo tecnico che non ricordavo al Verdi da molto tempo!

La compagnia slovena con cui si sono esibiti, la SNG di Lubiana, si è mostrata in gran spolvero nelle file del corpo di ballo, probabilmente merito dello sguardo attento del coreografo di questo nuovo allestimento del Don Chisciotte. Un po' meno nei ranghi solistici. I magnifici, lucenti, immaginifici costumi di Neven Mihic, assieme all'elegante impianto scenico, hanno sicuramente aiutato molto la messinscena. Per non parlare della guida, protettiva e fraterna, del Maestro Ayrton Desimpelaere che, forse anche grazie alla frequenza con cui la Direzione del Teatro Verdi lo invita, ha saputo gestire molto bene i suoi orchestrali, in genere poco motivati quando si tratta di musica da balletto. Desimpelaere è riuscita a scavare fuori dalla partitura di Ludwig Minkus momenti delicati, moderni, molto lontani dalla sua musica tanto ballabile e gioiosa quanto, talvolta, un po' fracassona. Che poi è quanto spesso si scrive di Verdi: un paragone mica da poco!


Bellissime foto del nostro Fabio Parenzan per VisualArt

Iana Salenko è decisamente l'opposto della sua minuta figura: ha delle bellissime proporzioni fisiche che, unite ad un gran talento artistico, hanno fatto di lei una stella di fama e grandezza mondiali qual è e quale meritava di essere. Brava! Anche per saper affrontare la fastidiosa pendenza del Teatro Verdi, senza lesinare nei fouettés doppi e in tutti gli altri virtuosismi tecnici che il ruolo di Kitri richiede. Come già detto, le era perfettamente al passo (sic) il prestante e solido Salomon Osazuva che ha avuto qualche incertezza nella partnership, sicuramente dovuta alle pochissime (zero?) prove avute con la Salenko , ma che ha sciorinato un bagaglio tecnico solido, preciso e accattivante, come la sua bellezza e prestanza che ha sicuramente infranto più di un cuore... Molto graziosa e precisa nella variazione dell'Amorino Nina Kramberger, finalmente in un ruolo giusto per la sua fisicità. Sicura e affascinante, come sempre, la Mercedes di Tjasa Kmetec e prestante l'Espada di Yujin Muraishi cui le calzamaglie non fanno mai un bel servizio. Il bravo Tomaz Horvat, che mi ha spesso incantato come Scrooge nel A chistmas carol in scena a Lubiana anche nei prossimi giorni, è stato qui un po' lasciato a sé stesso, come buona parte degli altri personaggi di contorno, senza riuscire a rendere realmente la poetica, insensata follia di Don Chisciotte. Meglio è andata al suo Sancho Panza, qui interpretato da Alexandru Barbu, che ha fatto sfoggio anche di qualche passo tecnico di buona levatura tecnica. Bene la coppia zingara formata da Barbara Potokar e Hugo Mbeng. Il corpo di ballo, come detto, ben figura per puntualità presenza e precisione, anche se manca di maggior calore e mediterranea confusione. La disomogeneità fisica di questa compagnia che risulta quasi un plus nel repertorio contemporaneo, sfiora in questo caso il ridicolo quando, per esempio, entrano le prime tre damigelle del grand pas. Vispi e gagliardi i sei toreri.


Venendo alla rilettura di Denis Matvienko sono rimasto molto perplesso. Sul programma di sala, il nostro dichiara: "non ho cambiato le parti originali di Petipa e Gorsky" "ho deciso di aggiungere nuovi personaggi" "ho accorciato considerevolmente il balletto" "presentare la storia al pubblico nel modo più naturale possibile, senza ricorrere alla pantomima" "il nostro obiettivo era rendere lo spettacolo simile a una di quelle famose telenovele" "il senso dell'umorismo e le scenografie del passato spesso sono così stereotipate" e così via. Allora, o è un'intervista precedente l'inizio delle prove o fa un po' di confusione.

