martedì 26 novembre 2013

Flavio Emilio Scogna 22/11/2013

Locandina dello spettacolo

Splendida e raffinata serata quella che la stagione sinfonica 2013 /2014 ci ha regalato il 22 novembre al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.

Guidata dalla bacchetta celebre e sapiente di Flavio Emilio Scogna, l'Orchestra del massimo triestino ha dato buona prova di sé anche se in un programma molto, forse troppo, poliedrico. Passare da Wagner a Carrara e da Mendelssohn a Schubert non credo sia una prova facile neanche per le orchestre esclusivamente sinfoniche. La sensazione generale è che tutta la musica in programma sia stata eseguita correttamente ma senza anima.
Lo stesso pensiero vale per il Maestro Scogna che sembrava corretto, ma poco appassionato oltre che imbarazzato anche dal ripetuto entrare e uscire dal palco e dai continui rituali di applausi da parte del pubblico.
La prima pagina "L'idillio" dal Sigfrido di Richard Wagner è stato eseguito con tutta la grazia e l'eleganza timbrica che richiede, evitando i clangori tanto cari all'autore, ma soprattuttograditissimi ad alcuni direttori d'orchestra che sembrano poter appagare malcelate passioni da capo banda.
Invece questa pagina tra le più delicate eserene di Wagner è stata suonata con la giusta cura: dal primo violino che apre e chiude il brano, alla nitidezza delle linee melodiche che si rincorrono, tutto ha funzionato nel modo migliore.
Lo stesso dicasi per la bellissima pagina de "Le Ebridi, la grotta di Fingal" dove il gesto di Scogna e la risposta dell'Orchestra triestina diventano più incisivi, fino al culmine della Sinfonia n. 4 in do minore "Tragica" di Schubert che, in particolare nel febbrile finale, scatenano e riscaldano la platea, in generale, piuttosto freddina.

Una nota a parte merita l'esecuzione di "Ondanomala" una composizione giovanile, ma estremamente efficace, del contemporaneo Cristian Carrara, figlio di uno dei sopravvissuti al disastro del Vajont cui la pagina è dedicata. L'atmosfera è cupa e tonante, come probabilmente devono averla percepita le vittime di quella tragica notte. Gli orchestrali vibrano assieme ai loro strumenti in questa composizione che potremmo accostare a un certo stile minimalista degli anni '80 del secolo scorso. Bella composizione, Orchestar e Maestro toccanti.


Sala piena, tanti giovani imberbi e fuori luogo al Verdi, ma felici di vederli e di averli con noi, visto che il pubblico del futuro saranno loro...speriamo!

mercoledì 13 novembre 2013

THE ILLUSIONIST 13/11/2013

Locandina dello spettacolo 

Una vera "americanata", ma anche una bella occasione per passare due ore con il naso all'insù, come dei bambini...
Parlo di "The Illusionist" lo spettacolo che ha debuttato in prima, ed esclusiva, nazionale al Politeama Rossetti di Trieste, restituendo a questo illustre palcoscenico il genere di spettacoli per il quale era stato costruito: spettacoli circensi e colossali, vaudeville, musical...mancano solo gli spettacoli equestri!
Questo spettacolo fila via velocissimo, come una macchina da guerra, oliata e pronta a sparare colpi, come sempre quando si tratta di produzioni di questo livello e provenienti da paesi anglosassoni.

"The Illusionist" è un contenitore magico e sfarzoso nel quale trovano casa alcuni fra i migliori illusionisti di tutto il mondo, specializzati in tecniche che vanno dalla prestidigitazione all'escapologia, dal mentalismo alla cartomagia, dalle grande illusioni al bizarre magic, capaci di far sembrare magia una "semplice" illusione ottica.
Sottolineati da splendidi e fantasmagorici effetti luce, da una scatenata rock band, da costumi gotici total black con borchie e da un gruppo di ballerini, abbiamo visto numeri in cui apparivano colombe, si staccavano teste, apparivano corpi segati a metà, si indovinavano pensieri, sparivano orologi e i fazzoletti di carta diventavano nevica!

