Locandina dello spettacolo
Quanto tempo era che uno spettacolo non mi gratificava tanto? Che avrei voluto durasse ancora un'ora e che ero andato a vedere malvolentieri?!? Tanto, tantissimo!!
Credo di aver visto "Caught", il solo di David Parsons, per la prima volta nei primi anni '80 a Spoleto, al Festival dei Due Mondi, all'epoca ancora danzato da lui, dotato di un fisico maestoso e scultoreo. All'epoca mi era molto piaciuto, specialmente per il geniale utilizzo della tecnologia ma, vedendo poi altre sue creazioni, ero rimasto deluso da una vena troppo commerciale e semplicistiche.
Con questo stesso mood l'ho seguito negli anni a seguire e nelle varie repliche svolte qui, a Trieste, sempre al Politeama Rossetti che lo ha sempre invitato e amato: "Caught" presente ad ogni replica e altre coreografie gradevoli e qualcuna tutt'altro.
Fino a questa sera.
Come vi dicevo, è stata una serata strepitosa, con un programma perfettamente equilibrato e interpretato: danzatori strepitosi, scelte stilistiche e coreografiche ineccepibili, forza e leggerezza meravigliosamente accoppiate.
Di "Round my world" mi resterà nel cuore la bellezza del cerchio umano che concludeva il primo movimento e si è propagava in quelli seguenti; di "Hand Dance" la fantasia e la bravura del coreografo nel costruire un brano usando solo le mani di un manipolo di danzatori, isolandole dal resto del corpo che resta in penombra, grazie ad un unico fascio di luce che taglia il palcoscenico in diagonale; di "Microburst", creazione del 2018, l'incredibile musicalità del coreografo e dei danzatori; di "Caught" la potenza, la personalità, la bravura e la bellezza di Zoey Anderson che riesce a farmi dimenticare la bellezza di David Parsons e mi permette di ricordare una versione al femminile che resterà scolpita nei mie ricordi; di "Eight Women" la potenza delle canzoni di Aretha Franklin e la sontuosa, infinita eleganza e bravura dei danzatori della Parsons Dance Company!
Occorre citarli tutti perché sono veramente meravigliosi: Zoey Anderson, Justus Whitfield, Deidre Rogan, Shawn Lesnak, Henry Steele, Joan Rodriguez, Sasha Alvarez, Katie Garcia, Elena D'Amario e gli apprentice Sumire Hishige e Daniel Sima che abbiamo potuto ammirare solo in Eight Women!
Le coreografie di Parsons sono intrise degli stili dei grandi coreografi per cui ha danzato, da Alvin Ailey a Paul Taylor ma sono anche ricche di un vocabolario fantasioso e personalissimo, della capacità di rendere tutto fluido e divertente, leggero, godibile: grande pregio per i livelli di stress in cui tutti viviamo oggigiorno...
"Dare anima alla tecnica, esprimere – attraverso l’elevatissima preparazione atletica e la capacità interpretativa dei ballerini – emozioni potenti e dirette: questi sono stati fin dall’inizio, gli elementi distintivi della Parsons Dance, che si è imposta come uno dei capisaldi della danza post-moderna “made in USA” fin dalla sua creazione – avvenuta nel 1985 ad opera del genio creativo dell’eclettico coreografo David Parsons e del lighting designer Howell Binkley"
E noi non possiamo che ringraziarlo per la bellezza che ci ha regalato stasera.
Sono in giro per l'Italia per molte date: raggiungeteli ovunque vi sarà possibile: ve lo consiglio di cuore!
Benvenuti nel mio blog! Per sapere chi sono visitate www.corradocanulli.it In questi post vi racconterò la mia personale, personalissima opinione degli spettacoli che andrò a vedere a Trieste & dintorni! Aspetto i vostri commenti, ma non siate spietati come me! ;-)
mercoledì 30 gennaio 2019
sabato 19 gennaio 2019
NABUCCO venerdì 18 gennaio 2019
Locandina dello spettacolo
Sono sempre sollevato quando uno spettacolo è riuscito e posso raccontarne le mie impressioni che si muovono tra il positivo e l'entusiasta!
E così è per questo Nabucco che inaugura con grande successo il 2019 della stagione d'opera e balletto della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.
La produzione è rodata, avendo già debuttato nel 2014 per il circuito dell'As.Li.Co., ed è un piacere per gli occhi e per le orecchie.
Ad iniziare dall'imponente scenografia ad opera di Emanuele Sinisi che si restringe, come il teleobiettivo di una fotocamera, nelle scene più intimistiche e si espande per accogliere l'imponente massa corale, grazie allo scivolamento laterale di quattro grandi monoliti e un fondale a ghigliottina (di grande effetto la stanza in cui è rinchiuso Nabucco). Per proseguire con le splendide luci di Fiammetta Baldisserri che esaltano, nascondono, suggeriscono e riescono a convivere, per esempio, con estrema delicatezza al baluginare delle fiammelle che il coro sorregge durante il Và pensiero. Ancora, nella lineare bellezza dei costumi firmati da Simona Morresi che vanno dalle tuniche sobrie e pulite all'esagerata bellezza della cappa di piume nere indossata Abigaille. Il tutto è legato dalla regia firmata da Andrea Cigni, ripresa a Trieste da Danilo Rubeca, che riesce a essere tradizionale ma per nulla polverosa, innovativa ma senza strafare, curata senza diventare ossessiva...insomma, a mio parere, riuscita e godibilissima. I personaggi sono costruiti, il coro non è statico e il lavoro di unione di tutti gli elementi c'è: bravi!
La parte musicale è allo stesso livello.
