Locandina dello spettacolo
Ma guarda un po'. Chi avrebbe mai immaginato di incontrare una splendida Giselle in seno ad una compagnia di giro?!? Ed invece è stata proprio così. Come già detto e ripetuto, purtroppo, non sarò in grado di dirvi il suo nome, ma posso assicurarvi che è stata deliziosa.
Il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia ospita da diversi anni il Balletto di Mosca "La Classique" nella Sala Assicurazioni Generali del politeama Rossetti di Trieste, è così ha fatto anche quest'anno offrendoci uno Schiaccianoci (che ho già recensito lo scorso anno) e questa deliziosa Giselle, basata sull'originale di Coralli e Perrot, sulla musica romaticamente immortale di Adolphe Adam.
L'aspetto che mi ha maggiormente colpito è stato il revisionismo drammaturgico applicato dal Maestro Elik Melikov che ha saputo risolvere brillantemente alcune delle incongruenze di questo balletto di repertorio così come viene rappresentato nei maggiori teatri mondiali. Ad esempio: chi ha mai capito perché la corte di nobili al seguito di Bathilde si disperde nel bosco per una pennichella dopo averla lasciato nella minuscola casetta di due contadinelle? O perché Giselle stramazza al suolo per una brutta notizia dopo aver saltato e girato per trenta minuti di seguito? Lascio da parte il mio solito sarcasmo, ma i punti salienti sono proprio questi.
Melikov si concentra molto attentamente sulla
costruzione della sua versione, senza dare per scontato nulla e senza ripetere pedissequamente la mimica che spesso viene tramandata. Si pone delle domande e, come già detto, offre anche delle risposte, proponendo una visione diversa ma interessante. Il fulcro della sua operazione ruota giustamente intorno a Giselle, che dimostra una salute cagionevole da subito e lo si capisce già dai turbamenti che le salgono nel momento in cui incontra Albrecht. Durante il Valzer delle vignaiole ha un primo mancamento (presente anche in altre versioni) ma qui viene sottolineato ed evidenziato mentre molte altre ballerine credo lo accennino, quasi a voler celare una debolezza del personaggio.Ogni volta che succede qualche imprevisto questa Giselle si adombra, si perde nei propri pensieri, nei propri dubbi e aspetta sempre che sia qualcun'altro a trovare una soluzione che sia la mamma, Albrecht o Hilarion. La nostra Carla Fracci ha molto lavorato sul personaggio per chiaroscurarlo e renderlo credibile a tutto tondo. Ma sono del parere che Melnikov sia riuscito a scendere ancora più a fondo nell'aspetto psicologico e motivazionale.
Questa danzatrice sa essere anche molto altro: è tenera e indifesa, titubante, austera, addolorata e luminosa; ha punte d'acciaio nonostante un collo del piede molto sviluppato e un adagio mozzafiato: meriterebbe di apparire come Guest in teatri e produzione più altisonanti.
Il corpo di ballo è lavorato e molto assieme: sembra di essere tornati ai vecchi, elevatissimi standard sovietici. Le file ed i disegni sono impeccabili, così come le controscene e l'energia profusa.
In merito agli altri solisti Albrecht era elegante e pulito, nobile anche se con un viso poco credibile nel ruolo del seduttore; Myrtha era precisa ma il ballon (l'abilità nel saltare) era ottimo a sinistra e meno consistente a destra e, in generale, era poco severa e affascinante; Hilarion era nella parte. Mentre dedico una nota di merito in più per Bertha, la mamma di Giselle, che era partecipe e ben costruita tanto quanto il personaggio della figlia (anche se ogni tanto sembrava fosse entrata in scena Madonna Capuleti).
Scenografie dipinte e un po' troppo gualcite, costumi nel tipico stile sovietico un po' troppo lucidi e appariscenti, luci funzionali ma pensate,troppo fumo sparato con poca delicatezza ma nel contesto generale una versione veramente gradevole e ben riuscita: bravi!
Peccato che a vederla ci fosse un quarto di platea e forse una delle gallerie piene....peccato per gli artisti e peccato per tanto pubblico che, magari con un prezzo più popolare, avrebbe potuto stivare tutto il teatro.
Benvenuti nel mio blog! Per sapere chi sono visitate www.corradocanulli.it In questi post vi racconterò la mia personale, personalissima opinione degli spettacoli che andrò a vedere a Trieste & dintorni! Aspetto i vostri commenti, ma non siate spietati come me! ;-)
domenica 28 dicembre 2014
GISELLE 28 dicembre 2014
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sabato 20 dicembre 2014
LO SCHIACCIANOCI 11 dicembre 2014
LOCANDINA DELLO SPETTACOLO
Interessante questa versione de Lo Schiaccianoci con la coreografia e la regia di Mario Piazza per il Balletto di Roma.
Grazie alla piccola ma interessante stagione che il Circuito Danza del Friuli Venezia Giulia propone ogni anno al Teatro Sloveno di Trieste, riusciamo a vedere quelle compagnie italiane di giro che, altrimenti, difficilmente approderebbero nella sale teatrali triestine, che sono o troppo grandi o troppo piccole per la danza.
Schiaccianoci dicevamo e, guarda caso, siamo in pieno periodo natalizio. Ma cosa c'è di male? In fondo aspettiamo questo periodo ogni anno per addobbare le case, preparare qualche pensierino per gli amici e andare a vedere questo balletto a teatro!
Ma torniamo ai fatti. Giovedì 11 dicembre 2014 è approdata anche a Trieste questa produzione storica, in tournée dal 2006, prodotta dal Balletto di Roma di cui è Direttore Artistico Walter Zappolini.
La vicenda segue fedelmente la partitura musicale di Cajkovskj, senza spostare, invertire o introdurre altri brani. La favola invece è trasposta ai tempi attuali e vede due fratelli, Clara e Fritz, intenti a giocare con un videogame. Presto giungono i loro genitori e altri bambini invitati alla loro festa. Assieme a loro giunge Drosselmeier, deus ex machina della vicenda, che porta con sé una marionetta, lo Schiaccianoci appunto, che da amico diventerà durante il sogno, anzi l'incubo di Clara il suo peggior nemico.
Il primo appunto che vorrei muovere a Mario (mi permetto il tu, visto che ci conosciamo da molti anni) è che il libretto, di Riccardo Reim, è difficilmente leggibile dal pubblico che non ha visto almeno 2/3 versioni diverse del classico balletto. Maggior attenzione alla narrazione vera e propria della storia sarebbe necessaria. Difficile capire cosa succede, difficile capire chi è chi, visto che si viene sommersi da fiumi di danza. Questo è il secondo appunto. Appunto, non critica: troppa danza, troppi passi che alla lunga creano un calo di tensione, anche se è danza bella e ben danzata, come alcune bellissime ed originali prese. Tanta danza quindi. E ben venga, per carità! Anche perché i danzatori del Balletto di Roma, sono ancora una volta un ensemble di grande qualità. Sono giovani dai bei fisici selezionati, dalla guizzante dinamica di movimento, dalla tecnica salda e precisa e dall'espressività sentita: bravi. Tutti! Un bravo va sicuramente riconosciuto anche al maitre Piero Rocchetti che tiene le fila (e le file perfettamente unisone!).
Nella solita assenza di informazioni e di un libretto di sala (grazie ad una soffiata) posso dirvi che Fritz era un tecnicamente ed artisticamente brillante Luca Pannacci assieme ad un altrettanto sfavillante Azzurra Schena nel ruolo di Clara; mi è molto piaciuto il perfido ed elegante Drosselmeyer interpretato da Dino Amante; mi sono rimaste impresse anche le lunghe linee di Roberta De Simone e Claudia Vecchi: sembra di veder una sola danzatrice tanto vanno assieme!
André De La Roche si conferma l'artista simpatico di sempre, anche se credo sia arrivato il momento di indossare qualcosa più di una calzamaglia e di non credere che sia così importante toccarsi la fronte con la gamba.
Ho molto apprezzato l'impianto scenografico e i costumi di Giuseppina Maurizi che hanno immediatamente collocato l'operazione ad un ottimo livello per essere uno spettacolo di giro (anche se ho detestato i completini mutanda/canotta grigi dei ragazzi).
L'operazione è sicuramente di successo e la sala stracolma del Teatro Sloveno lo conferma, vista anche la raffica di applausi (tre chiamate) che ha tributato meritatamente alla compagnia romana!
Interessante questa versione de Lo Schiaccianoci con la coreografia e la regia di Mario Piazza per il Balletto di Roma.
Grazie alla piccola ma interessante stagione che il Circuito Danza del Friuli Venezia Giulia propone ogni anno al Teatro Sloveno di Trieste, riusciamo a vedere quelle compagnie italiane di giro che, altrimenti, difficilmente approderebbero nella sale teatrali triestine, che sono o troppo grandi o troppo piccole per la danza.
Schiaccianoci dicevamo e, guarda caso, siamo in pieno periodo natalizio. Ma cosa c'è di male? In fondo aspettiamo questo periodo ogni anno per addobbare le case, preparare qualche pensierino per gli amici e andare a vedere questo balletto a teatro!
Ma torniamo ai fatti. Giovedì 11 dicembre 2014 è approdata anche a Trieste questa produzione storica, in tournée dal 2006, prodotta dal Balletto di Roma di cui è Direttore Artistico Walter Zappolini.
La vicenda segue fedelmente la partitura musicale di Cajkovskj, senza spostare, invertire o introdurre altri brani. La favola invece è trasposta ai tempi attuali e vede due fratelli, Clara e Fritz, intenti a giocare con un videogame. Presto giungono i loro genitori e altri bambini invitati alla loro festa. Assieme a loro giunge Drosselmeier, deus ex machina della vicenda, che porta con sé una marionetta, lo Schiaccianoci appunto, che da amico diventerà durante il sogno, anzi l'incubo di Clara il suo peggior nemico.