I prodi illusionisti che si sono esibiti erano Dan Sperry, una via di mezzo tra Marilyn Manson e David Copperfield, che è riuscito ad estrarre dalla pelle della gola la caramella che stava masticando e che ci ha stupito con il classico numero delle colombe, rivisitato in stile gotico con annesso look alla "Edward, mano di forbice"; Mark Kalin e Jinger Leigh che si sono cimentati nel grande classico della donna segata in due; Andrew Basso che, come l'indimenticabile Houdini, si è fatto ammanettare e immergere a testa in giù in una vasca piena d'acqua con le pareti trasparenti, dimostrando a tutti la sua abilità nel liberarsi;
Philip Escoffey che ha sorpreso la platea con la sua "capacità" di prevedere il pensiero del pubblico: Kevin James che è riuscito a trasformare un fazzoletto di carta in una nevicata oppure in una rosa vera, con tanto di spine; Jeff Hobson, uno di cui aver paura vista l'abilità nello sfilare orologi o nel far apparire/sparire uova.
In mezzo a tutti questi personaggi, era tutt'altro che stonata la presenza del nostro Davide Calabrese, celebrità triestina e leader degli Oblivion, che aveva il ruolo di traduttore simultaneo, ma che si è immediatamente riciclato in performer a sua volta, rubando la scena, e gli applausi, ai padroni di casa.

Insomma, due ore di svago puro, di ritorno all'infanzia, all'epoca in cui credevamo in tutto e non vedevamo ancora gli aspetti meno gradevoli della vita...due ore che in questo momento di crisi valgono tanto! Teatro stracolmo, fiumi di applausi, inizio scintillante, ma finale sottotono.

SPRING AWAKENING 9/11/13

Locandina dello spettacolo

"Risveglio di primavera" di Frank Wedekind è uno di quei romanzi di formazione che, prima o poi, nella vita vanno letti: non scorrevolissimo, non facile e indubbiamente poco allegro, contribuisce però alla comprensione di quella difficilissima parte della vita chiamata adolescenza. Problematiche e sofferenze che con il passare del tempo tendiamo a dimenticare con anni più sereni e meno problematici.

Per parlare di questo "Spring Awakening" dobbiamo necessariamente partire da qui. Dalle tensioni che dal romanzo si trasferiscono al palcoscenico; dalla delusione che gli adolescenti provano per le repressioni che gli adulti operano nei loro confronti, senza spiegarne i perché; dalla scoperta che il sesso, prima di diventare piacere, è portatore di dubbi, di insicurezze, di paure, di errori.
Tutta questa tensione la ritroviamo nello spettacolo scritto da Steven Sater con le musiche di Duncan Sheik e prodotto con grande lungimiranza e finezza dalla Todomodo Music, una produzione di Livorno che rischia coraggiosamente con un titolo tutt'altro che facile.

Innanzitutto perché catalogarlo musical è quantomeno riduttivo: a mio avviso questa è una opera, un'opera rock quantomeno per la ricchezza e la profondità del testo, imparagonabile alle solite pappette tipo Grease, Cats, ecc.
Poi perché producono in grande, risparmiando solo su una cosa di cui vi dirò alla fine, con una bellissima scenografia, pensata da Marcello Sindici, che riproduce una lavagna appoggiata su un piano inclinato e un palcoscenico sul quale si svolge tutta la vicenda che, all'inizio dello spettacolo, troviamo posizionato verticalmente. Poco dopo entra una ragazza che, mentre il piano viene riportato in posizione orizzontale, entra attraverso un buco e si trova direttamente al centro della vicenda. Ma le trovate registiche sono continue e tutte raffinate, poetiche ed originali: Emanuele Gamba firma una regia che, finalmente, sembra non citarne altre, ricco com'è di immagini personali molto eleganti e personali. Forse un po' troppo enfatica nel gusto di una recitazione visibile...un'impostazione più spontanea, più naif, avrebbe probabilmente reso i giovani protagonisti ancora più coinvolgenti e toccanti per noi pubblico. Ma le lacrime e la profonda immedesimazione non mancano...anzi! Il funerale di Moritz è un momento veramente straziante...
Ho apprezzato molto anche l'idea di rendere identiche le due grandi scene d'amore: sia quella tra Melchior e Wendla che quella tra Hanschen e Ernst sono identiche nell'impostazione, nella scelta delle proiezioni, nello sviluppo registico, a ricordare che l'amore è amore, aldilà del genere. Grazie.
Lo spettacolo è aiutato da uno splendido video proiettato sulla lavagna che per tutto lo spettacolo diventa uno story board, piena di appunti di viaggio, traducendo testi, sottolineando situazioni, creando luoghi! E' talmente bello che i suoi autori Paolo Signorini e Raffaele Commone meritano ampiamente di essere citati: bravi! Citiamo ancora gli adeguati costumi di Desirée Costanzo e le belle luci di Alessandro Ferri (bravissimo a suggerire un bosco con due sole sbavature di verde sulla citata lavagna).

