Ho amato il suo "Tango", odiato "Radio&Juliet", trovato inutile "Songs for the mating session" e meraviglioso il suo "Sacre": ora con "Six èpigraphes antiques - En blanc et noir" posso dire di avere visto un'altra sua serata completamente soddisfacente.
Il trittico che la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ospita nell'ambito della stagione 2014 è di ottima fattura. La sala del Verdi di Trieste sembra poco adatta a spettacoli di questo genere: invece....eccezion fatta per la visuale dalla platea che taglia completamente le gambe ai danzatori!
I danzatori del Teatro Nazionale Croato di Zagabria sono eccellenti, sia fisicamente che tecnicamente. Servono il coreografo Clug con dedizione e professionalità, evidenziando la totale digestione del suo vocabolario ed un'ottima duttilità che li porta ad essere danzatori sia classici che contemporanei.
Per quanto riguarda il secondo titolo in programma, vi ripropongo la recensione che avevo scritto in occasione di un'unica recita al Teatro Sloveno di Trieste nel marzo del 2013: nonostante ci siano danzatori diversi il mio giudizio non è cambiato.
Ma quando il sipario si apre per il secondo tempo dello spettacolo, restiamo inchiodati sulle poltrone perché succede una magia: abbiamo di fronte a noi un opera artistica di alto livello.
Tremavo all'idea dell'ennesima "Sagra della primavera": già tante letture, alcune stravolgenti l'originale, altre più classiche, ma soprattutto una serie di versioni capolavoro. Da quella di Bejart a quella di Pina Bausch, da quella di Angelin Preljocaj a quella originale di Nijinskj, tutte hanno lasciato un ricordo indelebile e sono contraddistinte da una cifra unica, che riduce sempre più la possibilità di trovare nuove strade.
La Sagra, come il Bolero di Maurice Ravel, come i titoli firmati dal compositore russo per George Balanchine, hanno ormai un corrispondente visivo talmente forte che è difficile scalzare nella nostra memoria questi rimandi, questi ricordi indelebili e bellissimi.
Ma Edward Clug ce la fa e trova una sua chiave di lettura: parte da Nijinskj, passa attraverso la Bausch e approda nel suo personalissimo linguaggio coreografico, fatto di innumerevoli movimenti.
Recupera il tema del primitivo e del sacrificio di una vergine che deve danzare fino alla morte in onore della divinità della primavera, affinché questa aumenti la fertilità della terra.
E lo fa presentandoci le donne con i pomelli rossi e le lunghe trecce, gli uomini con basette e baffi, a sottolineare l'iconografia tipicamente russa.
E' una danza musicalissima quella di Clug: abbiamo l'impressione di vedere gli strumenti musicali infusi, trasposti nei corpi dei danzatori, tanto gli accenti, le biscrome, sono cesellate e perfettamente aderenti alla splendida orchestrazione di Stravinsky. Se avete qualche minuto, scorrete il video che trovate in fondo alla recensione e potrete capire meglio quanto vi dico, nonostante sia un video della prima e ora lo spettacolo è molto più rodato e digerito dai danzatori.
Questi danzatori della compagnia di Zagabria rispondono perfettamente ai dettami del loro demiurgo e danzano benissimo, con un unisono invidiabile, come se fossero un solo corpo: bravi! Vitale e accattivante l'Eletta di Edina Plicanic.
E poi il coup de theatre: ad aiutare la fertilità giunge l'acqua... Se Pina Bausch aveva sottolineato la corporeità, l'appartenenza del Sacre al suolo, al mondo, alla crosta terrestre, riempendo il palco di terriccio, Clug lo inonda di acqua e trasforma la coreografia in un susseguirsi di scivolamenti, di instabilità, di allontanamenti e rientri nel gruppo fino al bellissimo finale, dove il corpo esanime dell'Eletta, viene lanciato a pelo d'acqua nell'angolo di fondo del palco. La luce si spegne e partono applausi liberatori e convinti.
Il pubblico del Verdi, come sempre, disdegna la danza e stavolta dobbiamo ringraziarli: una gentilissima Maschera ci ha concesso di spostarci a fondo sala nelle file libere, riuscendo così a vedere anche i piedi dei danzatori