Il primo appunto che vorrei muovere a Mario (mi permetto il tu, visto che ci conosciamo da molti anni) è che il libretto, di Riccardo Reim, è difficilmente leggibile dal pubblico che non ha visto almeno 2/3 versioni diverse del classico balletto. Maggior attenzione alla narrazione vera e propria della storia sarebbe necessaria. Difficile capire cosa succede, difficile capire chi è chi, visto che si viene sommersi da fiumi di danza. Questo è il secondo appunto. Appunto, non critica: troppa danza, troppi passi che alla lunga creano un calo di tensione, anche se è danza bella e ben danzata, come alcune bellissime ed originali prese. Tanta danza quindi. E ben venga, per carità! Anche perché i danzatori del Balletto di Roma, sono ancora una volta un ensemble di grande qualità. Sono giovani dai bei fisici selezionati, dalla guizzante dinamica di movimento, dalla tecnica salda e precisa e dall'espressività sentita: bravi. Tutti! Un bravo va sicuramente riconosciuto anche al maitre Piero Rocchetti che tiene le fila (e le file perfettamente unisone!).
Nella solita assenza di informazioni e di un libretto di sala (grazie ad una soffiata) posso dirvi che Fritz era un tecnicamente ed artisticamente brillante Luca Pannacci assieme ad un altrettanto sfavillante Azzurra Schena nel ruolo di Clara; mi è molto piaciuto il perfido ed elegante Drosselmeyer interpretato da Dino Amante; mi sono rimaste impresse anche le lunghe linee di Roberta De Simone e Claudia Vecchi: sembra di veder una sola danzatrice tanto vanno assieme!
André De La Roche si conferma l'artista simpatico di sempre, anche se credo sia arrivato il momento di indossare qualcosa più di una calzamaglia e di non credere che sia così importante toccarsi la fronte con la gamba.
Ho molto apprezzato l'impianto scenografico e i costumi di Giuseppina Maurizi che hanno immediatamente collocato l'operazione ad un ottimo livello per essere uno spettacolo di giro (anche se ho detestato i completini mutanda/canotta grigi dei ragazzi).
L'operazione è sicuramente di successo e la sala stracolma del Teatro Sloveno lo conferma, vista anche la raffica di applausi (tre chiamate) che ha tributato meritatamente alla compagnia romana!
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domenica 30 novembre 2014
DISNEY'S BEAUTY AND THE BEAST 26 novembre 2014
Locandina dello spettacolo
Ineccepibile. Nonostante il preambolo negativo dei trenta minuti di posticipo causati dal ritardato arrivo di un camion che conteneva elementi necessari allo spettacolo, questo Disney's Beauty and the Beast è uno spettacolo ineccepibile sia tecnicamente che artisticamente. Alla prima rappresentazione presso il Politeama Rossetti di Trieste, mercoledì 26 novembre 2014 mi sono reso conto che non c'è nulla da fare. Per quanti sforzi facciamo, il miracolo all'italiana che salva quasi sempre i debutti delle produzioni nostrane, resta il nostro punto di forza, ma siamo ancora molto lontani dalla precisione, dall'affiatamento e dal rodaggio che le produzioni anglosassoni si portano appresso.
Tutto è filato via nella più perfetta precisione per due ore e venticinque minuti: cambi di scena, luci, coreografie, dialoghi, canzoni, ecc...incredibili! Una macchina teatrale perfettamente oliata...
Gli artisti che animano questo spettacolo sono di notevole bravura: splendide voci, grande presenza scenica, teatralità a tutto tondo. Sembrano soltanto un po' troppo ingabbiati nei ruoli, senza che ci sia spazio per la benché minima personalizzazione...ma forse è solo un retaggio della mia formazione teatrale italiana.
In merito al cast creativo mi limito a citare le cose che più mi sono rimaste in mente.
Matt West crea un fantastico numero per i danzatori che si muovono sui suoni creati dallo sbattere dei loro boccali da birra in peltro...un po' come la parte ritmica presente anche in 7 spose per 7 fratelli...veramente delizioso! Ho trovato i costumi di Ann Hould-Ward pacchiani, ma sono assolutamente perfetti rispetto a quelli del cartoon della major americana. Belli i lupi/marionette di Basil Twist, le scene di Stanley A. Mayer, le luci di Natasha Katz e perfetto il sound design di John
Petrafesa. Molto curata la regia di Rob Roth, perfetta anche nei più piccoli dettagli. Molta pena e rispetto per i poveri "mostri" che si occupavano di spostare varie scene e carrelli e che erano costretti per tempi a volte molto lunghi a restare immobili in posizioni anche molto scomode.
In merito agli interpreti: Darick Pead è totalmente meritevole del ruolo protagonistico della Bestia;
Hilary Maiberger è adeguata scenicamente per Belle, ma la sua voce e gli acuti filati sono a volte noiosi come il personaggio che deve interpretare; il Gaston di Adam Dietlein è indistinguibile dal suo pari animato...identico! Bene anche il sestetto delle persone/oggetti, anzi con un punto in più per la Wardrobe di Jacqueline Grabois; strepitoso il Lefou di Andrea Leach. Un bravo, come già detto va a tutto il cast di danz'attoricantanti che non si risparmia nel regalarci professionalità, sicurezza ed emozioni. Bene l'orchestra diretta da Michael Borth.
Angoletto del critico strarompi.
Lo so che questo spettacolo è stato visto da migliaia di persone, che ha retto Broadway per molti anni e che innumerevoli critici molto più competenti di me l'hanno visto e apprezzato, ma io una critica ce l'avrei comunque: la parte centrale del primo atto soffre di un calo di tensione. Credo che si scenda troppo in dettagli inerenti alcuni personaggi (come il padre di Belle e Gaston) e lo spettacolo perde di mordente.
Andate comunque a vedere questo grande e spettacolare classico di Broadway, a due passi da casa vostra! Grazie Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per farci sentire meno fuori dal mondo! ;-)
Una precisazione: le foto correlate a questo post, riguardano edizioni precedenti di Beauty and the Beast e le ho prese dal web: me ne scuso con gli autori e con gli interpreti
Ineccepibile. Nonostante il preambolo negativo dei trenta minuti di posticipo causati dal ritardato arrivo di un camion che conteneva elementi necessari allo spettacolo, questo Disney's Beauty and the Beast è uno spettacolo ineccepibile sia tecnicamente che artisticamente. Alla prima rappresentazione presso il Politeama Rossetti di Trieste, mercoledì 26 novembre 2014 mi sono reso conto che non c'è nulla da fare. Per quanti sforzi facciamo, il miracolo all'italiana che salva quasi sempre i debutti delle produzioni nostrane, resta il nostro punto di forza, ma siamo ancora molto lontani dalla precisione, dall'affiatamento e dal rodaggio che le produzioni anglosassoni si portano appresso.
Tutto è filato via nella più perfetta precisione per due ore e venticinque minuti: cambi di scena, luci, coreografie, dialoghi, canzoni, ecc...incredibili! Una macchina teatrale perfettamente oliata...
Gli artisti che animano questo spettacolo sono di notevole bravura: splendide voci, grande presenza scenica, teatralità a tutto tondo. Sembrano soltanto un po' troppo ingabbiati nei ruoli, senza che ci sia spazio per la benché minima personalizzazione...ma forse è solo un retaggio della mia formazione teatrale italiana.
In merito al cast creativo mi limito a citare le cose che più mi sono rimaste in mente.
Matt West crea un fantastico numero per i danzatori che si muovono sui suoni creati dallo sbattere dei loro boccali da birra in peltro...un po' come la parte ritmica presente anche in 7 spose per 7 fratelli...veramente delizioso! Ho trovato i costumi di Ann Hould-Ward pacchiani, ma sono assolutamente perfetti rispetto a quelli del cartoon della major americana. Belli i lupi/marionette di Basil Twist, le scene di Stanley A. Mayer, le luci di Natasha Katz e perfetto il sound design di John
Petrafesa. Molto curata la regia di Rob Roth, perfetta anche nei più piccoli dettagli. Molta pena e rispetto per i poveri "mostri" che si occupavano di spostare varie scene e carrelli e che erano costretti per tempi a volte molto lunghi a restare immobili in posizioni anche molto scomode.
In merito agli interpreti: Darick Pead è totalmente meritevole del ruolo protagonistico della Bestia;
Hilary Maiberger è adeguata scenicamente per Belle, ma la sua voce e gli acuti filati sono a volte noiosi come il personaggio che deve interpretare; il Gaston di Adam Dietlein è indistinguibile dal suo pari animato...identico! Bene anche il sestetto delle persone/oggetti, anzi con un punto in più per la Wardrobe di Jacqueline Grabois; strepitoso il Lefou di Andrea Leach. Un bravo, come già detto va a tutto il cast di danz'attoricantanti che non si risparmia nel regalarci professionalità, sicurezza ed emozioni. Bene l'orchestra diretta da Michael Borth.
Angoletto del critico strarompi.
Lo so che questo spettacolo è stato visto da migliaia di persone, che ha retto Broadway per molti anni e che innumerevoli critici molto più competenti di me l'hanno visto e apprezzato, ma io una critica ce l'avrei comunque: la parte centrale del primo atto soffre di un calo di tensione. Credo che si scenda troppo in dettagli inerenti alcuni personaggi (come il padre di Belle e Gaston) e lo spettacolo perde di mordente.
Andate comunque a vedere questo grande e spettacolare classico di Broadway, a due passi da casa vostra! Grazie Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per farci sentire meno fuori dal mondo! ;-)
Una precisazione: le foto correlate a questo post, riguardano edizioni precedenti di Beauty and the Beast e le ho prese dal web: me ne scuso con gli autori e con gli interpreti
mercoledì 12 novembre 2014
BALLET BLACK 11 novembre 2014
Locandina dello spettacolo
Fresco e piacevole inizio di stagione quello che ci propone il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia nella sua casa del Politeama Rossetti di Trieste. Per l'inaugurazione del cartellone dedicato alla danza, abbiamo avuto il piacere di assistere ad un trittico ad opera del Ballet Black.
