lunedì 22 febbraio 2016

OBLIVION: THE HUMAN JUKEBOX 19 febbraio 2016

Locandina dello spettacolo



Scoppiettanti.
Insuperabili.
Deliziosi.
Intonati (dote rara al giorno di oggi).
Istrionici.
Simpatici.
Teatrali.
Accattivanti.
Cialtroni (lo dice anche il loro l'ufficio stampa).
Musicisti.
Attori.
Cantanti.
Sognatori.
Variopinti.

Ovviamente, potrei continuare a lungo...perché se ne meritano ancora tanti di aggettivi. E tutti positivi.

Sono stati capaci di trasportarci lontano dalla realtà, in un mondo dove non si discute di diritti civili e di politica, di violenza e sorprusi, di furti e furbetti. Ci hanno riportato nel mondo rosa dei ricordi, inevitabilmente del passato, dove i ricordi brutti - fortunatamente - svaniscono per lasciare il posto solo a quelli belli.

Un'ora e quarantacinque minuti di respiro, di sogno, senza neanche il bisogno di andare a fare la pipì.

Un allestimento scenografico che prende ispirazione dai quadri di Piet Mondrian, una regia asciutta e scorrevole (cofirmata da Giorgio Gallione), una chitarra magistralmente suonata da Lorenzo Scuda, molti cori a cappella, qualche base....insomma grande semplicità e alla base di tutto la scansonata cialtronaggine di giocarsi la faccia trasformandosi in juke box umani. All'ingresso il pubblico può indicare il proprio cantante preferito scrivendolo su un foglietto e depositandolo dentro un urna. E questi scellerati funamboli ogni tanto ne pescano qualcuno e, dal loro sconfinato repertorio, riescono ad accontentare quasi tutte le richieste (a parte Franco IV e Franco I: sfido anche voi a sapere chi sono...).

Aprono lo spettacolo con cinque minuti di musica in cui ripercorrono tutte le canzoni vincitrice delle 65 edizioni del Festival di Sanremo; tocca poi ad una parodia dedicata a Il Volo, passando per le richieste del pubblico, in un percorso musicale che va da Pavarotti a Morandi, dai Queen ad Albano&Romina, chiudendo con un omaggio al pericolosissimo gender e bissando con "C'è bisogno di pois", versione rap de "Una zebra a pois" di Mina.

 Lorenzo Scuda, Francesca Folloni, Graziana Borciani, Fabio Vagnarelli e Davide Calabrese mi resta un solo aggettivo da dedicarvi: BRAVISSIMI!


domenica 31 gennaio 2016

LA BELLA ADDORMENTATA 30 gennaio 2016

Locandina dello spettacolo

Coraggiosi e, in fondo, vincenti in una scelta così ardita.
C'è chi dice che Etudes di Harald Lander sia il vero banco di prova di una compagnia che affronta il repertorio della danza classica.
Secondo me La Bella Addormentata di Peter Ilijc Cajkovski è anche peggio, sia per le difficoltà tecniche e la purezza cristallina stilistica da rispettare, sia per lo stuolo di Primi Ballerini e Solisti che richiede.
La piccola compagnia slovena se la cava egregiamente.
Gli ensemble, specialmente quello della scena della visione, sono curatissimi; i solisti sono affidabili e i Primi Ballerini...lo sono quasi.
 

Venendo alle mie impressioni, l'allestimento scenografico è suntuoso come si conviene ad una compagnia nazionale e ad un titolo così famoso: bellissime scene, arricchite da alcune proiezioni, realizzate in economia ma con intelligenza, come richiede l'attuale situazione economica, ad opera di Andrej Strazisar (emozionante il momento in cui il palcoscenico si solleva per svelare l'antro di Carabosse); costumi immaginifici e fantasiosi, dai colori sgargianti e dalle stoffe - falsamente - ricche firmati da Marija Levitska (strepitosi quelli di Catalabutte!). Efficaci ed eleganti le luci di Andrej Hajdinjak.
La coreografia di Irek Mukhamedov è fedelissima all'originale di Marius Petipa o comunque ne rispetta perfettamente lo stile e l'epoca. Lo condanno solo per alcuni tagli musicali veramente raccapriccianti, ma lo assolvo per aver condensato questo balletto in 135 minuti incluso l'intervallo! E' da un po' di tempo che asserisco che il pubblico non riesce più a restare attento e concentrato per lunghezze troppo imponenti, come di moda nei secoli scorsi, ma credo anche che i tagli potevano essere apportati più armoniosamente. Per il resto, riesce a raccontare perfettamente la storia, a renderla piacevole e moderna, senza toglierle gli aspetti favolistici, né la suntuosità.


L'attuale direzione della SNG di Lubiana, da parte di Sanja Neskovic Persin, ci tiene ad alternare produzioni contemporanee ad altre prettamente classiche e non posso che condividerne le scelte visti i risultati della precedente produzione contemporanea e di questa Bella: sono convinto anche io che questa sia la strada giusta per mantenere i danzatori "pronti a tutto"!
Loro, infatti, rispondono benissimo. Come già dicevo l'ensemble femminile è affiatato e di buon livello; quello maschile idem ma pecca ancora più visibilmente di una certa disomogeneità fisica: è anche vero che, per le ragioni di repertorio di cui sopra, è preferibile avere delle personalità spiccate piuttosto  che 32 danzatori diafani, tutti della stessa altezza!

