domenica 3 novembre 2013

MIGUEL ANGEL BERNA 2/11/13

Locandina dello spettacolo

Che spettacolo di spettacolo! Si, lo so, grammaticalmente non è un'affermazione delle migliori, ma è quella che mi sembra più calzante.
Non perché lo spettacolo sia ricco di chissà quali effetti o trovate, anzi....ma proprio per questo è spettacolare. Perché è bastata la qualità della danza per tenere tutti inchiodati alle poltrone della Sala Assicurazioni Generali del Politeama Rossetti di Trieste. Perchè il pubblico è rimasto con il fiato sospeso per tutto il lungo e bellissimo ultimo assolo di Miguel Angel Berna, senza neanche il famoso "Coro del colpo di tosse", tipicamente triestino.

Ho appena letto di un torero che al momento di sferrare gli ultimi colpi al toro, si è seduto sul bordo dell'arena, incapace di proseguire la matada, afflitto dal senso di colpa per aver guardato negli occhi quell'animale. Ecco, finalmente un cambiamento in una tradizione inutilmente cruenta e completamente ispanica nell'immaginario di tutti noi. Anche "Bailando mi tierra...mudejar" mi aveva fatto immediatamente pensare, nella mia oceanica ignoranza, che avrei assistito la rappresentazione più o meno folklorica della solita Spagna da cartolina, corredata di stacchettamenti, chitarre e Olè! Invece...
Invece è stato tutt'altro.
Ad iniziare dalle scarpe che i danzatori utilizzano in scena: morbide come le mezzepunte della danza classica, che permettono molti passi felpati e scivolati lungo il palco; per continuare con la sobria linearità dei costumi, raffinati e molto contemporanei di Maria Jose Mora; oppure ripensando ai musicisti, composti in un'ensemble tutt'altro da quello che ci aspetteremmo! C'erano: cornamusa, flauti, cajon. percussioni, banduria, laud e (per fortuna) chitarra, il tutto accompagnato dalla splendida voce di Maria José Hernandez.


Poco dopo l'apertura del sipario si percepisce nettamente un'ambientazione ben diversa da quella iconograficamente flamenca: appare un primo simbolo proiettato ed è un misto tra la stella di David e la griglia di una mashrabiya; la musica riecheggia di influenze arabe; luci e fumo creano un'atmosfera molto diversa dal classico tablao flamenco. Lui è già lì, percepibile grazie ad un effetto luce un po' impreciso, ma quando si muove enfatizza ed esaspera i gesti, alla stregua dei bailaores che lo hanno preceduto come Cortes, Gades, ecc. Accidenti, speravo fosse diverso: almeno, però, è a piedi nudi.

Entra un gruppo di danzatori, molto puliti e sincroni: danzano qualcosa che sembra a mezza via tra una danza contemporanea e qualcosa di più codificato...una danza popolare? Forse questa Jota di cui Berna studia e cerca di riscoprire passi e sequenze da più di 30 anni e di cui è diventato il massimo conoscitore e praticante.
Poi Lui torna in scena e inizia un assolo: gli occhi si incollano alla sua figura lunga, alla finezza delle figure e dello spazio che divora scivolando sui piedi, calzati in delle improbabili scarpe rosse con il tacco d'oro;
le braccia, lunghissime, esprimono forza e fierezza, linee protese all'infinito, dove trovano posto delle magiche nacchere in metacrilato trasparente che gli forgia appositamente suo padre; occhi che bruciano, penetrano, nonostante il buio del palco e la distanza dalla nostre poltrone. L'assolo volge al termine e Miguel ruota su se stesso come un derviscio, per un tempo che sembra lunghissimo. Forse lo è, ma ormai siamo completamente avviluppati in lui e non capiamo più molto. Certo, in altri momenti, il suo portamento è assolutamente identico a quello di un torero: la schiena spezzata, con lo sterno che protende in avanti e il mento che sfiora il torace...ma non lasciatevi ingannare! Tutto in lui è diverso.


La scaletta prosegue con un'alternanza tra coreografie danzate dal gruppo di 7 danzatori e i suoi assoli. Ha dell'incredibile l'assoluto, rarefatto, impensabile silenzio che il pubblico presente in sala riesce a mantenere durante l'ultimo assolo: la riprova del detto "non si sentiva volare una mosca"...stupefacente! Tanto quanto lui.


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