Questa compagnia inglese nasce dalla ferrea volontà di Cassa Pancho, una laureata della Royal Academy of Dance di Londra, che ha voluto idealmente proseguire il progetto creato da Alvin Ailey: una compagnia di neri (in questo caso aperta anche agli asiatici), con un repertorio ideato appositamente per le loro capacità atletiche ed interpretative. Fondato nel 2001 è appena approdato in Italia, tant'è che il suo titolo più celebrato A Dream Within a Midsummer Night's Dream ha debuttato in prima nazionale proprio stasera, a Trieste. Quindi, sempre "lode e gloria" alla dirigenza del teatro per averci portarto queste "chicche" sotto casa. A noi pubblico non resta che andare a teatro...giusto? Ma ci andate a teatro? Altrimenti non lamentatevi poi se li trasformano in supermercati o se tutto finisce ad Udine...
Ma andiamo per ordine.
Lo spettacolo inizia con un trio di una noia e di una vuota banalità sorprendente. Una sequela di passi senza un vero perché. E neanche tanto originali. Brillano gli interpreti: tre danzatori dai fisici molto diversi, ma accomunati dallo stesso talento per il senso del movimento (i neri hanno il ritmo nel sangue! Non potevo non dirla...;-) Sulla musica di Paul Hindemith con costumi piuttosto mediocri di Rebecca Hayes, splendide luci non sappiamo ad opera di chi. Coreografia di Martin Lawrance.
Video "Two of a kind"
Per fortuna il brano che segue è invece un piccolo, prezioso gioiello: si intitola Two of a kind e ce lo regala Christopher Marney, un coreografo. Oltre ad utilizzare la tecnica della danza classica in modo originale e personale, è dotato di grande musicalità e di freschezza compositiva, con un bell'uso dei disegni coreografici, dei canoni, dei duetti e degli assoli. Veramente delizioso e, di nuovo, molto ben danzato. In scena due coppie (terrificanti i costumi gialli per le due donne), raggiunte solo per il finale, da altre due.
Ma il piccolo capolavoro prezioso di questa serata è A dream within A Midsummer Night's dream: capace di essere letto e capito anche da chi non conosce l'assurdo intreccio scespiriano. Inizia con una sequenza di pura tecnica accademica (ricorda un Balanchine primissima maniera) che viene stroncata dall'ingresso di un dissacrante Puck, in perfetta tenuta da Boyscout, con accessori tribali e varie altre diavolerie. La danza puramente classica sparisce per lasciare spazio ad altre forme espressive dei danzatori (anche vocali) che vengono portati in un bosco oscuro e resi vittime del volere del piccolo folletto. Tra cambi di costume vari, orecchie da asino, sniffate di cocaina, porporine magiche passaggi attraverso teli magici, ecco dipanato tutto il plot ideato dal Bardo dell'Avon. Godibilissimo e, come sopra, danzato con eleganza e rigore, nonostante il totale non-sense. Cito qui gli splendidi danzatori, visto che non ci è dato sapere chi interpretava quale ruolo: Cira Robinson, Damien Johnson, Joseph Alves, Sayaka Ichikawa, Isabela Coracy, Jakob Wie, Kanika Carr e Christopher Renfurm. Costumi gradevoli di Jean-Marc Puissant e coreografia, ma più che di coreografia parlerei di drammaturgia coreografica, di Arthur Pita, autore di ironia rara e di grande leggerezza, che si è servito di un collage musicale che univa Georg Fiedrich Handel a Cole Porter, Moisés Vivanco a Hart&Rodgers.
Platea abbastanza piena, pubblico attento e divertito.
domenica 9 novembre 2014
TRISTANO E ISOTTA 4 novembre 2014
Locandina dello spettacolo
Splendida, splendida premiére al Teatro dell'Opera di Lubiana con questo Tristano e Isotta ad opera del coreografo rumeno Dan Datcu.
Si nota immediatamente un cambio di rotta tra la precedente direzione del classicissimo Irek Mukhamedov e quella di Sanja Neskovic Persin, ex danzatrice dell'ensemble sloveno, che ha da sempre una grande attenzione anche al mondo artistico contemporaneo, giustamente senza rinnegare il passato fatto di grandi classici! Infatti anche in questa stagione vedremo in scena il Lago dei cigni, Don Chisciotte, ecc. ma, giusto per marcare il segno, il debutto viene affidato ad un giovane coreografo e ad un'opera contemporanea.
(Per portare un po' di acqua al mio mulino, sono fiero di aver ospitato nel Festival di danza contemporanea che dirigevo a Trieste, una coreografia di Sanja, Roommate, che avevo molto apprezzato durante il Gibanica Festival del 2009)
Torno allo spettacolo.
Si apre il sipario e si vede una figura di spalle, vestita con un grande pastrano agitato dal vento, e subito resto colpito dalla profondità scenica del palcoscenico del teatro di Lubiana: impressionante, suggestiva, spettacolare. Da lì in poi la danza la fa da padrona ed è un continuo susseguirsi di coreografie di gruppo. Si, perché la particolarità e la preziosità di questo coreografo è proprio la capacità di utilizzare l'ensemble dei tersicorei. Riesce a dipingere la partitura musicale con i corpi dei danzatori: se alcuni di loro iniziano un movimento lo stesso si chiude grazie ad alcuni altri che sono posizionati sul lato opposto del gruppo. Oppure scompone la tessitura acustica per renderne visivamente la struttura, come la scia di un aereo nel cielo. Insomma è veramente un bravissimo artigiano nel muovere le masse, qualità piuttosto rara.
A chiudere il primo atto, che suggella l'incontro tra Tristano e Isotta un vero coup de theatre: una serie di proiettori a testa mobile allineati perfettamente in una riga che bagna il fondo del palcoscenico, percorre tutto il palcoscenico per arrivare al proscenio, superarlo accecando la platea e poi il resto della sala. Una ambientazione sonora prosegue e lascia il pubblico talmente sorpreso che non riusciamo neanche ad iniziare l'intervallo con l'applauso di rito: geniale!
Il secondo atto ha un taglio meno corale, visto che inizia introducendo duetti che faranno salire il climax fino al bellissimo passo a due, celebrato sulle celeberrime pagine Wagneriane del Preludio e della Morte di Isotta. E sono anche le uniche che il compositore canadese Saso Kalan lascia correre quasi intatte, seppur rielaborate elettronicamente. Ho trovato la partitura musicale di Kalan stupefacente, suggestiva, imponente, toccante, intelligente. Il lavoro svolto assieme al coreografo è stupefacente sia per bilanciamento che per libertà e fantasia compositiva, che per rispetto e reciproca dedizione.
Ho visto Ana Klasnja nel ruolo di Isotta, brava e intensa anche se talvolta un po' esitante, e Kenta Jamamoto dalla splendida dinamica di movimento, nel ruolo di Tristano. Intensa ma forse troppo filiforme la Brangaene di Rita Pollacchi. Gli altri ruoli in cui si esibiscono altri bravi danzatori della SNG di Lubiana sono troppo impastati con le danze d'assieme per poterne cogliere le singole qualità.
Era notevole anche l'apparato scenografico ad opera di Meta Grgurevic in collaborazione con Jasa che ha proposto una struttura inedita e molto originale! Era composta da varie figura geometriche realizzate in materiale trasparente che erano sospese sul capo dei danzatori e componevano varie figure a seconda dell'altezza a cui venivano singolarmente calate: a momenti un cuore, in altri delle nuvole, oppure delle frecce. Suggestiva e molto appropriata!
Meno interessanti i costumi di Uros Belantic, troppo didascalici e pesanti alla vista.
Come già detto per il finale del primo atto, notevole il disegno luci di Jaka Simenc che ha creato ambienti e sottolineato situazioni con maestria e originalità
Ottima la scelta della direzione del Teatro di creare un lavoro corale per il suo corpo di ballo: sono
occasioni importanti per creare collante tra i danzatori e gratificarli con un successo che riconosce la loro abilità di fare squadra.
Come sottolineava anche Datcu nel programma di sala, questo è un lavoro corale, creato con passione e interesse da un gruppo di artisti che sono stati messi nelle condizioni di operare senza particolari censure, dove tutti avevano lo stesso potere decisionale e dove non c'è stato un unico referente a prendere le decisioni. E si è visto!
Sala abbastanza piena e pubblico contento.
Splendida, splendida premiére al Teatro dell'Opera di Lubiana con questo Tristano e Isotta ad opera del coreografo rumeno Dan Datcu.
Si nota immediatamente un cambio di rotta tra la precedente direzione del classicissimo Irek Mukhamedov e quella di Sanja Neskovic Persin, ex danzatrice dell'ensemble sloveno, che ha da sempre una grande attenzione anche al mondo artistico contemporaneo, giustamente senza rinnegare il passato fatto di grandi classici! Infatti anche in questa stagione vedremo in scena il Lago dei cigni, Don Chisciotte, ecc. ma, giusto per marcare il segno, il debutto viene affidato ad un giovane coreografo e ad un'opera contemporanea.
(Per portare un po' di acqua al mio mulino, sono fiero di aver ospitato nel Festival di danza contemporanea che dirigevo a Trieste, una coreografia di Sanja, Roommate, che avevo molto apprezzato durante il Gibanica Festival del 2009)
Torno allo spettacolo.