Nel suo voler accorciare, che è un tema di cui spesso parlo e non vedo l'ora di vedere la risposta del pubblico al prossimo Wagner in programma al lirico triestino, mi trova pienamente d'accordo e ho pensato proprio ieri sera a quanto siamo "fortunati" nel mondo della danza classica dove, per vero malcostume, ogni coreografo taglia e cuce a proprio piacimento, senza rispettare quanto coreografo e musicista avevano creato e concertato all'epoca della creazione. Per cui, nulla di nuovo ma una buona occasione per snellire la visione per noi pubblico, il cui tempo di attenzione è ormai simile alla durata di una puntata di una serie Netflix. Peccato però che questa sua scelta faccia perdere completamente il filo della narrazione. Un esempio? Tagliare la scena del finto suicidio di Basilio che, morente, riesce a strappare la benedizione di Lorenzo, il padre di Kitri, alla quale si era opposto nei due precedenti atti. Ma ce ne sono diversi altri. Se l'idea era veramente quella di "asciugare", non avrebbe alcun senso aggiungere un personaggio totalmente inutile quale il padre di Gamache (mi perdoni l'ottimo Renato Zanella) che è la brutta copia del padre di Alain ne La fille mal gardée, e aggiunge solo una complicazione narrativa che nulla porta alla vicenda. Di più. Se pensa di voler rimodernare lo stereotipo, sia così gentile da evitare l'ennesima, inutile derisione del mondo omosessuale che secondo lui non vede l'ora di indossare un tutù e di apparire totalmente incapace a fare anche un solo passo corretto di danza. E ci sono esempi in questa stessa compagnia di danzatori maschi abilissimi a danzare anche sui tacchi a spillo. Siamo nel 2024 come dice la mia quattordicenne allieve Viola, per piacere.

E per fortuna che dichiara di non aver cambiato le parti (immagino intenda i passi) originali: l'atto del sogno è irriconoscibile, sfigurato nei disegni coreografici e nelle composizioni, ad esempio nei due gruppi di tre e quattro driadi; la variazione della Regina delle Driadi è inutilmente confusa e pasticciata; la seconda variazione del Grand pas è data a Gamache che (mi perdonerà anche il superlativo quando ben guidato Lukas Zuschlag) sfiora l'imbarazzo. Per non parlare di una danza di seduzione o similia che precede il passo a due del terzo atto, sostituisce il tipico fandango e poco c'entra con lo stile del resto.

Trovo piuttosto comico anche il paragone di voler accorciare messo a confronto con le telenovelas che per tradizione sono di lunghezza infinita.

Insomma, nell'infinito rispetto che ho per il danzatore Matvienko e per la bravura con cui ha saputo far figurare gli ensembles di questa compagnia, questa sua prima operazione mi lascia decisamente insoddisfatto. Vorrà perdonarmi ma la mia generazione è cresciuta a pane e Don Chisciotte.

Sala piena, plaudente e soddisfatta dalle prestazione di Kitri e Basilio!




lunedì 25 novembre 2024

WHAT DO YOU SEE, OR NOT sabato 23 novembre 2024

Locandina dello spettacolo 

Così, di primo acchitto, ho pensato che questo nuovo collettivo artistico potrebbe ispirare una nuova favola da intitolare "Il principe, la bella e la bestia" dove, finalmente, i ruoli possono essere totalmente intercambiabili, visto che a turno sono bellissimi, regali e bestiali nel sapersi muovere...

Partirei da questo spunto per raccontarvi della produzione di debutto della compagnia Yellowbiz Art Collective che vive dell'indiscutibile maestria di tre danzatori: Michele Pastorini, Maria Matarranz de las Hera e Valentin Chou. Indiscutibile perché, appena muovonoanche soltanto un dito, capisci tutta la ricerca, la capacità e lo studio che c'è dietro a quel movimento. I loro corpi sono capaci di mollezza e di rigidità, di volo e di pesantezza, di sinuosità e di scatto violento e sono talmente maestosamente forgiati dalla danza che ti commuovi soltanto a vederli muoversi. Prima di vederli riuniti in questa nuova avventura, li ho spesso singolarmente apprezzati nel repertorio della compagnia fiumana in cui spiccavano come primi Ballerini e non posso che felicitarmi per questo loro nuovo progetto.



