Temevo molto per questa Lucia di Lammermoor perché è un'opera che amo molto e che non vedevo in scena da un po' di tempo. Temevo perché, visto il livello dei cantanti delle due precedenti produzioni, avevo paura che avremmo avuto una distribuzione al risparmio, e invece no, anzi!
Ho trovato regia e allestimento serie e austeri ma, dopo l'ultima nefandezza vista sul palcoscenico del massimo triestino, mi è sembrata un miracolo di equilibrio ed eleganza. La molto tradizionale ma scorrevole regia è firmata da Bruno Berger-Gorski che si concede un unico volo pindarico nell'immaginare Lucia incinta di Edgardo mentre compie la mattanza di Arturo, appena sposato. La regia è centrata sui protagonisti che segue con cura ma poco sul coro che, a parte la scena terza del secondo atto dove sono chiamati ad interpretare delle danze accennate ma piacevoli, è condannato alla solita immobilità schierata. Scene di Carmen Castanon e costumi di Claudio Martin, parimenti assortiti alle volontà del regista di rappresentare il cupo potere della Chiesa, le imposizioni, le guerre e il costante tentativo di non lasciar emancipare le donne.
Nel ruolo di Lucia abbiamo avuto la fortuna di sentire e vedere un soprano come Jessica Pratt che, nuovo timore, annuncia di essere indisposta ma di voler comunque affrontare la recita. In effetti nella sua prima grande scena Ancor non giunse qualche problema si è sentito ma padrona dello strumento e della tecnica, ha saputo portare avanti tutta la recita, ovviando con filati e mezze voci che, in piena armonia con la delicata e sussurrata direzione d'orchestra di Daniel Oren, hanno riempito di magia la sala del Verdi, ammutolita ad ascoltare tanta grazia. Invidio chi potrà ascoltarla, auspicabilmente in piena forma, nelle prossime recite: una vera regina del belcanto! È stata ben supportata dall'Edgardo di Francesco Demuro, di grande slancio vocale e timbro perfetto da tenore romantico che, in costante crescita interpretativa e vocale, ha concluso l'opera magistralmente, acclamato dal pubblico. Molto valida anche la prova del baritono Maxim Lisiin nel ruolo di Lord Enrico dal perfetto sillabato al punto che mi ha fatto pensare fosse italiano. Ho molto apprezzato anche la prestazione di solido professionismo resa da Carlo Lepore come Raimondo, una sorta di Rasputin per influenza e religiosità che ha saputo padroneggiare canto e palco con fascino e vera maestria.
La direzione di Oren, che ho sempre ritenuto un po' coercitiva, mi è veramente piaciuta in quest'opera di Donizetti che come tanto Verdi può virare facilmente al clangore, mentre il Direttore israeliano è riuscito a "tenere bassi i toni" esaltando finezza e delicatezza di un dramma così sconvolgente ma avvincente. L'Orchestra del Verdi è da sempre obbediente alle sue richieste e viene premiata dal bellissimo risultato artistico generale, così come il Coro egregiamente diretto da Paolo Longo che non si risparmia né vocalmente, né scenicamente.
La Direzione della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste sta portando a casa un'altra stagione ben programmata: il pubblico plaudente, anche se non numerosissimo, ha tributato giusti riconoscimenti a Soprano, Tenore e Direttore.