Si apre il sipario e si vede una figura di spalle, vestita con un grande pastrano agitato dal vento, e subito resto colpito dalla profondità scenica del palcoscenico del teatro di Lubiana: impressionante, suggestiva, spettacolare. Da lì in poi la danza la fa da padrona ed è un continuo susseguirsi di coreografie di gruppo. Si, perché la particolarità e la preziosità di questo coreografo è proprio la capacità di utilizzare l'ensemble dei tersicorei. Riesce a dipingere la partitura musicale con i corpi dei danzatori: se alcuni di loro iniziano un movimento lo stesso si chiude grazie ad alcuni altri che sono posizionati sul lato opposto del gruppo. Oppure scompone la tessitura acustica per renderne visivamente la struttura, come la scia di un aereo nel cielo. Insomma è veramente un bravissimo artigiano nel muovere le masse, qualità piuttosto rara.
A chiudere il primo atto, che suggella l'incontro tra Tristano e Isotta un vero coup de theatre: una serie di proiettori a testa mobile allineati perfettamente in una riga che bagna il fondo del palcoscenico, percorre tutto il palcoscenico per arrivare al proscenio, superarlo accecando la platea e poi il resto della sala. Una ambientazione sonora prosegue e lascia il pubblico talmente sorpreso che non riusciamo neanche ad iniziare l'intervallo con l'applauso di rito: geniale!
Il secondo atto ha un taglio meno corale, visto che inizia introducendo duetti che faranno salire il climax fino al bellissimo passo a due, celebrato sulle celeberrime pagine Wagneriane del Preludio e della Morte di Isotta. E sono anche le uniche che il compositore canadese Saso Kalan lascia correre quasi intatte, seppur rielaborate elettronicamente. Ho trovato la partitura musicale di Kalan stupefacente, suggestiva, imponente, toccante, intelligente. Il lavoro svolto assieme al coreografo è stupefacente sia per bilanciamento che per libertà e fantasia compositiva, che per rispetto e reciproca dedizione.
Ho visto Ana Klasnja nel ruolo di Isotta, brava e intensa anche se talvolta un po' esitante, e Kenta Jamamoto dalla splendida dinamica di movimento, nel ruolo di Tristano. Intensa ma forse troppo filiforme la Brangaene di Rita Pollacchi. Gli altri ruoli in cui si esibiscono altri bravi danzatori della SNG di Lubiana sono troppo impastati con le danze d'assieme per poterne cogliere le singole qualità.
Era notevole anche l'apparato scenografico ad opera di Meta Grgurevic in collaborazione con Jasa che ha proposto una struttura inedita e molto originale! Era composta da varie figura geometriche realizzate in materiale trasparente che erano sospese sul capo dei danzatori e componevano varie figure a seconda dell'altezza a cui venivano singolarmente calate: a momenti un cuore, in altri delle nuvole, oppure delle frecce. Suggestiva e molto appropriata!
Meno interessanti i costumi di Uros Belantic, troppo didascalici e pesanti alla vista.
Come già detto per il finale del primo atto, notevole il disegno luci di Jaka Simenc che ha creato ambienti e sottolineato situazioni con maestria e originalità
Ottima la scelta della direzione del Teatro di creare un lavoro corale per il suo corpo di ballo: sono
occasioni importanti per creare collante tra i danzatori e gratificarli con un successo che riconosce la loro abilità di fare squadra.
Come sottolineava anche Datcu nel programma di sala, questo è un lavoro corale, creato con passione e interesse da un gruppo di artisti che sono stati messi nelle condizioni di operare senza particolari censure, dove tutti avevano lo stesso potere decisionale e dove non c'è stato un unico referente a prendere le decisioni. E si è visto!
Sala abbastanza piena e pubblico contento.
giovedì 30 ottobre 2014
IL RE PASTORE 28 ottobre 2014
Locandina dello spettacolo
E' stata una bellissima serata, quella di martedì 28 ottobre, al Teatro Verdi di Trieste in occasione dell'ultima recita del secondo cast de "Il re pastore" di Wolfgang Amadeus Mozart, che ha chiuso la stagione di lirica e balletto 2014.
Una bella stagione, nonostante le difficoltà economiche.
E questo allestimento lo dimostra, rimettendo sul palco triestino la (splendida) struttura che Pier Paolo Bisleri ha disegnato per ricreare quella fissa che domina il Teatro Olimpico di Vicenza. Spettacolare ed elegantissima ma già vista in occasione de "La clemenza di Tito". Come non ricordarla. Giustamente in tempi di ristrettezze Orazi, da bravo padrone di casa, chiude i cordoni della borsa e chiede di risparmiare. E così rivediamo questo incombente monumento (forse troppo per un ambientazione arcadica, tanto pastorale) e, per suggerirne l'ambientazione bucolica, Bisleri posiziona 5 pecore sul lato sinistro del palco, una enorme montagna di vello di pecora al centro, un arcolaio e qualche secchio a destra; per il secondo atto invece, un piccolo trono e alcuni manichini a simboleggiare un esercito bloccato durante un movimento, stessa figura che viene ripresa per qualche momento dai cantanti. Ambientazioni belle, moderne e suggestive, come i costumi che conservano il richiamo mitologico assieme alla struttura settecentesca, sempre ad opera sua. Meno interessante il disegno luci un po' troppo didascalico.
Ho trovato interessante la regia di Elisabetta Brusa, ma avrebbe avuto bisogno di molte più prove per far digerire i movimenti scenici e le abilità quasi danzanti che richiede ai cantanti. Soprattutto considerando che era il secondo cast. La povera Aminta era veramente poco sicura nello slow motion che la regista le ha chiesto durante l'aria de "L'amerò, sarò costante" ed era poco adeguata nella gestione delle gambe, così come nella pretesa giocosità pastorale del primo atto dove dovrebbe rotolare sull'ammasso di lana e finisce invece a mutande all'aria "vista pubblico". Insomma, forse era meglio fare qualcosa di meno, visto le poche prove con cui si allestiscono oggi le opere.
La compagnia di canto era adeguata e di ottimo livello a cominciare dall'Elisa di Larissa Alice Wissel, splendido soprano leggero, per passare all'ottima Aminta di Arianna Vendittelli, soprano ma anche mezzo soprano, concludendo con la Tamiri di Francesca Micarelli, vincente soprattutto nella sua prima aria, ma meno sicura nella seconda. Il comparto maschile era meno efficace: l'Alessandro di Blagoj Nacoskj era poco, poco convincente mentre l'Agenore di Alessandro d'Acrissa risultava di dubbia impostazione lirica. Ma, ripeto, nel contesto e tenendo conto dei singoli ruoli, il cast era di buon livello. Grazie anche all'accorta direzione musicale di Felix Krieger, padrone della fossa orchestrale così come del palcoscenico. Fine conoscitore della musica di area tedesca, porta l'Orchestra del Verdi ad un ottimo livello di coesione e armonia, dimostrandone ancora una volta la validità musicale a tutto tondo: dalla sinfonica all'operistica, dal settecento alla musica contemporanea. Bravi!
Teatro ingiustamente vuotino...peccato! Pubblico non disaffezionarti: il teatro italiano rischia sempre più chiusure e questo è il momento di essere solidali, non di infischiarsene...vi prego!
E' stata una bellissima serata, quella di martedì 28 ottobre, al Teatro Verdi di Trieste in occasione dell'ultima recita del secondo cast de "Il re pastore" di Wolfgang Amadeus Mozart, che ha chiuso la stagione di lirica e balletto 2014.
Una bella stagione, nonostante le difficoltà economiche.
E questo allestimento lo dimostra, rimettendo sul palco triestino la (splendida) struttura che Pier Paolo Bisleri ha disegnato per ricreare quella fissa che domina il Teatro Olimpico di Vicenza. Spettacolare ed elegantissima ma già vista in occasione de "La clemenza di Tito". Come non ricordarla. Giustamente in tempi di ristrettezze Orazi, da bravo padrone di casa, chiude i cordoni della borsa e chiede di risparmiare. E così rivediamo questo incombente monumento (forse troppo per un ambientazione arcadica, tanto pastorale) e, per suggerirne l'ambientazione bucolica, Bisleri posiziona 5 pecore sul lato sinistro del palco, una enorme montagna di vello di pecora al centro, un arcolaio e qualche secchio a destra; per il secondo atto invece, un piccolo trono e alcuni manichini a simboleggiare un esercito bloccato durante un movimento, stessa figura che viene ripresa per qualche momento dai cantanti. Ambientazioni belle, moderne e suggestive, come i costumi che conservano il richiamo mitologico assieme alla struttura settecentesca, sempre ad opera sua. Meno interessante il disegno luci un po' troppo didascalico.
Ho trovato interessante la regia di Elisabetta Brusa, ma avrebbe avuto bisogno di molte più prove per far digerire i movimenti scenici e le abilità quasi danzanti che richiede ai cantanti. Soprattutto considerando che era il secondo cast. La povera Aminta era veramente poco sicura nello slow motion che la regista le ha chiesto durante l'aria de "L'amerò, sarò costante" ed era poco adeguata nella gestione delle gambe, così come nella pretesa giocosità pastorale del primo atto dove dovrebbe rotolare sull'ammasso di lana e finisce invece a mutande all'aria "vista pubblico". Insomma, forse era meglio fare qualcosa di meno, visto le poche prove con cui si allestiscono oggi le opere.
La compagnia di canto era adeguata e di ottimo livello a cominciare dall'Elisa di Larissa Alice Wissel, splendido soprano leggero, per passare all'ottima Aminta di Arianna Vendittelli, soprano ma anche mezzo soprano, concludendo con la Tamiri di Francesca Micarelli, vincente soprattutto nella sua prima aria, ma meno sicura nella seconda. Il comparto maschile era meno efficace: l'Alessandro di Blagoj Nacoskj era poco, poco convincente mentre l'Agenore di Alessandro d'Acrissa risultava di dubbia impostazione lirica. Ma, ripeto, nel contesto e tenendo conto dei singoli ruoli, il cast era di buon livello. Grazie anche all'accorta direzione musicale di Felix Krieger, padrone della fossa orchestrale così come del palcoscenico. Fine conoscitore della musica di area tedesca, porta l'Orchestra del Verdi ad un ottimo livello di coesione e armonia, dimostrandone ancora una volta la validità musicale a tutto tondo: dalla sinfonica all'operistica, dal settecento alla musica contemporanea. Bravi!