Se è vero quanto professato dai tre, in occasione della presentazione dello spettacolo

"l'opera problematizza il modo in cui la società pensa in base alle prime impressioni. Attraverso una serie di scene stimolanti, lo spettacolo sfiderà il pubblico a riconsiderare le proprie posizioni di partenza e lo incoraggerà a osservare il mondo che lo circonda attraverso una lente diversa e riflessiva"

è ancora più difficile per me parlare di questa creazione perché non posso che basarmi sulla prima impressione ricevuta e, come tale secondo il loro suggerimento, dovrei ripensare a quanto ho visto rivedendolo attraverso una lente diversa e riflessiva. Potrei non uscire vivo da questo loop... ;-)

Come in molta arte contemporanea, anche in questo caso non possiamo fare altro che viverla e tradurla secondo il nostro personale vissuto, secondo quanto ci ha suscitato, senza dovere o volere per forza capire e conoscere le intenzioni dell'autore. E allora durante la scena iniziale, in cui siamo in un luogo di partenze, in cui gli annunci si susseguono così come i percorsi dei viaggiatori, le loro storie, gli oggetti che perdono/trovano/abbandonano e così via, incontriamo subito la valigia e un fiore che torneranno svariate volte nel corso della narrazione. La valigia diventerà portatrice di novità ma anche raccoglitore di vissuto, di abiti/maschere che ci siamo finalmente tolti di dosso e che possiamo rinchiudere là dentro, magari dimenticandoli per sempre, mentre il fiore sembra essere un testimone che passa di persona in persona e, quindi, di relazione in relazione. Semplificando e forse banalizzando, ma questo sono io, il messaggio dello spettacolo è quello che tutti possiamo liberarci delle nostre maschere esteriori, dei condizionamenti subiti, delle educazioni imposte ma, per molti di noi che ci provano o ci hanno provato, il cammino è tutt'altro che semplice, facile e men che meno veloce.



Come molte opere prima, c'è tanta carne al fuoco, forse troppa, ma c'è anche tanta bella danza di altissima qualità, ci sono prese/lift audaci e innovativi; ci sono atmosfere interessanti (arricchite dal bell'impianto luci di 
Kristian Baljarevski); c'è un tappeto musicale che impreziosisce ma che rende meno facile l'immedesimazione essendo tutte note nuove (bravi, bravissimi musicisti che, suonando dal vivo, partecipano al pathos della creazione, e sono il Revibrabt Trio composto da Osman Eyublu, Golnar Mohajeri e l'incredibile percussionista Pedro Rosenthal Campuzano).

I nostri tre si danno senza risparmiarsi e noi non possiamo che ringraziarli, stupiti per un finale che non volevamo arrivasse così presto...ad majora!



domenica 17 novembre 2024

LA TRAVIATA venerdì 14 novembre 2024

 Locandina dello spettacolo 

Che bell'inaugurazione per la stagione lirica e di balletto 2024/2025 del Teatro Verdi di Trieste!

Temevo, perché quest'opera ormai sembra essere diventata salvifica, un toccasana da proprorre senza alcuna ricerca o fantasia, sia perché è un titolo che non ha bisogno di presentazioni, sia per la facilità con cui manda in tutto esaurito la vendita dei biglietti e il conseguente riempimento del teatro. Tant'è che si punta al tradizionale allestimento che accontenta tutti e viene acquistato all inclusive da qualche altro teatro. E invece no! Il massimo triestino ci regala un allestimento nuovo di rara bellezza visiva e musicale: grazie!


La regia è affidata a Arnaud Bernard che traspone l'azione in una Parigi anni '50, stando agli splendidi costumi disegnati da Carla Ricotti che ben avrebbero figurato su una passerella haute couture dell'epoca! La regia mi ha ben disposto subito perché, all'apertura del sipario durante il preludio, Violetta si presenta subito per quello che è: una donna malata, di cui conosciamo tutti il mestiere grazie al quale riesce a vivere nel fasto. Niente crinoline, niente toreri e zingarelle, niente movenze affettate ma una donna quasi contemporanea che è consumata da un male, non diverso da quanto sentiamo quotidianamente nel cerchio parentale e di amicizie. Bernard, grazie all'impianto scenico quasi fisso ma di versatilità ed infinita elegante bellezza ideato da Alessandro Camera, sciorina la vicenda con grande maestria e la rara capacità di togliere piuttosto che aggiungere, di sottrarre per mettere in risalto l'essenza. L'uso del Coro del teatro triestino, che sembra tornato alla duttilità e alla bravura interpretativa di quando trionfava nelle operette dirette da Gino Landi, è magistrale: l'utilizzo del freeze, del botta e risposta con il testo dei protagonisti è di grande effetto e di elevata plasticità, e contribuisce a togliere piuttosto che a ridondare come nelle canoniche controscene cui sono in genere costretti o disgraziatamente abituati. I continui atterramenti di Violetta, sia sotto la passione di Alfredo che per la debolezza in cui la malattia la prostra, sono talvolta fastidiosi ma anche necessari. Ancora bravo anche per l'impostazione del terzo atto dove, al posto del folclore ispanico, Bernard ci propone climi più lascivi e scabrosi, come ci aspetteremmo se partecipassimo ad una festa organizzata da Flora Bervoix! Ma forse non sarebbe stato il grande spettacolo che è stato senza il light design di Emanuele Agliati: scultoreo, tagliente, spietato ma altamente suggestivo in svariati momenti. Bravo anche a lui.




