Contrariamente a quanto faccio di solito, decido di scrivere di questo spettacolo a distanza di qualche giorno dalla sua visione. Così, vado a dare un'occhiata a quanto è già stato scritto e incappo nella recensione fatta dall'amico Roberto Calogiuri sul sito "ilfriuliveneziagiulia" e mi rendo conto che è inutile che io scriva per dire assolutamente le stesse cose...
Recensione di Roberto Calogiuri pubblicata sul sito ilfriulivenziagiulia
Una “porcheria tedesca in lingua italiana” come la definì con stizzosa supponenza la neo regina Maria Luisa di Borbone? O piuttosto un’opera degna di essere compresa e valorizzata come ha fatto Riccardo Muti?
Il pubblico del “Verdi” di Trieste, per la prima volta da quando esiste il teatro, sabato 13 aprile ha assistito a “La clemenza di Tito” di W.A. Mozart e non la pensa come la regina. Ha seguito con interesse, apprezzato e applaudito quello che, fino al giudizio negativo che ne diede Wagner, era considerato un capolavoro.
Se i giudizi critici sull’opera sono discordanti, e oscillano tra il “relitto” di gusto classicista e il capolavoro degno del Don Giovanni e della Zauberflöte, l’allestimento del “Verdi” ne ha evidenziato le caratteristiche geniali, sia drammaturgiche che musicali.
È chiaro come sia difficile attualizzare un’opera che racconta, piuttosto che di amore e morte, della magnanimità e dell’indulgenza di un governante che diviene eroe della bontà e dell’etica. Quindi la soluzione scenografica e registica dell’allestimento triestino ha inquadrato la vicenda di uno stereotipo celebrativo - come doveva essere il Tito di Mozart - in un tempo e in uno spazio inattuali ma assolutamente congeniali.
Infatti Pier Paolo Bisleri colloca l’azione nell’epoca in cui fu composta l’opera (e lo testimoniano costumi, parrucche e suppellettili stile Luigi XVI) e vi aggiunge valore estetico ambientandola nella rigorosa cornice rinascimentale del Teatro Olimpico di Vicenza di Andrea Palladio
La regia di Jean-Louis Grinda, coadiuvato dall’assistente Erich Chevalier, muove i personaggi con simmetria geometrica, in taluni momenti come se prendessero parte a un rituale disciplinato.L’effetto generale potrebbe essere la soluzione della lettura di un’opera controversa: come Mozart con la musica del suo “Tito” e Palladio con l’architettura, Bisleri e Grinda propongono il confronto con la classicità e gli elementi costituitivi del teatro antico auspicando così di ritrovare le leggi segrete dell’armonia e della proporzione etica ed estetica. Attualità ex contrario, dunque.
Anche dal podio si è avvertita questa tensione. Il M° Gianluigi Gelmetti ha contenuto i tempi conferendo unità drammatica e dinamica, ha dato il giusto rilievo agli strumenti rispettando la vocalità dei cantanti e messo in evidenza purezza di linee e ricchezza di ornamenti della partitura mozartiana. Misura ed equilibrio hanno forse mitigato il vigore dei recitativi accompagnati. Un plauso ai fiati e al clavicembalo.
La compagnia di canto è stata corrispondente all’impegno richiesto: il tenore calabrese Giuseppe Filianoti (Tito), ha interpretato questo ruolo, l’anno passato, alla Met di New York. Rappresenta con disinvoltura le sfumature emotive del suo personaggio con un fraseggio delicato e vi aggiunge simpatia e nobiltà nella recitazione. Sicuro nell’intonazione, nel volume e nella messa di voce, fatica un po’ in qualche coloratura particolarmente ardua.
La mezzosoprano Laura Polverelli interpreta Sesto con intelligenza drammatica e competenza tecnica, soprattutto nella collocazione dei fiati. Cosa che le permette di cesellare le colorature e approfondire l’intensità e il temperamento del suo personaggio. Sicurezza e proprietà espressiva le sono state riconosciute ampiamente negli applausi finali.
Eva Mei sfoggia un’intonazione sicura e un timbro luminoso. Le sue colorature e la sua sicurezza scenica disegnano con plasticità anche psicologica una Vitellia intensa, dinamica e sciolta nel passaggio dall’intrigante, fiera e ambiziosa del primo atto, alla principessa amorosa e umiliata del secondo.
Marco Vinco (Publio) è un basso dalla recitazione asciutta e sempre calibrata e dalla figura elegante. Ottima la sua prova che mette in campo una buona dizione, un’intonazione sempre centrata e una voce dal timbro sostanzioso in tutti registri. Buona anche la prova della mezzosoprano Annunziata Vestri (Annio) e della soprano siberiana Irina Dubrovskaya (Servilia)
I costumi del nuovo allestimento portano la firma di Francoise Raybaud–Pace, nota anche per la propria linea di abbigliamento. Le luci sono di Claudio Schmid. Impeccabile come sempre il Coro del Teatro “Verdi” istruito dal M° Paolo Vero.
Recensione di Roberto Calogiuri pubblicata sul sito ilfriulivenziagiulia