Mie care e cari,
oltre ad essere il vostro insegnante part time di danza classica, ogni tanto mi diletto a scrivere degli spettacoli che vedo. Sapendo questo, Erica mi ha chiesto di fare una recensione del vostro ultimo saggio "Il Viaggio". Mentre mi accingevo a scriverla ho capito che invece volevo dirvi qualcos'altro.
Volevo dirvi che siete stati fortunati perché avete scelto una scuola che continua ad essere unica in questa regione. Non vuole essere un incensamento e, se un po' mi conoscete, sapete che non è proprio il mio forte, ma una presa d'atto.
Unica perché Erica è un'insegnante diversa. Certo, ha come obiettivo davanti a sé la vostra crescita tecnica, la creazione di danzatori, di corpi consci e danzanti, di atleti che usino la tecnica come veicolo espressivo. Ma ha soprattutto come obiettivo la vostra formazione artistica. La vostra artisticità e l'insegnarvi ad esprimerla.
Qualche anno fa, vedendo un vostro saggio decisi di condividere con Lei qualche appunto che però si limitava ad aspetti tecnici: l'aspetto artistico, l'unicità di quello che avevo visto in scena mi aveva già profondamente colpito. Perché Erica non è solo un'insegnante di danza classica. No, Erica è una coreografa, una vera coreografa anche se non ha voluto, o potuto, sfruttare questo talento fino in fondo.
La costruzione di un Suo saggio è un qualcosa che va aldilà delle logiche commerciali, degli equilibri fisiologici di una scuola di danza: se un gruppo entra solo una volta ed un altro tre non si creano dissapori perché tutto fa parte di un disegno più ampio. Di una trama coreografica complessa e ragionata e come tale inattaccabile da un punto di vista logico come qualsiasi espressione artistica ragionata, compiuta e sentita.
I disegni con cui posiziona voi allievi nello spazio scenico sono originali e in continua evoluzione; le braccia, così tipiche della Sua ricerca, sono diverse da gruppo a gruppo, a simbolizzare radici, ali, aria; i torsi sono in continuo avvitamento o flessione o estensione, a ricordare l'armoniosa flessibilità che la danza richiede, anzi, esige; l'intensità di un gesto non è mai circense o filo sovietica, ma è frutto di convinzione interiore, instillata, profusa, nelle allieve adulte così come in quelle in odore di pubertà.
Chiesi ad Erica, quando ancora mi azzardavo a calcare il palco nonostante età e chili in avanzo, di realizzare un assolo o un duetto per me e Lei, pregna del suo tipico scettico pudore, mi rispose di si pur sapendo che non l'avrebbe mai fatto, convinta di non sapere o potere.
Avrei desiderato anch'io quell'iniezione di arte, di coraggio, di scanzonata follia, di energia, di amore che mi attraversasse il corpo, che facesse vibrare nuovamente i muscoli allenati per tanti anni alle faticose richieste di Tersicore, che facesse risuonare la voce dell'arte dentro di me...ma non è ancora successo.
E per tutto questo vi considero dei fortunati e vi invidio, miei giovani artisti.
Unica perché Erica è un'insegnante diversa. Certo, ha come obiettivo davanti a sé la vostra crescita tecnica, la creazione di danzatori, di corpi consci e danzanti, di atleti che usino la tecnica come veicolo espressivo. Ma ha soprattutto come obiettivo la vostra formazione artistica. La vostra artisticità e l'insegnarvi ad esprimerla.
Qualche anno fa, vedendo un vostro saggio decisi di condividere con Lei qualche appunto che però si limitava ad aspetti tecnici: l'aspetto artistico, l'unicità di quello che avevo visto in scena mi aveva già profondamente colpito. Perché Erica non è solo un'insegnante di danza classica. No, Erica è una coreografa, una vera coreografa anche se non ha voluto, o potuto, sfruttare questo talento fino in fondo.
La costruzione di un Suo saggio è un qualcosa che va aldilà delle logiche commerciali, degli equilibri fisiologici di una scuola di danza: se un gruppo entra solo una volta ed un altro tre non si creano dissapori perché tutto fa parte di un disegno più ampio. Di una trama coreografica complessa e ragionata e come tale inattaccabile da un punto di vista logico come qualsiasi espressione artistica ragionata, compiuta e sentita.
I disegni con cui posiziona voi allievi nello spazio scenico sono originali e in continua evoluzione; le braccia, così tipiche della Sua ricerca, sono diverse da gruppo a gruppo, a simbolizzare radici, ali, aria; i torsi sono in continuo avvitamento o flessione o estensione, a ricordare l'armoniosa flessibilità che la danza richiede, anzi, esige; l'intensità di un gesto non è mai circense o filo sovietica, ma è frutto di convinzione interiore, instillata, profusa, nelle allieve adulte così come in quelle in odore di pubertà.
Chiesi ad Erica, quando ancora mi azzardavo a calcare il palco nonostante età e chili in avanzo, di realizzare un assolo o un duetto per me e Lei, pregna del suo tipico scettico pudore, mi rispose di si pur sapendo che non l'avrebbe mai fatto, convinta di non sapere o potere.
Avrei desiderato anch'io quell'iniezione di arte, di coraggio, di scanzonata follia, di energia, di amore che mi attraversasse il corpo, che facesse vibrare nuovamente i muscoli allenati per tanti anni alle faticose richieste di Tersicore, che facesse risuonare la voce dell'arte dentro di me...ma non è ancora successo.
E per tutto questo vi considero dei fortunati e vi invidio, miei giovani artisti.