Turandot è la mia preferita, assieme a Tosca, tra le opere di Giacomo Puccini. Probabilmente perché è la più verdiana, piena di volume, di percussioni e di tecnica vocale. Devo dire che le versione che ho visto stasera è stata forse fin troppo verdiana...mai mi sarei aspettato di venire così...travolto dal suono! ;-)
Sono rimasto pienamente soddisfatto dallo spettacolo, della messa in scena del quartetto formato dal regista Davide Garattini Raimondi, dallo scenografo e light designer Paolo Vitale, dal costumista Danilo Coppola e dalla assistente alla regia Anna Aiello. È uno spettacolo interessante, curato, moderno, degno di molte scene europee di livello e piuttosto insolito per il Massino triestino. La regia cesella tutto quello di cui c'è bisogno: l'interazione tra le prime parti, le azioni del coro, la credibilità delle comparse, senza nessuna lacuna. Hanno saputo muovere tutto con grande perizia e adeguatezza, incluse le inferriate su ruote che sono riuscite a non collidere mai: bravi Davide e Anna! In un team creativo così, scene e costumi non potevano essere da meno. L'ambientazione che cita e richiama Star Wars e altri film di fantascienza, è perfettamente resa dalle scene, sapientemente illuminate, di Vitale e dagli eleganti e assolutamente congeniali costumi di Coppola: bravi anche loro!
La parte musicale è dirompente. Il Direttore spagnolo Jordì Bernàcer decide di evidenziare, di spingere tutti i suoni che stanno alla sua bacchetta dalle prime parti, ai corsisti, ai maestri d'orchestra. Ma li spinge così tanto da farmi dimenticare, come accennavo all'inizio, che si tratti di un'opera del Maestro di Torre del Lago.
Il coro risponde egregiamente, tanto da sembrare il doppio della realtà numerica: mai li ho sentiti spingere tanto e spero che terranno le corde vocali in assoluto riposo fino alla recita di domani. Bravi anche nel tenere la scena, nonostante lo sforzo fisico! E un bravo anche al Maestro Paolo Longo che sa portarli a simili vette.
L'orchestra fa un figurone, a cominciare dalle ineccepibili percussioni, ma senza trascurare i fiati che spesso mi tengono col fiato sospeso: il suono è forte ma netto, senza sbavature, senza errori grossolani. bravi anche loro!
La compagnia di canto è forse l'anello meno convincente nonostante due nomi di calibro, forse non propriamente in serata. Kristina Kolar è Turandot da parecchi anni, eppure nell'incipit di In questa reggia ha avuto qualche problema tecnico e di intonazione che non è riuscita a far passare inosservato. Si è poi ripresa strada facendo, sfoderando tutta la tecnica e il volume che le è proprio. Il Calaf di Amadi Lagha squilla e attacca la sua parte come fosse una passeggiata, con generosità e forza anche se, ogni tanto, a tanta facilità di emissione negli acuti non corrisponde un'adeguata tecnica che lo sostenga nel registro centrale. La Liù di Ilona Revolskaia si riscatta nella sua aria finale Tu che di gel sei cinta dopo aver sostenuto una recita poco convincente e con un vibrato vocale non proprio piacevole da ascoltare. Adorabili - per fortuna, visto il peso che hanno nella vicenda - il Ping del grandioso Nicolò Ceriani (una delizia per le orecchie e per gli occhi vista la grande padronanza scenica), il Pang di Saverio Pugliese e il Pong di Enrico Iviglia: divertenti e musicalmente ineccepibili. Dominante il Mandarino di Italo Proferisce e adeguate le due Ancelle. Degli altri preferisco non dire.
Il pubblico triestino non sembrava quello di tante prime di casa, poco interessato e poco preparato. Anzi. Ha saputo risparmiarsi applausi inutili (no, dopo Nessun dorma non hanno resistito) e non si è lasciato andare ad ovazioni generiche o generose: potrebbe sembrare freddo ma mi ha dato invece l'impressione di aver perfettamente capito cosa avevano ascoltato e qual era il livello dei singoli artisti. Qualche Buuu al team creativo a mio avviso tutt'altro che meritato: ah, questi conservatori.
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