Teatro ingiustamente vuotino...peccato! Pubblico non disaffezionarti: il teatro italiano rischia sempre più chiusure e questo è il momento di essere solidali, non di infischiarsene...vi prego!
giovedì 9 ottobre 2014
LES NUITS 7 ottobre 2014
Locandina dello spettacolo
Per parlare di Les Nuits, del coreografo franco-albanese Angelin Prejolicaj, ho deciso di partire da un punto di vista diverso, per cui non vi racconterò per prima cosa dello spettacolo, ma vi parlerò della compagnia.
Sono rimasto colpito innanzitutto dalla capacità di danzare unisoni, prerogativa che nel secolo scorso era appannaggio solo dei corpi di ballo di impostazione classica dell'ex Unione Sovietica, ma incredibilmente è il punto di forza di questi splendidi 18 danzatori contemporanei.
Si è sempre pensato che chi danza lo stile contemporaneo non è tenuto a muoversi sincronicamente. Anzi, spesso era proprio considerato fuori luogo...
Evviva Prejolicaj che, non solo lo gradisce, ma ha cercato anche uno staff che lo supporti in questa direzione. Sarebbe da proporlo come Direttore dei corpi di ballo di numerose compagnie classiche. Oltre a ciò questo "scellerato" permette ai suoi danzatori anche di stendere i piedi, altra vecchia diatriba che divide gli appassionati di danza contemporanea. Che meraviglia...finalmente l'energia del movimento di una gamba può propagarsi fino alla sua estremità! Ho avuto recentemente la sfortuna di assistere ad uno spettacolo di danza contemporanea, ospitato nel massimo teatro della città in cui vivo, nel quale chi ha messo insieme i movimenti dei vari danzatori, chiedeva loro di estendere si il collo del piede, ma non le dita, ricreando un dettame tipico di un certo periodo della Nouvelle Danse francese degli anni ottanta del secolo scorso...imbarazzante...e poi a cosa serviva?
E a proposito di questa corrente che ha creato tanti falsi miti, sono contento che uno di questi sia stato proprio Prejolicaj che, invece, sopravvive e continua a mietere grandi successi.
A questo punto mi tocca parlare proprio dello spettacolo.
A parte i superbi danzatori, l'emozione dell'ensemble assieme (perdonatemi il gioco di parole), la bellezza del light design (Cécile Giovansili-Vissière usa i proiettori a testa mobile come fossero loro stessi dei danzatori), l'estetica molto curata e la rigorosa simmetria geometrica, tipica del coreografo e anche a me molto gradita, devo riferirvi di uno spettacolo che resta molto sulla superficie dell'iconografia, del luogo comune, del già visto e del già detto.
Peccato.
Non me l'aspettavo da un coreografo capace di tanti capolavori da Annonciation a Le parc, da Romeo&Juliet a Un trait d'union...ma è pur sempre vero che "non tutte le ciambelle riescono con il buco".
Nulla di terribile, però vedere che l'ispirazione tratta da Le Fiabe delle mille e una notte serve solo a mettere in scena un fumoso quadro in bianco ambientato in un Hammam, un gruppo di incappucciati terroristi mediorientali, amplessi sessuali che vedono gli uomini sottomettere continuamente le donne, danzatori maschi che si strusciano vogliosi come nelle più tipiche fantasie occidentali...beh, si: onestamente mi aspettavo tutt'altro. Avrei preferito un trattamento molto più onirico, immaginario, fantastico oppure sottili allusioni che mi lasciassero libero di immaginare, invece di un documentario pedissequo e poco accattivante...
Sala gremita, pubblico contento. Lode e gloria al direttore artistico del Cankarjev Dom che a soli 90 km da casa mi permette di vedere
Per parlare di Les Nuits, del coreografo franco-albanese Angelin Prejolicaj, ho deciso di partire da un punto di vista diverso, per cui non vi racconterò per prima cosa dello spettacolo, ma vi parlerò della compagnia.
Sono rimasto colpito innanzitutto dalla capacità di danzare unisoni, prerogativa che nel secolo scorso era appannaggio solo dei corpi di ballo di impostazione classica dell'ex Unione Sovietica, ma incredibilmente è il punto di forza di questi splendidi 18 danzatori contemporanei.
Si è sempre pensato che chi danza lo stile contemporaneo non è tenuto a muoversi sincronicamente. Anzi, spesso era proprio considerato fuori luogo...
Evviva Prejolicaj che, non solo lo gradisce, ma ha cercato anche uno staff che lo supporti in questa direzione. Sarebbe da proporlo come Direttore dei corpi di ballo di numerose compagnie classiche. Oltre a ciò questo "scellerato" permette ai suoi danzatori anche di stendere i piedi, altra vecchia diatriba che divide gli appassionati di danza contemporanea. Che meraviglia...finalmente l'energia del movimento di una gamba può propagarsi fino alla sua estremità! Ho avuto recentemente la sfortuna di assistere ad uno spettacolo di danza contemporanea, ospitato nel massimo teatro della città in cui vivo, nel quale chi ha messo insieme i movimenti dei vari danzatori, chiedeva loro di estendere si il collo del piede, ma non le dita, ricreando un dettame tipico di un certo periodo della Nouvelle Danse francese degli anni ottanta del secolo scorso...imbarazzante...e poi a cosa serviva?
E a proposito di questa corrente che ha creato tanti falsi miti, sono contento che uno di questi sia stato proprio Prejolicaj che, invece, sopravvive e continua a mietere grandi successi.
A questo punto mi tocca parlare proprio dello spettacolo.
A parte i superbi danzatori, l'emozione dell'ensemble assieme (perdonatemi il gioco di parole), la bellezza del light design (Cécile Giovansili-Vissière usa i proiettori a testa mobile come fossero loro stessi dei danzatori), l'estetica molto curata e la rigorosa simmetria geometrica, tipica del coreografo e anche a me molto gradita, devo riferirvi di uno spettacolo che resta molto sulla superficie dell'iconografia, del luogo comune, del già visto e del già detto.
Peccato.
Non me l'aspettavo da un coreografo capace di tanti capolavori da Annonciation a Le parc, da Romeo&Juliet a Un trait d'union...ma è pur sempre vero che "non tutte le ciambelle riescono con il buco".
Nulla di terribile, però vedere che l'ispirazione tratta da Le Fiabe delle mille e una notte serve solo a mettere in scena un fumoso quadro in bianco ambientato in un Hammam, un gruppo di incappucciati terroristi mediorientali, amplessi sessuali che vedono gli uomini sottomettere continuamente le donne, danzatori maschi che si strusciano vogliosi come nelle più tipiche fantasie occidentali...beh, si: onestamente mi aspettavo tutt'altro. Avrei preferito un trattamento molto più onirico, immaginario, fantastico oppure sottili allusioni che mi lasciassero libero di immaginare, invece di un documentario pedissequo e poco accattivante...
Sala gremita, pubblico contento. Lode e gloria al direttore artistico del Cankarjev Dom che a soli 90 km da casa mi permette di vedere
sabato 6 settembre 2014
LIGHT ON - LIGHT OFF 7 3 settembre 2014
Beh, devo dire che valeva proprio la pena fare il viaggio fino a Millstatt per assistere a questa serata dei "Giovani Coreografi Coreani" alla sua seconda e ultima replica europea, dopo il debutto nella prestigiosa Fiera di Francoforte.
Il coraggio di Andrea Schlehwein é ammirevole: riesce a portare produzioni internazionali, oltre a farne di proprie molto interessanti, tra le montagne, al confine con il nulla. Da qualche anno agisce all´interno del bellissimo Convento dei Cappuccini, poi trasformato in Castello, adagiato sulle rive del lago di Millstatt in Carinzia, nonostante la poca attenzione della stampa e delle istituzioni. Da brava tedesca non demorde e continua a lottare contro i mulini a vento dei politici che non vogliono prendere posizione, della carta stampata che lascia sempre meno spazio alla critica, della gelosia che elimina anche i comunicati stampa che arrivano in redazione. Ma per fortuna il pubblico continua a seguirla come dimostrano il centinaio di intervenuti alla serata di mercoledì 3 settembre al Kumst im Stift di Millstatt am See. Pubblico generoso e appassionato che deve essere stato ben educato e cresciuto in questi ultimi anni, viste le lunghe ovazioni che dedica ai pezzi più interessanti della serata.
Questa vetrina inizia nella hall della sala espositiva principale mostrandoci una tonica, ma fragile, Bora Kim che ci racconta la drammatica storia di sua nonna cui prese fuoco una maglia da casa lasciandole a perenne memoria un´incurabile insensibilità cutanea. Era quindi possibile punzecchiarla a sangue o avvicinarle materiali incandescenti senza che la signora in questione avvertisse il benché minimo fastidio. L´ingresso in scena di Bora é indimenticabile: avanza lentamente da una distanza di circa 20 metri con le gambe allargate e le braccia aperte, come un uccello ferito che non riesce più a volare, con una sequenza lunga ma perfetta che alla fine ce la rivela, a torso nudo fasciata solo da un leggero tulle.Ma il resto del pezzo è fragile come lei e troppo frammentato tra contributi video, microfono aperto e pipì scrosciante inclusa. Riesce a creare una tensione emotiva peró più grazie al testo scritto proiettato in video che grazie alla sua danza. Peccato sembra una danzatrice raffinata ed interessante che farebbe la felicità di molti coreografi.
