domenica 27 marzo 2016

GANDINI JUGGLING - 4X4 EPHEMERAL ARCHITECTURES 22 marzo 2016

Locandina dello spettacolo

Ecco, non avrei scommesso un euro su questo spettacolo proposto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia al Politeama Rossetti di Trieste....e invece: poesia, classe e internazionalità.

Poesia. Tanta. Nel coniugare due cose così vicine al circo come la giocoleria e la danza. La giocoleria che dopo 5 minuti diventa noiosa e insopportabile e la danza che, ormai sempre più spesso, viene spinta a tali livelli atletici da perdere tutta la magia. Invece, nonostante alcuni danzatori, non fossero eccelsi e solo tre gli attrezzi usati, tutto era condito da un pensiero unico e alto, dalla semplicità e contemporaneamente dalla grandiosità dell'allestimento, dalla cura del dettaglio, della musicalità, dei pesi scenici...poesia, insomma.

Classe, perché è stata una serata veramente misurata e calibrata: nessuno strafalcione, neanche quando un attrezzo cadeva; nessuna gigioneria, tutto misurato ed equilibrato. 65 minuti di eleganza.

Internazionale, perché aveva un respiro e un taglio che noi in Italia non riusciremmo a dargli: un respiro altro, una coerenza tra cultura e pensiero filosofico, amore per il bello e per la misura. Noi italiani avremmo avuto bisogno di farcirlo di effetti speciali e baracconate varie...

C'è poco altro da raccontare perché è uno spettacolo assolutamente visivo. Forse andrebbe tagliato di qualche minuto o andrebbe introdotto qualche attrezzo più fantasioso. Anche se il finale vince su tutto: meglio del riuscire a ricomporre il Cubo di Rubik!

Bravi.




mercoledì 23 marzo 2016

LA SAGRA DELLA PRIMAVERA/BOLERO 19 marzo 2016

Locandina dello spettacolo

E' stata una grande emozione: era da tanto tempo che non mi commuovevo a teatro.
Grazie Michele e grazie agli splendidi danzatori della MM Contemporary Dance Company.

Il dittico composto da La sagra della primavera e Bolero è stato un bellissimo regalo da parte degli Artisti Associati di Gorizia, capitanati da Walter Mramor, a noi appassionati di contemporaneo, regalo che spero vorranno riproporre ancora qui in regione.

Bellissimo perchè Michele Merola ha saputo fare della sua compagnia un'isola felice, una realtà silenziosa ma prestigiosa e di altissimo livello: un gruppo di 5 danzatori fedelissimi (Enrico Morelli, Paolo Lauri, Stefania Figliossi, Giovanni Napoli e Lorenza Vicidomini) lo seguono con passione, ai quali si stanno aggiungendo via via gemme sempre più preziose.
La bravura dei danzatori e l'umiltà di Michele ne fanno una caso unico in Italia. A fronte di tante compagnucole à la page, di direttrici roboanti e di coreografi presuntuosi, la MM si conferma una compagine che si interessa ai fatti, più che alle parole.

