Che bello potersi ancora emozionare e scoprire qualcosa di nuovo all'alba dei miei 60 anni: è davvero un piacere!
Stavolta è grazie al trittico pucciniano di cui conoscevo solo Gianni Schicchi. Nell'annosa disputa Verdi/Puccini ho sempre preferito Verdi, più mastodontico e simile ai miei gusti della musica di Puccini, Turandot a parte, per cui non mi sono mai preoccupato di approfondirne la conoscenza, se non cercando di vederle dal vivo, allegando alle immagini di qualche allestimento teatrale nuove arie, ouverture et similia. È stata una serata perfetta, tra le migliori che io abbia mai visto in questo teatro, sia per il livello musicale in generale, che per la conduzione registica e l'estetica generale che era assolutamente coinvolgente!
Il regista, Pier Francesco Maestrini (avevo ballato in Un ballo in maschera diretto da suo papà), è figlio d'arte ma sfata la diceria per la quale questi figli sembrano meno talentuosi dei genitori. La chiave di lettura di questi atti unici, il parallelo ricercato con le tre cantiche della Divina Commedia dantesca e l'atmosfera tetra in cui li affoga è assolutamente vincente.
"Vedo il Trittico come la concretizzazione del progetto dantesco che tanto attrasse Puccini senza realizzarlo: c’è l’inferno di quelle anime dannate che, nel Tabarro, si ammazzano di lavoro al servizio di un barcaiolo, il loro Caronte; c’è il purgatorio nell’espiazione di Suor Angelica per il peccato commesso; c’è il paradiso in quel Gianni Schicchi ch’è l’unico vero soggetto dantesco, ma convertito da episodio infernale a commedia: un colpo di genio!"
Resteranno scolpite nella mia memoria la lenta uccisione di Luigi e il nasconderne il corpo nel tabarro. Così come la dannazione che sembra irrisolvibile per Suor Angelica, tramutandola in un albero. O l'infinita serie di corpi su cui si svolge il Gianni Schicchi, che è basato proprio sull'occultamento di cadavere e ricorda a tutti noi pagine di dantesca scolastica memoria. Veramente una lettura attenta, colta, completa e raffinata che avvince noi spettatori, senza lasciare spazio a dubbi o inesattezze: bravo! Non è da meno il cast creativo con cui collabora: dallo scenografo Nicòlas Boni alla costumista Stefania Scaraggi, dal light designer Daniele Naldi all'ignoto creatore delle meravigliose proiezioni (forse sempre Boni?) che mai come in questo caso sono state pertinenti e importanti, fondamentali!
Il sipario si apre sulla scena apprestata per Il tabarro e non so esattamente cosa aspettarmi. Tutto è tetro, plumbeo e penso ai minatori, alle fatiche umane sottopagate che hanno segnato l'avvento della rivoluzione industriale. L'ambientazione è su una chiatta, ancorata lungo le rive della Senna e si percepisce tangibile la sofferenza, la povertà e il tentativo, attraverso un ballo mal eseguito e il lasciarsi andare a misere passioni, di riscattare qualche attimo di spensieratezza. Ahimè, quando si ha poco, lo si tiene ancora più stretto e così fa Michele, un mastodontico Roman Burdenko, che uccide il rivale in amore Luigi, uno squillante Mikheil Sheshaberidze, che gli sta portando via la sua Giorgietta, una strepitosa Olga Maslova.
Dopo un piacevole intervallo (piacevole perché abbiamo approfittato di questa nuova iniziativa del Teatro Verdi di servire uno spuntino accompagnato da un calice nel Ridotto/Lounge Victor de Sabata del Teatro: approfittatene, è delizioso!) è il momento di Suor Angelica. La cupezza si affievolisce, lasciando intravvedere ogni tanto un raggio di sole che squarcia le nubi e rallegra un mare tempestoso. Siamo in un monastero di clausura e verremo presto a scoprire la colpa imperdonabile che ha spinto la zia di Angelica, rimasta orfana, a rinchiuderla qui dentro. Quando scoprirà che il bimbo, nato da una relazione giovanile, è morto dopo aver contratto una malattia, Suor Angelica non vedrà futuro per sé e si suiciderà. Ho avuto la fortuna di scoprire quest'opera dalla voce potente e perfettamente controllata di Anastasia Bartoli (altra filgia d'arte decisamente ben riuscita!) che mi ha fatto amare questa partitura e vivere il personaggio grazie ad una capacità interpretativa di rara maestria. Era ben supportata dalla austera Badessa cantata da Giovanna Lanza e dalla perfida Zia Principessa interpretata solennemente da una infaticabile Chiara Mogini.
Chiude la serata Gianni Schicchi, una divertente farsa ispirata al "chi la fa, l'aspetti" scandita con indiscutibili e perfetti tempi comici. I parenti diseredati dal defunto Buoso Donati, convocano Gianni Schicchi affinché trovi una soluzione per far loro recuperare le fortune del morto altrimenti promesse alla Chiesa ma, alla fine, riesce ad intestare a sé stesso i beni di maggior pregio, beffandosi di loro. Schicchi era nuovamente l'eccellente Roman Burdenko, che si conferma un baritono di grande qualità, dalla tecnica salda e dalla forte presenza scenica. Impossibile non citare il suo futuro genero Rinuccio cantato con bellissimo timbro tenorile da Pierluigi D'Aloia e la deliziosa Lauretta interpretata da Sara Cortolezzis che canta l'aria più famosa del trittico O mio babbino caro con assoluta maestria ma forse con troppi respiri e rallentando nel finale.
La direzione dell'Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ha suonato senza pecche le pagine pucciniane, guidata dal talento istrionico di Francesco Ivan Ciampa, che ha spesso catturato gli occhi di noi spettatori per la foga e la sentita partecipazione con cui ha diretto le tre opere. Bene la prestazione del coro femminile in Suor Angelica, diretto dall'indiscutibile talento del Maestro Paolo Longo, e del Coro dei piccoli cantori della Città di Trieste, diretto dalla Maestra Cristina Semeraro. La lista di interpreti è lunghissima e la potete trovare sul link all'inizio di questa pagina: sintetizzo scrivendo che, se una serata è vincente come questa, è grazie all'apporto di tutti, ma proprio tutti, masse tecniche comprese!
Il pubblico del Verdi sembrava irriconoscibile, specialmente per essere quello della prima, in genere piuttosto ingessato. Qualche titubanza negli applausi alla chiusura delle arie più famose ma tifo da stadio per lo strepitoso cast: sala piena e soddisfazione alle stelle! Un plauso a Giuliano Polo e Paolo Rodda per lo splendido risultato raggiunto.
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