L'Orchestra del Teatro Verdi suona questa partitura con l'amore e la devozione che il Cigno di Busseto merita e che vorrei che riservassero anche in occasione degli spettacoli di balletto, specialmente se si tratta di Tchaikovski. Il Maestro Christopher Franklyn riesce a gestire con uguale cura e dedizione il coro, i solisti, la banda in palcoscenico e la sua orchestra, rendendo ugualmente chiare le zone impetuose, ardimentose di questa opera, così come quelle più melodiche e romantiche. Ottima la prestazione del
Coro del massimo triestino, rimpolpato nelle fila e meticolosamente istruito dal Maestro Francesca Tosi.
Venendo ai solisti, Giovanni Meoni è stato un Nabucco estremamente convincente, dai volumi possenti, dal fraseggio chiaro e con bel timbro. Amarilli Nizza, una fuoriclasse della lirica, è stata una affascinante Abigaille, confermando di possedere un'eccellente tecnica di canto, che la rende padrona del proprio strumento voce, consentendole di passare agilmente dai filati agli acuti, con vibrati di grande effetto. Bravissimo Riccardo Rados che interpreta il non facile ruolo di Ismaele (e chissà che emozione anche per il papà Roberto, nel coro del teatro da molti anni, nel vederselo davanti, protagonista...). Ma più di tutti ho amato Nicola Ulivieri, a proprio agio nel canto ma ancor di più nell'interpretare Zaccaria che, evidentemente, sente particolarmente e che arriva a noi pubblico con sincerità e chiarezza interpretativa. Incisiva sia vocalmente che scenicamente la Fenena di Aya Wakizono e adeguati gli altri comprimari Andrea Schifaudo, Rinako Hara e Francesco Musinu.
Spiace solo che la tirata per tenere la durata dell'opera in tempi accettabili alla nostra contemporaneità abbia raggelato il pubblico triestino della prima, notoriamente non molto generoso, pronto a scattare in un applauso ma bloccato dalla bacchetta del Direttore che ripartiva subito dopo che l'ultima nota di un'aria, di un coro aveva smesso di riecheggiare nella cavea orchestrale. Sala pienissima
Sono sempre sollevato quando uno spettacolo è riuscito e posso raccontarne le mie impressioni che si muovono tra il positivo e l'entusiasta!
E così è per questo Nabucco che inaugura con grande successo il 2019 della stagione d'opera e balletto della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.
La produzione è rodata, avendo già debuttato nel 2014 per il circuito dell'As.Li.Co., ed è un piacere per gli occhi e per le orecchie.
Ad iniziare dall'imponente scenografia ad opera di Emanuele Sinisi che si restringe, come il teleobiettivo di una fotocamera, nelle scene più intimistiche e si espande per accogliere l'imponente massa corale, grazie allo scivolamento laterale di quattro grandi monoliti e un fondale a ghigliottina (di grande effetto la stanza in cui è rinchiuso Nabucco). Per proseguire con le splendide luci di Fiammetta Baldisserri che esaltano, nascondono, suggeriscono e riescono a convivere, per esempio, con estrema delicatezza al baluginare delle fiammelle che il coro sorregge durante il Và pensiero. Ancora, nella lineare bellezza dei costumi firmati da Simona Morresi che vanno dalle tuniche sobrie e pulite all'esagerata bellezza della cappa di piume nere indossata Abigaille. Il tutto è legato dalla regia firmata da Andrea Cigni, ripresa a Trieste da Danilo Rubeca, che riesce a essere tradizionale ma per nulla polverosa, innovativa ma senza strafare, curata senza diventare ossessiva...insomma, a mio parere, riuscita e godibilissima. I personaggi sono costruiti, il coro non è statico e il lavoro di unione di tutti gli elementi c'è: bravi!
La parte musicale è allo stesso livello.
L'Orchestra del Teatro Verdi suona questa partitura con l'amore e la devozione che il Cigno di Busseto merita e che vorrei che riservassero anche in occasione degli spettacoli di balletto, specialmente se si tratta di Tchaikovski. Il Maestro Christopher Franklyn riesce a gestire con uguale cura e dedizione il coro, i solisti, la banda in palcoscenico e la sua orchestra, rendendo ugualmente chiare le zone impetuose, ardimentose di questa opera, così come quelle più melodiche e romantiche. Ottima la prestazione del
Coro del massimo triestino, rimpolpato nelle fila e meticolosamente istruito dal Maestro Francesca Tosi.
Venendo ai solisti, Giovanni Meoni è stato un Nabucco estremamente convincente, dai volumi possenti, dal fraseggio chiaro e con bel timbro. Amarilli Nizza, una fuoriclasse della lirica, è stata una affascinante Abigaille, confermando di possedere un'eccellente tecnica di canto, che la rende padrona del proprio strumento voce, consentendole di passare agilmente dai filati agli acuti, con vibrati di grande effetto. Bravissimo Riccardo Rados che interpreta il non facile ruolo di Ismaele (e chissà che emozione anche per il papà Roberto, nel coro del teatro da molti anni, nel vederselo davanti, protagonista...). Ma più di tutti ho amato Nicola Ulivieri, a proprio agio nel canto ma ancor di più nell'interpretare Zaccaria che, evidentemente, sente particolarmente e che arriva a noi pubblico con sincerità e chiarezza interpretativa. Incisiva sia vocalmente che scenicamente la Fenena di Aya Wakizono e adeguati gli altri comprimari Andrea Schifaudo, Rinako Hara e Francesco Musinu.
Spiace solo che la tirata per tenere la durata dell'opera in tempi accettabili alla nostra contemporaneità abbia raggelato il pubblico triestino della prima, notoriamente non molto generoso, pronto a scattare in un applauso ma bloccato dalla bacchetta del Direttore che ripartiva subito dopo che l'ultima nota di un'aria, di un coro aveva smesso di riecheggiare nella cavea orchestrale. Sala pienissima
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