E passiamo al cast: superlativo!
Bravi tutti, veramente. Un punto in più lo assegniamo alla compagine maschile, che sfoggia personalità artistiche ancora più interessanti che si manifestano nelle parti musicali più rock.
Ad iniziare dai due protagonisti: Flavio Gismondi nel ruolo di Moritz e Federico Marignetti in quello di
Melchior. Se Marignetti coniuga bravura e presenza scenica, a Gismondi dobbiamo riconoscere anche la capacità di rilanciare con una vocalità rock, molto interessante: ma sono entrambi preparati, compresi nei propri ruoli e godibilissimi.
Stessa cosa va detta delle due protagoniste: la deliziosa e trasognante Wendla di Arianna Battilana (da brivido la sua interpretazione di Whispering!) e Tania Tuccinardi nel ruolo di Ilse, che fa vivere un personaggio meno complesso e interiorizzato di quello di Wendla con più facile risultato.
E non possiamo non citare i due poliedrici attori Gianluca Ferrato e Francesca Gamba, impegnati a dar vita a tutti gli uomini, le donne, le madri, i padri, i docenti...riescono a passare dalla farsa al dramma, dalla commedia al vaudeville: Ferrato con una marcia in più, forse avvantaggiato dalla tanta frequentazione di teatro musicale.

Da segnalare una bella trovata per realizzare un aggancio con il territorio: a rinforzare alcune scene intervengono dei ragazzi, gli Swing, scelti di volta in volta, nelle città che la tournée toccherà. Interagiscono con la scena, sottolineano e rimarcano quello che succede in scena, aggiungendo valore, anche se spesso agiscono nell'ombra e quello che fanno resta poco visibile.


Piacevolissima, come sempre quando è presente, l'accompagnamento della musica dal vivo con una band omogenea e abile nel sapersi trasformare da melodica a rock! La accuratissima direzione musicale di Stefano Brondi è magistrale, soprattutto nell'armonizzazione delle voci nei concertati, nei momenti di assieme.

Ma c'è una nota stonata. Ed è un vero peccato. Il lavoro di tutti viene inficiato da una pessima regia del suono: microfoni che fischiano, non si aprono, gracchiano; jingle che partono nel momento sbagliato e una scelta di sottolineare la naturalezza di quello che accade in scena, amplificando fino all'inutile l'amplificazione di ogni respiro, sussurro e raschiamento di voce.

Ancora complimenti alla produzione, e al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, per aver scelto di portare uno spettacolo così tanto off Broadway da poter convincere tutto il pubblico che il musical non è solo mossette e lustrini, ma che è capace di raccontare temi importanti, storie inusuali con la stessa forza di un opera lirica, di un dramma teatrale, di un film.

domenica 3 novembre 2013

MIGUEL ANGEL BERNA 2/11/13

Locandina dello spettacolo

Che spettacolo di spettacolo! Si, lo so, grammaticalmente non è un'affermazione delle migliori, ma è quella che mi sembra più calzante.
Non perché lo spettacolo sia ricco di chissà quali effetti o trovate, anzi....ma proprio per questo è spettacolare. Perché è bastata la qualità della danza per tenere tutti inchiodati alle poltrone della Sala Assicurazioni Generali del Politeama Rossetti di Trieste. Perchè il pubblico è rimasto con il fiato sospeso per tutto il lungo e bellissimo ultimo assolo di Miguel Angel Berna, senza neanche il famoso "Coro del colpo di tosse", tipicamente triestino.