Venendo alla parte musicale l'omogeneità del livello non mi permette di rivoluzionare la locandina per creare la mia personale graduatoria di piacimento, per cui non posso che citare la toccante Violetta di Maria Grazie Schiavo, capace di commoventi filati e pianissimi (il suo Amami Alfredo mi resterà a lungo nelle orecchie e nel cuore); il baldanzoso Alfredo, cantato con giovanil ardor e buona tecnica da Antonio Poli; il maestoso Giorgio Germont, appannato da qualche incertezza nella recita cui ho assistito, ma talmente grande e presente da farmi sorridere ricordando com'era Roberto Frontali, come Conte Danilo in una splendida Vedova allegra anni '90 accanto alla suntuosa Luciana Serra. Tutto il resto dei comprimari è alla stessa altezza dei primi ruoli, ma ho notato la possente e tonante voce del basso Andrea Pellegrini nel ruolo del Dottor Grenvil e ci tengo a scriverlo.


Come già detto il Coro, diretto dal Maestro Paolo Longo, è stato una colonna portante dello spettacolo e ben ha figurato sia musicalmente che scenicamente, finalmente un po' rinvigorito anche nel numero di componenti. Sono rimasto un po' perplesso dall'Orchestra che ha avuto qualche disattenzione di troppo, forse dovuta alla superficialità che viviamo di fronte a qualcosa che conosciamo bene, troppo bene. Invece, ho amato molto il respiro, la delicatezza e l'introspezione che ha guidato la conduzione di Enrico Calesso alla guida della sua compagine.

Veramente un bello spettacolo che fa ben sperare per il resto della stagione! Sala gremita, pubblico giovane poco abituato o un po' restio agli applausi ma, incredibilmente, seduto fino all'ultimo minuto, senza accapigliamenti per la corsa al guardaroba...

mercoledì 23 ottobre 2024

VISAVÌ 2024 sabato 19 e domenica 20 ottobre 2024

Locandina dello spettacolo 

Visavì è tornato, fortunatamente, come ogni anno! E porta con sé arte, bellezza e respiro. Tutto ciò grazie alla splendida e attenta organizzazione di Artisti Associati di Gorizia che, guidati con inesauribile energia da Walter Mramor, portano a casa un'ennesimo successo, tutt'altro che scontato quando ci sono così tanti fattori in gioco!


Il "mio" festival inizia sabato 19 ottobre con l'assolo That's all, presentato nel suggestivo Salone degli Stati Provinciali del Castello di Gorizia da Artemis Danza di Monica Casadei. È un'opera prima di Davide Tagliavini e, come tale, risente della voglia di proporre tanto, troppo materiale mentre manca una drammaturgia leggibile che renda il suo pensiero, ma soprattutto il messaggio che vuole condividere, fruibile per noi pubblico. Davide è uno splendido performer dotato di fisico, di emissione vocale e di presenza scenica. Indubbiamente, continuando a frequentare questo filone non potrà che migliorare e rendere sempre più godibile la sua ricerca.