Il secondo brano in programma è quello con la compagine più numerosa, i Goblin Party, ma è anche il più vago e il meno leggibile. Lim Jin Ho é un danzatore/coreografo che si mantiene lavorando per le pompe funebri. Questa professione lo ha portato migliaia di volte a contato con la morte, e gli ha innescato dei quesiti ricorrenti: cosa è la morte? Come si muore? Tutte le morti sono tristi? Si può sperare di morire? L´autore si affretta a chiarire che la sua coreografia non sarà triste e non lo é in effetti (a parte il finale con relativa cerimonia di "quasi" mummificazione!), ma é anche peggio perché associa ad una eccessiva lunghezza una vuotezza diffusa che non da alcuna risposta ai quesiti prima proposti. Peccato anche in questo caso perché i tre interpreti (Lee Kyung Gu, Ji Kyung Min e il coreorafo) sono danzatori di razza, unisoni e dalla bella dinamica.
Il terzo brano ha ribaltato completamente le sorti della serata. Grazie alla magia e alla poesia di Young Hyun Choi ed al suo alter ego manichino, assistiamo a 16 minuti di pura poesia su una celeberrima pagina musicale di Ärvo Part. Il suo assolo prende lo spunto da un monologo di Samuel Beckett scritto nel 1972 e intitolato "Non io" che indaga sulla solitudine. In questo brano invece il coreografo interagisce con un manichino con il quale condivide, combatte, ama, discute, fa pace, fino a diventare egli stesso il corpo fisico del suo interlocutore. Il brano ha ricevuto tre chiamate alla ribalta - meritatissime! - da un pubblico toccato e ammaliato dalla bellezza appena vista sul palco.
Conclude la serata un duo danzato da Hyun Ho Kim e In Soo Lee, anche coreografo dello stesso. Si intitola EDx2 ed è una escalation di bellezza ed energia. E' anche la coreografia più collaudata, visto che è in scena dal 2008 ed ha già vinto numerosi premi. All'inizio la danza è formale e poco interessante, ma pian piano si manifesta come u dialogo di amore e tenerezza tra due uomini, intervallato da momenti di combattimento. Si prendono, si lasciano, uno usa il braccio teso per tenerlo lontano da se, ma poi lo attira: può sembrare banale, ma la coreografia è di grande finezza compositiva e gli occhi restano incollati su questa coppia di amanti.
La serata finisce tra molti applausi, un bel buffet per tutti i presenti, organizzato nel foyer, dove gli artisti possono incontrare le persone del pubblico. Paesino di montagna batte centro urbano 1 a 0!
sabato 26 luglio 2014
GALA' CON LE STELLE MONDIALI DEL BALLETTO 21/07/2014
Locandina dello spettacolo
Arrivare al Krizanke di Lubiana è già di per sé emozionante: l'imponente struttura architettonica, la fiumana di persone che affolla gli ingressi, gli spettacoli proposti, generalmente di grande richiamo: ogni volta che vado, so che assisterò ad un bello spettacolo, in una cornice prestigiosa. Così è stato anche in occasione di questo "Galà serale con le stelle mondiali del balletto" che ha avuto luogo lunedì 21 luglio 2014, grazie ai programmatori del Festival di Lubiana.
La prima sorpresa è stata quella di trovare un'orchestra (sinfonica!) invece della solita musica registrata, molto più comoda per i danzatori che ne conoscono la velocità alla perfezione (e non rischiano l'osso del collo per colpa di direttori disattenti...), ma molto meno appassionante.
La seconda è stata, appunto, la qualità di questa serata: ottimi danzatori di buona scuola con un programma che spaziava dai grandi classici al contemporaneo. Certo le "stelle mondiali del balletto" erano 3 su 12...ma va beh!
Volendo stilare una graduatoria (si, lo voglio fare) porrei al primo posto la coppia formata da Yolanda Correa e Joel Manuel Carreno, entrambi sotto contratto con il Balletto Nazionale Norvegeseo: tecnicamente strepitosi, fulminei e capaci di notevoli virtuosismi tecnici nel passo a due da "Il Corsaro" che ha chiuso il primo tempo e sublimi, affiatati, coesi, elegantissimi, fluidi in "Elegia", una splendida e musicalissima coreografia di Raimond Rebeck.
A seguire posizionerei Liudmila Konovalova, prima solista dell'Opera di Vienna, e Gabriel Davidsson, primo ballerino del Balletto Nazionale Estone: meno brillanti nel duetto dal Regno delle Ombre da "La Baiadera", ma molto più convincenti nel pas de deux del Cigno Nero dal terzo atto de "Il lago dei cigni" dove la Konovalova si conferma un'eccellente virtuosa e Davidsson recupera un po' di verve rispetto alla prima esibizione dove le sue lunghe linee (forse troppo) lo rendevano poco incisivo.
In terza posizione il nostro Vito Mazzeo in coppia con Viktorija Ananjan splendida Carmen, ma Giselle terribilmente insicura): lui presenta un gradevole assolo di Riccardo Di Cosmo, che premia il suo fisico spigoloso e contemporaneo, e accompagna la Ananjan nel passo a due del secondo atto, dove si conferma al contempo virtuoso ed elegante.
Seguono in ordine sparso Dinu Tamazlacaru e Dmitrij Gudanov buoni virtuosi nei rispettivi assoli, ma affiancati a ballerine meno interessanti; una Julija Mahalina ormai verso la fine della carriera, molto interessante scenicamente sia ne "Le spectre de la rose" che in "Sheherazade", ma malamente assortita con Giacomo Bevilacqua, poco affidabile come partner, invece sicuro ed elegante nello "Spectre"; Margarita Rudina è poco nel ruolo de "La Sylphide" e sembrava in grande e grave difficoltà nella variazione e nella coda del passo a due del terzo atto del "Don Chisciotte", dove Tamazlacaru spadroneggiava alla grande la scena e sciorinava la giusta tecnica; un'appannata Anastasija Gorjaceva accompagnava Gudanov in un duetto dall'Onjegin" con coreografia di Vasilij Medvedev, dimenticabile.
L'Orchestra della Radio Televisione Slovena ha suonato con impegno, passione e buona volontà sia la "Polonaise" dall'opera "Evgenij Onjegin" di Piotr Iljic Cajkovski che la "Danza delle ore" da "La Gioconda" di Amilcare Ponchielli, ma anche tutti i brani musicali che accompagnavano l'esibizione delle nostre Etoilse. L'unica nota dolente è stata il Maestro Aleksander Anisimov che ha avuto molta poca attenzione per i danzatori sul palco, costringendo alcuni di loro ad adeguarsi a dei tempi spesso troppo lenti per sostenere i virtuosismi tecnici che affrontavano, saltando qualche accordo finale e mostrandosi poco interessato alla conduzione, indubbiamente composta da brani poco raffinati...ma tant'è.
Arrivare al Krizanke di Lubiana è già di per sé emozionante: l'imponente struttura architettonica, la fiumana di persone che affolla gli ingressi, gli spettacoli proposti, generalmente di grande richiamo: ogni volta che vado, so che assisterò ad un bello spettacolo, in una cornice prestigiosa. Così è stato anche in occasione di questo "Galà serale con le stelle mondiali del balletto" che ha avuto luogo lunedì 21 luglio 2014, grazie ai programmatori del Festival di Lubiana.
La prima sorpresa è stata quella di trovare un'orchestra (sinfonica!) invece della solita musica registrata, molto più comoda per i danzatori che ne conoscono la velocità alla perfezione (e non rischiano l'osso del collo per colpa di direttori disattenti...), ma molto meno appassionante.
La seconda è stata, appunto, la qualità di questa serata: ottimi danzatori di buona scuola con un programma che spaziava dai grandi classici al contemporaneo. Certo le "stelle mondiali del balletto" erano 3 su 12...ma va beh!
Volendo stilare una graduatoria (si, lo voglio fare) porrei al primo posto la coppia formata da Yolanda Correa e Joel Manuel Carreno, entrambi sotto contratto con il Balletto Nazionale Norvegeseo: tecnicamente strepitosi, fulminei e capaci di notevoli virtuosismi tecnici nel passo a due da "Il Corsaro" che ha chiuso il primo tempo e sublimi, affiatati, coesi, elegantissimi, fluidi in "Elegia", una splendida e musicalissima coreografia di Raimond Rebeck.
A seguire posizionerei Liudmila Konovalova, prima solista dell'Opera di Vienna, e Gabriel Davidsson, primo ballerino del Balletto Nazionale Estone: meno brillanti nel duetto dal Regno delle Ombre da "La Baiadera", ma molto più convincenti nel pas de deux del Cigno Nero dal terzo atto de "Il lago dei cigni" dove la Konovalova si conferma un'eccellente virtuosa e Davidsson recupera un po' di verve rispetto alla prima esibizione dove le sue lunghe linee (forse troppo) lo rendevano poco incisivo.
In terza posizione il nostro Vito Mazzeo in coppia con Viktorija Ananjan splendida Carmen, ma Giselle terribilmente insicura): lui presenta un gradevole assolo di Riccardo Di Cosmo, che premia il suo fisico spigoloso e contemporaneo, e accompagna la Ananjan nel passo a due del secondo atto, dove si conferma al contempo virtuoso ed elegante.
Seguono in ordine sparso Dinu Tamazlacaru e Dmitrij Gudanov buoni virtuosi nei rispettivi assoli, ma affiancati a ballerine meno interessanti; una Julija Mahalina ormai verso la fine della carriera, molto interessante scenicamente sia ne "Le spectre de la rose" che in "Sheherazade", ma malamente assortita con Giacomo Bevilacqua, poco affidabile come partner, invece sicuro ed elegante nello "Spectre"; Margarita Rudina è poco nel ruolo de "La Sylphide" e sembrava in grande e grave difficoltà nella variazione e nella coda del passo a due del terzo atto del "Don Chisciotte", dove Tamazlacaru spadroneggiava alla grande la scena e sciorinava la giusta tecnica; un'appannata Anastasija Gorjaceva accompagnava Gudanov in un duetto dall'Onjegin" con coreografia di Vasilij Medvedev, dimenticabile.