Ho appena letto di un torero che al momento di sferrare gli ultimi colpi al toro, si è seduto sul bordo dell'arena, incapace di proseguire la matada, afflitto dal senso di colpa per aver guardato negli occhi quell'animale. Ecco, finalmente un cambiamento in una tradizione inutilmente cruenta e completamente ispanica nell'immaginario di tutti noi. Anche "Bailando mi tierra...mudejar" mi aveva fatto immediatamente pensare, nella mia oceanica ignoranza, che avrei assistito la rappresentazione più o meno folklorica della solita Spagna da cartolina, corredata di stacchettamenti, chitarre e Olè! Invece...
Invece è stato tutt'altro.
Ad iniziare dalle scarpe che i danzatori utilizzano in scena: morbide come le mezzepunte della danza classica, che permettono molti passi felpati e scivolati lungo il palco; per continuare con la sobria linearità dei costumi, raffinati e molto contemporanei di Maria Jose Mora; oppure ripensando ai musicisti, composti in un'ensemble tutt'altro da quello che ci aspetteremmo! C'erano: cornamusa, flauti, cajon. percussioni, banduria, laud e (per fortuna) chitarra, il tutto accompagnato dalla splendida voce di Maria José Hernandez.


Poco dopo l'apertura del sipario si percepisce nettamente un'ambientazione ben diversa da quella iconograficamente flamenca: appare un primo simbolo proiettato ed è un misto tra la stella di David e la griglia di una mashrabiya; la musica riecheggia di influenze arabe; luci e fumo creano un'atmosfera molto diversa dal classico tablao flamenco. Lui è già lì, percepibile grazie ad un effetto luce un po' impreciso, ma quando si muove enfatizza ed esaspera i gesti, alla stregua dei bailaores che lo hanno preceduto come Cortes, Gades, ecc. Accidenti, speravo fosse diverso: almeno, però, è a piedi nudi.

Entra un gruppo di danzatori, molto puliti e sincroni: danzano qualcosa che sembra a mezza via tra una danza contemporanea e qualcosa di più codificato...una danza popolare? Forse questa Jota di cui Berna studia e cerca di riscoprire passi e sequenze da più di 30 anni e di cui è diventato il massimo conoscitore e praticante.
Poi Lui torna in scena e inizia un assolo: gli occhi si incollano alla sua figura lunga, alla finezza delle figure e dello spazio che divora scivolando sui piedi, calzati in delle improbabili scarpe rosse con il tacco d'oro;
le braccia, lunghissime, esprimono forza e fierezza, linee protese all'infinito, dove trovano posto delle magiche nacchere in metacrilato trasparente che gli forgia appositamente suo padre; occhi che bruciano, penetrano, nonostante il buio del palco e la distanza dalla nostre poltrone. L'assolo volge al termine e Miguel ruota su se stesso come un derviscio, per un tempo che sembra lunghissimo. Forse lo è, ma ormai siamo completamente avviluppati in lui e non capiamo più molto. Certo, in altri momenti, il suo portamento è assolutamente identico a quello di un torero: la schiena spezzata, con lo sterno che protende in avanti e il mento che sfiora il torace...ma non lasciatevi ingannare! Tutto in lui è diverso.


La scaletta prosegue con un'alternanza tra coreografie danzate dal gruppo di 7 danzatori e i suoi assoli. Ha dell'incredibile l'assoluto, rarefatto, impensabile silenzio che il pubblico presente in sala riesce a mantenere durante l'ultimo assolo: la riprova del detto "non si sentiva volare una mosca"...stupefacente! Tanto quanto lui.