Ci spostiamo al Castello di Kromberk in Slovenia per ammirare un gioiello prezioso che, assieme alla particolarità di questo maniero di campagna, è rappresentato da un cesellato "duetto per tappeto" ad opera di due danzatori e coreografi italiani Emanuele Rosa e Maria Focaraccio, che si esibiscono sotto il nome EM+. HOW TO - just another bolero è tutt'altro che un altro Bolero: questa è una nuova, sensibile, particolare, raffinata lettura della famosissima partitura di Maurice Ravel, dove tutto si svolge nel limite fisico imposto dalla dimensione di un tappeto sul quale troviamo i due danzatori già sdraiati in posizione prona. Nei primi minuti sono a terra o in quadrupedia, usando solo il lato B come veicolo espressivo. Ma non è un limite, tale è la musicalità con la quale seguono la partitura senza apparire pedissequi, utilizzando archi plantari, gastrocnemi e bicipiti femorali come se fossero muscoli facciali. Con il crescendo musicale, si alzano dal tappeto in contrappesi, lift e salti fino all'apice anche della musica che non è sufficiente a terminare la coreografia...così, poco dopo, ripartono le prime battute del capolavoro di Ravel e ci illudiamo che tutto continui o ricominci per andare avanti, all'infinito. Ma non sarà così, comprensibilmente, e accettiamo che la musica sfumi con gli occhi e i sensi appagati, assieme ad una pioggia scrosciante di applausi.


Ci spostiamo ancora, stavolta con destinazione Cormons, per assistere a Decisione consapevole, una creazione di Roberto Tedeschi che viene presentata come una mappa concettuale per le sessioni di improvvisazione, che indicava percorsi, intenzioni e limiti imposti, tipici di questa tecnica. La sensazione è che continui ad essere un po' tale, senza raggiungere lo slancio e l'autonomia di una vera e propria coreografia, nonostante l'eccellenza dei quattro danzatori (Mattias Amadori, Eleonora Dominici, Laila Lucchetta Lovino e Francesco Misceo) e il grande lavoro di assieme che nobilita di molto il risultato finale. Di grande impatto e qualità il light design di Giacomo Ungari e quello del suono di Giuseppe Villarosa.





Si torna a Gorizia dove, al Kulturni Dom, va in scena
Amateur Smugglers ad opera di Silvia Garibaldi e Andrea Rampazzo per la compagnia slovena En-Knap. Per un festival di danza, secondo me, è una produzione un po' troppo al confine con il teatro fisico e l'intrattenimento, tanto è il materiale che mette in scena. Gli interpreti sono, anche in questo caso, strepitosi anche se, in particolare rispetto ai momenti di interazione con il pubblico, sono ancora un po' troppo bisognosi di indicazioni, che cercano con occhi avidi al banco della regia dove siedono i due autori, segno che il processo di introiezione e maturazione non è ancora completo. Lo spettacolo è un melting pot di resistenza umana (ammirevole quella di Mattia Cason che sembra inesauribile), obbedienza e sottomissione ai comandi dello "stop&go" che siano visti come partenza dai blocchi o, come si capirà strada facendo, come quelli ad un controllo di frontiera, ma troppi altri elementi restano non approfonditi, ad esempio il tentativo di coinvolgere il pubblico che, onestamente, riesce malamente.






A chiudere la giornata del sabato, arriva il momento della MM Contemporary Dance che propone un dittico composto da Skirk di Adriano Bolognino e Weirdo di Enrico Morelli. Per entrambi i coreografi ho gridato al capolavoro in occasione sia di Chopin for us del primo che di Elegia del secondo ma in questa occasione mi concentrerò sulla qualità di una compagnia che non delude mai. Ci sono delle gemme preziose che vengono affidate alle menti creative dei coreografi (Nicola Stasi, Giuseppe Villarosa, Federico Musumeci e Giorgia Raffetto, tra gli altri) ma è l'assieme generale, la capacità di essere acqua e aria e vento e fuoco che resta una peculiarità di tutti i danzatori della compagnia, a qualunque generazione appartengano e non posso esimermi dal riconoscere questo merito a Michele Merola, nonché a Enrico, per aver saputo portare avanti questo progetto con forza, sapienza e testardaggine. 






Domenica 20 ottobre inizia con il Visavì Experimental Context che è una bellissima occasione di vedere l'energia, il talento e la freschezza di 
16 ballerini di stili diversi ma legati alla scena hip hop o a quella della danza contemporanea, che si sfidano a coppie e vengono eliminati da una giuria tecnica. Anche quest'anno è stato un momento divertente (specie quando ai competitori veniva chiesto di interpretare assurde motivazioni per la loro esibizione, quali "basso Profilo" o "stare sott'acqua" tutt'altro che facili da rendere durante una improvvisazione coreografica di 1 solo minuto, senza il tempo di poter pensare a come renderla...), intenso e interessante, grazie anche alla vivace conduzione di Massimiliano Mosti, che ha rivelato vincitori Lele e Gianni all'unanimità, sia per la giuria che per il pubblico invitato ad esprimere il proprio pensiero.