L'Orchestra della Radio Televisione Slovena ha suonato con impegno, passione e buona volontà sia la "Polonaise" dall'opera "Evgenij Onjegin" di Piotr Iljic Cajkovski che la "Danza delle ore" da "La Gioconda" di Amilcare Ponchielli, ma anche tutti i brani musicali che accompagnavano l'esibizione delle nostre Etoilse. L'unica nota dolente è stata il Maestro Aleksander Anisimov che ha avuto molta poca attenzione per i danzatori sul palco, costringendo alcuni di loro ad adeguarsi a dei tempi spesso troppo lenti per sostenere i virtuosismi tecnici che affrontavano, saltando qualche accordo finale e mostrandosi poco interessato alla conduzione, indubbiamente composta da brani poco raffinati...ma tant'è.
domenica 20 luglio 2014
LE SOUFFLE DE L'ESPRIT 19/07/2014
Io che ho avuto la fortuna di vivere gli anni '70 e '80 del secolo scorso nell'Italia dei festival, ne ho una nostalgia pazzesca...anni in cui ci si accampava a Spoleto, a Venezia, a Nervi e ci si nutriva solo di danza di altissimo livello...che perdita per la nostra cultura!
Tornando a Mittelfest, lode e gloria a chi lo tiene ancora in vita, tra gli ultimi baluardi della festivaliera resistenza. E stessa lode e gloria all'attuale direttore Franco Calabretto che, dopo alcuni anni di scarna e banale programmazione, ha presentato un cartellone che anche in merito alla danza lascia ben sperare.
Le souffle de l'esprit, che inaugura la sezione danza del Mittelfest 2014, è però un'operazione riuscita a metà. Mette in scena dei danzatori superbi, meravigliosi, perfetti; ma le coreografie di Jiri Bubenicek mi hanno lasciato insoddisfatto e perplesso.
Nella splendida cornice di Piazza Duomo, seduto sulla solita (scomodissima) tribuna assisto ad una serata dalle grandi aspettative che, come dicevo prima, sono andate deluse; in scena ci sono i gemelli Bubenicek attorniati da un blasonato gruppo di danzatori e danzatrici che opera in vari teatri tedeschi. Si esibiscono nelle coreografie di Jiri Bubenicek, figlie della sua splendida carriera di danzatore con Neumeier, con Forsythe, con Balanchine, ma che non portano molto di nuovo: sono molto frammentate, senza un filo logico e alla lunga lasciano il posto ad una lieve delusione....tanti splendidi talenti avrebbero potuto regalare emozioni infinite, raccontare storie e portarci altrove...invece li vediamo volare, dipanare matasse tecniche ardite, regalare salti, giri e potenza infinite, ma poche emozioni. E mi dispiace moltissimo perchè al centro di questa operazione ci sono due dei miei danzatori preferiti: i gemelli Otto e Jiry Bubenicek per l'appunto. Grandi e spettacolari interpreti dei migliori coreografi contemporanei e del passato, in questo spettacolo riescono a dimostrare tutta la loro maestria - assieme anche nel duetto Les Indomptés di Claude Brumachon - e la bella danza maschia che li caratterizza: intensi, presenti e geenrosi. Così come gli altri danzatori della serata Jon Vallejo, Francesco Pio Ricci, Michael Tucker, Arsen Mehrabyan e Dominik Strobl. Mi ha fatto effetto rivedere dei fisici che oggi sembrano fuori moda per gli stilemi della danza classica; corpi maschili, per nulla efebici e senza l'assurda necessità di avere gambe e linee tipicamente femminili, che danzano con forza e consapevolezza, senza arrivare agli estremi negativi di alcuni "tarchiatelli russi"... Al loro fianco sfilano delle danzatrici meno notabili (Iana Salenko, Katherina Markowskaja, Anna Merkulova, Duosi Zho e Raquel Martinez) seppur puntuali e precise, in questo che resta uno spettacolo prettamente maschile e al maschile.
Non riuscirò a vedere altre produzioni ospitate dal Mittelfest, ma sono sicuro che lo spettacolo conclusivo del 27 luglio con lo Scapino Ballet di Rotterdam saprà riportare il bilancio in positivo.
giovedì 8 maggio 2014
SHADOWLAND 7/5/2014
locandina dello spettacolo
Nonostante questa prima fotografia inquietante, quasi violenta, lo spettacolo Shadowland, che il Pilobolus Dance Theatre di New York ha presentato in esclusiva italiana al Politeama Rossetti di Trieste a conclusione della stagione Danza 2013/2014, è quanto di più adatto proprio al pubblico dei giovanissimi.
E si è capito anche dai tanti applausi a scena aperta che partivano sempre da un gruppone di ragazzi seduti alle mie spalle, impressionati da qualcosa che invece per noi adulti sembrava normalissimo e non meritorio di lode.
Ad onor del vero, superata la prima parte introduttiva, lo spettacolo rallenta e si appesantisce, tendendo alla noia, ma si riscatta quando finalmente si giunge all'epilogo della vicenda della povera ragazza trasformata in cane. Con il gesto della foto qui affianco "la mano" toglie la testa alla ragazza e gliene inserisce una da cane, costringendola ad avventurarsi in mondi a lei estranei e sconosciuti, talvolta pericolosi, altre volte ameni e divertenti, inclusa una splendida invasione/escursione al circo. L'epilogo è dei più rosei e prevedibile: non lo svelerò, ma...quanto bello è risvegliarsi dopo un incubo?
Tutto lo spettacolo è basato su retro proiezioni e giochi di luce, utilizzando però il suo opposto: l'ombra. A volte diventa gigantesca e rassicurante; altre piccola e pericolosa...insomma ombre in tutte le accezioni possibili e immaginabili!
Le creano degli atleti strepitosi e precisissimi, capaci di bei, ma purtroppo rari, momenti di danza dal bellissimo legato, anche se coreograficamente non particolarmente rilevanti. Uno di loro, credo si tratti di Derek Stratton, è un vero e proprio montacarichi umano, cui sono affidati lift incredibili di donne...e uomini! Riesce a farli volare sopra la propria testa con una leggerezza che - da ex danzatore - posso assicurarvi essere frutto di tecnica e forza portentose! Questi sono i momenti che ho preferito, impreziositi da questa danza semplice e fluida, ariosa e sensibile.
Non so chi sia la ragazza che ha interpretato il ruolo protagonistico, ma desidero ricordarla per l'espressività e la dolcezza con cui ha affrontato il suo ruolo.
Tutto il cast sarebbe da citare perché sono ugualmente bravi, precisi e professionali come solo nel mondo anglofono si trovano...
Ho apprezzato meno l'idea di fondo e la colonna sonora spesso piuttosto insignificante; lode e gloria vanno all'ideazione delle luci di Neil Peter Jampolis che valgono tanto quanto una scenografia e ai costumi di Liz Prince che reinventa un circo molto elegante. Spettacolo perfetto per i bambini e per gli adulti in cerca di evasione e leggerezza. Penso che poteva terminare nel momento in cui la mano riappare e restituisce per poco la vera testa alla povera ragazza, ma si sa che la sintesi è dono di pochi....neanche mia!
Vi lascio con il video del finale dello spettacolo che si è visto in diverse trasmissioni televisive e che è stato personalizzato da un graziosissimo e generoso omaggio alla città di Trieste che li ospita fino a domenica 11 maggio....
Nonostante questa prima fotografia inquietante, quasi violenta, lo spettacolo Shadowland, che il Pilobolus Dance Theatre di New York ha presentato in esclusiva italiana al Politeama Rossetti di Trieste a conclusione della stagione Danza 2013/2014, è quanto di più adatto proprio al pubblico dei giovanissimi.
E si è capito anche dai tanti applausi a scena aperta che partivano sempre da un gruppone di ragazzi seduti alle mie spalle, impressionati da qualcosa che invece per noi adulti sembrava normalissimo e non meritorio di lode.
Ad onor del vero, superata la prima parte introduttiva, lo spettacolo rallenta e si appesantisce, tendendo alla noia, ma si riscatta quando finalmente si giunge all'epilogo della vicenda della povera ragazza trasformata in cane. Con il gesto della foto qui affianco "la mano" toglie la testa alla ragazza e gliene inserisce una da cane, costringendola ad avventurarsi in mondi a lei estranei e sconosciuti, talvolta pericolosi, altre volte ameni e divertenti, inclusa una splendida invasione/escursione al circo. L'epilogo è dei più rosei e prevedibile: non lo svelerò, ma...quanto bello è risvegliarsi dopo un incubo?
Tutto lo spettacolo è basato su retro proiezioni e giochi di luce, utilizzando però il suo opposto: l'ombra. A volte diventa gigantesca e rassicurante; altre piccola e pericolosa...insomma ombre in tutte le accezioni possibili e immaginabili!
Le creano degli atleti strepitosi e precisissimi, capaci di bei, ma purtroppo rari, momenti di danza dal bellissimo legato, anche se coreograficamente non particolarmente rilevanti. Uno di loro, credo si tratti di Derek Stratton, è un vero e proprio montacarichi umano, cui sono affidati lift incredibili di donne...e uomini! Riesce a farli volare sopra la propria testa con una leggerezza che - da ex danzatore - posso assicurarvi essere frutto di tecnica e forza portentose! Questi sono i momenti che ho preferito, impreziositi da questa danza semplice e fluida, ariosa e sensibile.
Non so chi sia la ragazza che ha interpretato il ruolo protagonistico, ma desidero ricordarla per l'espressività e la dolcezza con cui ha affrontato il suo ruolo.
Tutto il cast sarebbe da citare perché sono ugualmente bravi, precisi e professionali come solo nel mondo anglofono si trovano...