Ce lo dimostra in primis Enrico Morelli che ha il coraggio di affrontare un capolavoro intoccabile, come La sagra della primavera di Igor Stravinsky, una dei capolavori musicali e coreografici del Novecento: intoccabile perchè contrassegnato da tanti ricordi visivi che quelle note ricordano dalla versione di Bejart a quella di Edward Clug a Fantasia di Walt Disney.
La dote principale di Enrico è sicuramente la musicalità, la capacità di rendere tutti i colori, i contrappunti e le voci della partitura rappresentandoli coreograficamente, assieme ad una grande abilità nel dosare i pesi scenici nei momenti di assieme, così come nei duetti o nei soli.
L'idea registica è altrettanto interessante, pregna di concetti storici e filosofici che la brochure di sala ci svela, dimostrando anche lo spessore umano del coreografo.
Grazie - veramente grazie - alle splendide luci di Cristina Spelti, il brano inizia lasciandoci a malapena intravvedere un corpo esanime trascinato con una catena da un lato all'altro del palcoscenico, mentre dalla graticcia oscillano dei ganci da macelleria, anche loro appesi a delle catene. Momenti di buio si alternano ad altri di fioca illuminazione e, ad ogni riaccensione, la scena si popola di qualche nuovo danzatore, fino alla prima esplosione orchestrale che da il via al rito. Da lì in avanti è un continuo susseguirsi di una danza fluida ma potente, di assiemi, di duetti, trii e quant'altro la partitura musicale suggerisce e richiede. Fino al momento in cui si delinea chi sarà l'Eletto, il nuovo capro espiatorio.
Questa volta tocca alla danza meravigliosa, forte, matura e personalissima di Giovanni Napoli,
generoso ed immenso in questo ruolo che lo porterà ad essere appeso a sua volta ad una catena. Assieme a lui meritano di essere menzionati tutti gli altri danxatori: Paolo Lauri, Fabiana Lonardo, Alessio Monforte, Miriam Re, Cosmo Sancilio, Gloria Tombini, Chiara Tonutti e Lorenza Vicidomini. Una lode particolare al carisma scenico di Nicola Stasi che cattura lo sguardo dello spettatore e a fatica lo si abbandona.

Dalla fisicità violenta della Sagra si passa alla poesia del Bolero di Maurice Ravel, almeno così mi sembra lo abbia sentito Michele Merola. Scorrendo il programma di sala ho scoperto che la partitura originale era stata rielaborata da Stefano Corrias e mi sono preoccupato. Inutilmente! Per le stesse ragioni riferite in merito alla coregrafia di Morelli, anche il Bolero mi ricorda immediatamente un tavolo rosso su cui un danzatore si esibisce fino allo stremo, circondato da altri danzatori. Invece neanche per un secondo mi è tornata in mente la creazione di Bejart, tanto forte è stata la creatività del trio Merola/Corrias/Spelti.
Anche se Merola cerca distanza dalla sensualità della partitura originale, rifugiandosi dietro il tema dell'incomprensione tra esseri umani, la sua danza, i duetti, i trii, i quartetti che si compongono sono permeati di sensualità, di contatto, di afflato. Ma poco importa la mia lettura. E' di nuovo la danza a rapirci, a portarci in alto. Ed ogni volta che la musica di Ravel incalza e viene frenata dalle interposizioni di Corrias, è lì che ci emozioniamo, mentre ci viene permesso di curiosare in attimi e momenti intimi e personali, sottolineati dalla splendida scenografia mobile che a volte nasconde e a volte rivela le storie dei nostri.
Una bellissima rilettura del capolavoro di Ravel con Enrico Morelli al centro di tanti dei momenti più
intimistici.


Molto belli i costumi di Nuvia Valestri per la Sagra e quelli Alessio Rosati per il Bolero, anche se i pantaloni bianchi del finale di Bolero avevano per i miei gusti il cavallo troppo basso e non aiutano molto i danzatori. Sala piena e pubblico entusiasta.

Due ultime considerazioni più tecniche: i miei complimenti per il progetto Agorà che la MMcompany porta avanti! I risultati si vedono nei tanti giovani che animano la compagnia con nuova energia, consapevolezza del repertorio e per questa danza sempre piena, rotonda, pastosa. Infine un pensiero per la compagine femminile. Nel panorama di danza delle compagnie contemporanea italiane, vedo ormai solo ginnaste o mere esecutrici, surclassate per teatralità e talento dai maschi. Le danzatrici di questa compagnia sono dei felini, cariche di personalità e con linee incredibili....evviva!


giovedì 10 marzo 2016

LUISA MILLER 8 marzo 2016

Locandina dello spettacolo

Vado spesso alla quarta recita delle produzioni della Fondazione Lirica Giuseppe Verdi di Trieste e mai come questa volta mi diverte scrivere di uno spettacolo che a me è piaciuto e di cui ho letto molte recensioni insoddisfatte, distruttive e che narrano tutto e il contrario di tutto. Segno dei tempi, del fatto che i gusti sono veramente personali, ad eccezione dei musicologi che spesso sono concordi in generale, ma altrettanto spesso hanno orecchie diverse gli uni dagli altri.