A chiudere il Festival ci pensano la MN Dance Company che presenta in prima nazionale
Flights, ispirato al romanzo di Olga Tokarczuk, con uno spettacolo tecnologicamente molto interessante. Michal Rynia e Nastja Bremec hanno incentrato tutta la produzione sull'utilizzo di una serie di barre luminose led che sono senza cavi e comandabili a distanza, prestandosi a numerosi effetti luce, cui i due hanno dedicato molta cura e attenzione, dalla programmazione alla messa in scena. Tutto ciò distrae noi spettatori dalla coreografia che di suo, invece, non porta niente di nuovo al panorama coreutico generale. Buona fattura, buona energia ma niente di nuovo all'orizzonte. 




Lunga vita al Visavì Dance Festival di Gorizia che, per l'edizione 2025 in cui Gorizia e Nova Gorica diventeranno Capitale Europea della Cultura, si preannuncia un'edizione ricca e molto più lunga, dal 9 al 19 ottobre 2026: non vedo l'ora!

martedì 10 settembre 2024

CHOPIN/INTO US - BRUCIARE martedì 10 settembre 2024

Locandina dello spettacolo

Ma allora c'è ancora una speranza per questo paese decrepito e senza speranze! Avevo sentito parlare molto del lavoro di Adriano Bolognino ma non avevo ancora visto nulla di suo e temevo fosse il solito coreografo alla moda, fidanzato con qua

lche star o supportato da qualche critichessa  delle riviste specializzate. Tutt'altro e non ho potuto che restarne ammaliato. Sono contento che a scoprirlo, a supportarlo tra i primi ci siano stati Michele Merola ed Enrico Morelli, amici di MMDanceCompany e Agorà Coaching Project. E hanno fatto bene a supportarlo.

Bolognino è un talento assoluto, con un linguaggio e uno stile tutto suo, forse un po' ostico per dei neofiti della danza ma di incredibile musicalità e poeticità. Il suo lavoro si concentra molto sulle braccia e sull'uso del torso: poco nelle gambe e ancor meno nei salti o nei lift. Perlomeno in questo lavoro. Ma non c'è un movimento uguale all'altro; non c'è la struttura ruffiana delle coreografie con una sezione che si ripete nell'inizio e nel finale; non c'è il momento ad effetto: tutto è una cascata scrosciante di passi, atteggiamenti, contorsioni, tic, movimenti del corpo che scaturiscono dall'anima e che sono incollati alla musica.

I suoi danzatori (Rosaria Di Maro, Cristina Roggerini, Jacopo Giarda, Laura Dell’Agnese, Laura Miotti) sono lunghi e corti, larghi e stretti, belli e brutti, esponibili al body shaming più trucido ma sono tutti figli di Tersicore, la musa della danza: si muovono come divinità, come la corrente nell'acqua, come le foglie al vento. Vibrano, sussultano, ondeggiano, vivono e regalano emozione e lo sguardo non li lascia per un solo attimo. Un'ora di spettacolo che vola via in una tensione infinita, rapiti dalla bellezza di qualcosa che non è bello ma che affascina e cattura. Bravo, bravissimi!

E poi, a suonare Chopin c'è questo giovane, meraviglioso musicista che sembra doppio. Doppio perché il suo corpo si muovo poco, pochissimo mentre suona. Rifiuta i manierismi interpretativi che vogliono il busto ondeggiare e oscillare a sottolineare compartecipazione e compenetrazione nella musica. Ma da quelle mani escono emozioni incredibili, chiaroscuri meravigliosi, colori e timbri, pause e respiri che talvolta distraggono gli occhi dai danzatori per andare a vedere lui, che sembra immobile, ma non lo è affatto. Il suo nome è Gabriele Strata e mi ha emozionato come solo alcuni grandi, enormi musicisti hanno saputo fare: grazie!

Non c'è altro da raccontare perché è solo da vedere.

Grazie alla Società dei Concerti e al suo direttore artistico Marco Seco per aver organizzato questo piccolo festival che spero ci riserverà altre sorprese come questa!