Ho apprezzato meno l'idea di fondo e la colonna sonora spesso piuttosto insignificante; lode e gloria vanno all'ideazione delle luci di Neil Peter Jampolis che valgono tanto quanto una scenografia e ai costumi di Liz Prince che reinventa un circo molto elegante. Spettacolo perfetto per i bambini e per gli adulti in cerca di evasione e leggerezza. Penso che poteva terminare nel momento in cui la mano riappare e restituisce per poco la vera testa alla povera ragazza, ma si sa che la sintesi è dono di pochi....neanche mia!
Vi lascio con il video del finale dello spettacolo che si è visto in diverse trasmissioni televisive e che è stato personalizzato da un graziosissimo e generoso omaggio alla città di Trieste che li ospita fino a domenica 11 maggio....
domenica 27 aprile 2014
SIX EPIGRAPHES/EN BLANC ET NOIR/ LE SACRE DU PRINTEMPS 22/4/2014
Oh bene! Sono proprio contento di poter fare pace con le coreografie di Edward Clug!
Ho amato il suo "Tango", odiato "Radio&Juliet", trovato inutile "Songs for the mating session" e meraviglioso il suo "Sacre": ora con "Six èpigraphes antiques - En blanc et noir" posso dire di avere visto un'altra sua serata completamente soddisfacente.
Il trittico che la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ospita nell'ambito della stagione 2014 è di ottima fattura. La sala del Verdi di Trieste sembra poco adatta a spettacoli di questo genere: invece....eccezion fatta per la visuale dalla platea che taglia completamente le gambe ai danzatori!
Sia "Six épigraphes antiques" del 1914 che "En blanc et noir" del 1915, sono composizioni di Claude Debussy per pianoforte e ben si prestano allo stile asciutto e personalissimo di Clug. Belle idee coreografiche, prese insolite, formazioni originali, fanno di questo pezzo un bel manifesto della sua danza: piacevole, godibile e piena di fantasia. Nonostante l'abusato look "minimalista con calzino nero" sono rimasto affascinato dalla composizione coreografica nel vero senso della parola: pienamente aderente alla musica, raffinata e per nulla didascalica. Peccato che la musica non fosse eseguita dal vivo come per il "Sacre" che l'Orchestra del Lirico triestino suona consapevolmente guidata dalla bacchetta del croato Mladen Tarbuk, attento alla danza sul palcoscenico tanto quanto all'orchestra.
I danzatori del Teatro Nazionale Croato di Zagabria sono eccellenti, sia fisicamente che tecnicamente. Servono il coreografo Clug con dedizione e professionalità, evidenziando la totale digestione del suo vocabolario ed un'ottima duttilità che li porta ad essere danzatori sia classici che contemporanei.
Per quanto riguarda il secondo titolo in programma, vi ripropongo la recensione che avevo scritto in occasione di un'unica recita al Teatro Sloveno di Trieste nel marzo del 2013: nonostante ci siano danzatori diversi il mio giudizio non è cambiato.
Ma quando il sipario si apre per il secondo tempo dello spettacolo, restiamo inchiodati sulle poltrone perché succede una magia: abbiamo di fronte a noi un opera artistica di alto livello.
Tremavo all'idea dell'ennesima "Sagra della primavera": già tante letture, alcune stravolgenti l'originale, altre più classiche, ma soprattutto una serie di versioni capolavoro. Da quella di Bejart a quella di Pina Bausch, da quella di Angelin Preljocaj a quella originale di Nijinskj, tutte hanno lasciato un ricordo indelebile e sono contraddistinte da una cifra unica, che riduce sempre più la possibilità di trovare nuove strade.
La Sagra, come il Bolero di Maurice Ravel, come i titoli firmati dal compositore russo per George Balanchine, hanno ormai un corrispondente visivo talmente forte che è difficile scalzare nella nostra memoria questi rimandi, questi ricordi indelebili e bellissimi.
Ma Edward Clug ce la fa e trova una sua chiave di lettura: parte da Nijinskj, passa attraverso la Bausch e approda nel suo personalissimo linguaggio coreografico, fatto di innumerevoli movimenti.
Recupera il tema del primitivo e del sacrificio di una vergine che deve danzare fino alla morte in onore della divinità della primavera, affinché questa aumenti la fertilità della terra.
E lo fa presentandoci le donne con i pomelli rossi e le lunghe trecce, gli uomini con basette e baffi, a sottolineare l'iconografia tipicamente russa.
E' una danza musicalissima quella di Clug: abbiamo l'impressione di vedere gli strumenti musicali infusi, trasposti nei corpi dei danzatori, tanto gli accenti, le biscrome, sono cesellate e perfettamente aderenti alla splendida orchestrazione di Stravinsky. Se avete qualche minuto, scorrete il video che trovate in fondo alla recensione e potrete capire meglio quanto vi dico, nonostante sia un video della prima e ora lo spettacolo è molto più rodato e digerito dai danzatori.
Questi danzatori della compagnia di Zagabria rispondono perfettamente ai dettami del loro demiurgo e danzano benissimo, con un unisono invidiabile, come se fossero un solo corpo: bravi! Vitale e accattivante l'Eletta di Edina Plicanic.
E poi il coup de theatre: ad aiutare la fertilità giunge l'acqua... Se Pina Bausch aveva sottolineato la corporeità, l'appartenenza del Sacre al suolo, al mondo, alla crosta terrestre, riempendo il palco di terriccio, Clug lo inonda di acqua e trasforma la coreografia in un susseguirsi di scivolamenti, di instabilità, di allontanamenti e rientri nel gruppo fino al bellissimo finale, dove il corpo esanime dell'Eletta, viene lanciato a pelo d'acqua nell'angolo di fondo del palco. La luce si spegne e partono applausi liberatori e convinti.
Il pubblico del Verdi, come sempre, disdegna la danza e stavolta dobbiamo ringraziarli: una gentilissima Maschera ci ha concesso di spostarci a fondo sala nelle file libere, riuscendo così a vedere anche i piedi dei danzatori
Ho amato il suo "Tango", odiato "Radio&Juliet", trovato inutile "Songs for the mating session" e meraviglioso il suo "Sacre": ora con "Six èpigraphes antiques - En blanc et noir" posso dire di avere visto un'altra sua serata completamente soddisfacente.
Il trittico che la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ospita nell'ambito della stagione 2014 è di ottima fattura. La sala del Verdi di Trieste sembra poco adatta a spettacoli di questo genere: invece....eccezion fatta per la visuale dalla platea che taglia completamente le gambe ai danzatori!
I danzatori del Teatro Nazionale Croato di Zagabria sono eccellenti, sia fisicamente che tecnicamente. Servono il coreografo Clug con dedizione e professionalità, evidenziando la totale digestione del suo vocabolario ed un'ottima duttilità che li porta ad essere danzatori sia classici che contemporanei.
Per quanto riguarda il secondo titolo in programma, vi ripropongo la recensione che avevo scritto in occasione di un'unica recita al Teatro Sloveno di Trieste nel marzo del 2013: nonostante ci siano danzatori diversi il mio giudizio non è cambiato.
Ma quando il sipario si apre per il secondo tempo dello spettacolo, restiamo inchiodati sulle poltrone perché succede una magia: abbiamo di fronte a noi un opera artistica di alto livello.
Tremavo all'idea dell'ennesima "Sagra della primavera": già tante letture, alcune stravolgenti l'originale, altre più classiche, ma soprattutto una serie di versioni capolavoro. Da quella di Bejart a quella di Pina Bausch, da quella di Angelin Preljocaj a quella originale di Nijinskj, tutte hanno lasciato un ricordo indelebile e sono contraddistinte da una cifra unica, che riduce sempre più la possibilità di trovare nuove strade.
La Sagra, come il Bolero di Maurice Ravel, come i titoli firmati dal compositore russo per George Balanchine, hanno ormai un corrispondente visivo talmente forte che è difficile scalzare nella nostra memoria questi rimandi, questi ricordi indelebili e bellissimi.
Ma Edward Clug ce la fa e trova una sua chiave di lettura: parte da Nijinskj, passa attraverso la Bausch e approda nel suo personalissimo linguaggio coreografico, fatto di innumerevoli movimenti.
Recupera il tema del primitivo e del sacrificio di una vergine che deve danzare fino alla morte in onore della divinità della primavera, affinché questa aumenti la fertilità della terra.
E lo fa presentandoci le donne con i pomelli rossi e le lunghe trecce, gli uomini con basette e baffi, a sottolineare l'iconografia tipicamente russa.
E' una danza musicalissima quella di Clug: abbiamo l'impressione di vedere gli strumenti musicali infusi, trasposti nei corpi dei danzatori, tanto gli accenti, le biscrome, sono cesellate e perfettamente aderenti alla splendida orchestrazione di Stravinsky. Se avete qualche minuto, scorrete il video che trovate in fondo alla recensione e potrete capire meglio quanto vi dico, nonostante sia un video della prima e ora lo spettacolo è molto più rodato e digerito dai danzatori.
Questi danzatori della compagnia di Zagabria rispondono perfettamente ai dettami del loro demiurgo e danzano benissimo, con un unisono invidiabile, come se fossero un solo corpo: bravi! Vitale e accattivante l'Eletta di Edina Plicanic.
E poi il coup de theatre: ad aiutare la fertilità giunge l'acqua... Se Pina Bausch aveva sottolineato la corporeità, l'appartenenza del Sacre al suolo, al mondo, alla crosta terrestre, riempendo il palco di terriccio, Clug lo inonda di acqua e trasforma la coreografia in un susseguirsi di scivolamenti, di instabilità, di allontanamenti e rientri nel gruppo fino al bellissimo finale, dove il corpo esanime dell'Eletta, viene lanciato a pelo d'acqua nell'angolo di fondo del palco. La luce si spegne e partono applausi liberatori e convinti.
Il pubblico del Verdi, come sempre, disdegna la danza e stavolta dobbiamo ringraziarli: una gentilissima Maschera ci ha concesso di spostarci a fondo sala nelle file libere, riuscendo così a vedere anche i piedi dei danzatori
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