A me lo spettacolo è piaciuto parecchio, ricordandovi che mi ritengo un cronista, non certo un competente critico musicale critico musicale. Aggiungo anche che adoro Verdi e i suoi Zumpapà...

La regia di Denis Krief (autore anche di scene, costumi e luci) è classica ed efficace, ad eccezione della goffa scena iniziale in cui si festeggia il compleanno di Luisa Miller, dove il coro - ahimé - balla e si spengono le candeline di una tradizionale torta. Non esiste una precisa epoca in cui si svolge la vicenda e ce lo ricordano i costumi che vanno dagli abiti bianchi con coulisson del coro alla vestaglietta della Upim della protagonista: io non l'ho trovato fastidioso tale era il mischiottio anche riguardo alle scene dove la povertà di casa Miller era contraddistinta da legno per pallets con assemblaggio patchwork, mentre la geometrica freddezza bianconera della casa del Conte di Walter rimandava all'opulenza grazie a qualche complemento d'arredo. Ho trovato nteressanti molte trovate che movimentavano l'impianto scenico: finestrelle che talvolta sono aperte nella boiserie e altre volte chiuse a sottolineare i mezzi busti di alcuni personaggi o a far scorgere le proiezioni agresti che si muovono sul retrostante fondale o addirittura a spaccare in due la scenografia per rendere una angosciante croce per la scena finale; lo stesso dicasi per i pannelli traforati in tutto bianco attraverso i quali i proiettori disegnano a terra
numerose figure geometriche e tagliano le figure degli artisti; e ancora ripartizione della scena con una parete scorrevole in spazi più o meno grandi. Insomma nozze ricche con fichi secchi! La recitazione dei protagonisti lascia loro spazio alla gestualità tipica del cantante d'opera mentre si concentra maggiormente sulla loro interazione con il coro. Il disegno delle luci era molto accurato e teso ad esaltare i numerosi ambienti che la mobilità delle scene crea. Bravo Krief!



Musicalmente ho trovato in splendida forma sia il Coro del Teatro Verdi, diretto dall'ottimo Maestro Fogliazza, che l'Orchestra. In merito alla conduzione della stessa da parte del Maestro Myron Michalidis, ho trovato poco equilibrio tra palcoscenico e buca: molti cantanti erano sopraffatti dal volume dell'orchestra e, se anche volessimo pensare che avessero poca voce, è giusto ricordare che è compito del Direttore equilibrare i suoni.

Venendo ai cantanti, svettava su tutti lo squillante tenore Luciano Ganci, interprete di un Rodolfo arrivato a spettacolo già debuttato, di grande levatura musicale e padrone di una tecnica ed esperienza che lo aiutano nei momenti di difficoltà, non rari per un tenore generoso e amante del rischio come lui; nella mia personale graduatoria, segue la Luisa Miller di Saioa Hernandez, reduce dal trionfo come Norma in questo stesso teatro, che conferma un bel timbro mezzo sopranile, padronanza tecnica e buon volume.
Potente ed altera la Federica di Olesya Petrova, pregevole il Wurm di In-Sung Sim, dotato di voce sicura e penetrante; deliziosa la Laura di Yumeji Matsufuji e adeguato il Contadino di Motoharu Takei.
Molto stanca mi è parsa la voce di Ilya Silchukov nel ruolo del Padre di Luisa e tonante ma instabile l'emissione di Andrea Comelli come Conte di Walter.


Bisognerà ricordare al pubblico triestino che non c'è nente di male ad applaudire chi ci mette la voce e la faccia, se canta bene; se invece è l'allestimento che non piace non resta che venire alla prima e fischiare il regista. La sensazione è che ci fosse un generale e trascurato disinteresse...che peccato!