Tjasa Kmetec è una Aurora quasi perfetta se non fosse per delle proporzioni fisiche desuete per un ruolo di questo tipo. Ha migliorato la sua prestazione scena dopo scena, per cui preferisco dimenticare l'Adage à la rose molto teso e titubante e ricordare un radioso passo a due finale, in cui ha sfoggiato una tecnica sicura e la giusta allure. Kenta Yamamoto è un Principe Desirè solo nel fisico: tecnicamente è poco pulito, le discese dai salti sfiorano il rimbalzo ma resta un ottimo partner.
La nostra Rita Pollacchi è una Principessa Fiorina con i fiocchi: pulita, sicura e radiosa come si deve, ottimamente accompagnata da Yujin Muraishi, un Uccellino Azzurro dalla tecnica sicura e adamantina.
Sono rimasto letteralmente folgorato dalla bellezza, dall'eleganza e dalla precisione tecnica di Barbara Potokar, una Fata dei Lillà che ricorderò a lungo: strepitosa! Le auguro una lunga carriera, piena di ruoli importanti: se li meriterebbe, almeno in seno a questa compagnia!
Divertente il Catalabutte di Tomaz Horvat, imponente la Carabosse di Lukas Zuschlag e bene tutti i solisti delle favole, con una menzione particolare per la Cappuccetto Rosso di Tasja Sarler.

Insomma, veramente una piacevole produzione! Sala abbastanza piena, pubblico plaudente.

domenica 24 gennaio 2016

BILLY ELLIOT 17 gennaio 2016

Locandina dello spettacolo

Scrivo di questo spettacolo in grande ritardo, e me ne scuso con i miei lettori, ma l'influenza mi ha devastato.
Ed è strano scriverne dopo, perché si ha più tempo per raccogliere le impressioni di chi l'ha già visto.
Lo aspettavo preceduto da un coro di lodi che mi arrivava direttamente da Roma, dal debutto. Qui ne ho sentito parlare come sempre con alterne recensioni ma a me è piaciuto parecchio.
E sono tutt'altro che un fan di Massimo Romeo Piparo.

In questo caso bisogna lodarlo perchè ha ritoccato solo alcune cose rispetto alla versione anglofona, senza voler stravolgere o personalizzare troppo lo spettacolo, aspetto che lo ha invece punito in molte altre occasioni. Spesso i registi non si rendono conto che i titoli più conosciuti sono già impressi nei cuori e negli occhi delle persone: piuttosto che ritoccarli, per lasciare il proprio necessario imprint autoEGObiografico, sarebbe più conveniente farne una lettura totalmente nuova oppure occuparsi di
prime mondiali. Figuratevi che, nei vari ascolti di cui parlavo sopra, qualche amico mi ha detto che il musical lo aveva deluso perché il finale era aperto mentre il film riportava i successi di Billy ormai adulto e i cambiamenti fatti da Michael...in che modo curioso lavora il nostro cervello!

Ma a parte ciò, lode e gloria a Piparo e alla sua casa di produzione per questo sforzo molto ben riuscito!

A iniziare dal bellissimo allestimento, ad opera di Teresa Caruso, caratterizzato da un impianto a scena fissa con un ponte mobile, capace di trasformarsi in cortile, sala di danza, appartamento della famiglia Elliot e altro ancora! Intonati e adeguati i costumi di Cecilia Betona e bellissimo il gioc di luci di Umile Vainieri. Adeguate le coreografie di Roberto Croce, ben supportato nel tap da Marco Rea, e molto ben inserite anche le allieve del Toc Toci di Trieste, guidato da Michela Bianco, che interpretavano le compagne di danza di Billy.

Venendo agli interpreti, ho trovato straordinario il Billy di Alessandro Frola, che è talmente bravo da
meritarsi che tutti noi ci si dimentichi che è un figlio e fratello d'arte! Preciso, partecipe, con buone doti per il canto e la danza, recita naturalmente e ama stare in scena: che ci stia a lungo!
Angelica, soave, dolce e meravigliosa come sempre è stata Sabrina Marciano nel cameo della Mamma di Billy: una delizia per gli occhi e per le orecchie. Ho trovato il Papà di Billy, Luca Biagini, a volte un po' troppo impostato ma ha saputo farsi perdonare con una presenza scenica formidabile.
Mrs Wilkinson era greve, sfacciata e fuori forma, come si conviene ad una maestra di danza di provincia, di un piccolo paese di minatori, ed era molto ben interpretata da Elisabetta Tulli. Tony, il fratello di Billy, era Donato Altomare, buona voce e un personaggio antipatico da portare fino in fondo. Simpaticissima e scalmanata la Nonna di Billy, interpretata da Cristina Noci, molto applaudita anche dal folto pubblico presente in sala. Simpaticissimi Jacopo Pelliccia nel ruolo del maestro di boxe, e Maurizio Semeraro - wow, che scioltezza! - nel ruolo del pianista.


Stre pi to so il Michael di Christian Roberto: grintoso, scatenato, simpatico, travolgente, ironico....bravo! Un bravo generale a tutti i membri della compagnia e a quelli che non ho citato: bella energia, grande cura alle controscene e alta professionalità! Bravi.

Veramente una bella serata della quale ringraziare il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, nella persona di Franco Però, per averli voluti a Trieste, la Peep Arrow Entertainment per aver prodotto lo spettacolo, e noi pubblico per avere ancora la voglia di andare a teatro nonostante la stanchezza, i prezzi e...l'influenza!



venerdì 25 dicembre 2015

L'ELISIR D'AMORE 22 dicembre 2015

Locandina dello spettacolo

E' una vera delizia questo allestimento, di quello che si può considerare il capolavoro di Gaetano Donizetti, sia per gli occhi che per le orecchie! E' una produzione solare, allegra, piena di cura per i dettagli (complimenti, visti i ristretti tempi di prova!) che ruba due ore e mezza di vita con grazia e bellezza! Due ore e mezza che ho l'impressione il pubblico inizi a fare fatica a sopportare, abituato sempre di pù alle brevi durate delle serie televisive....

Gran parte del merito va, per la parte visiva, al regista Fabio Sparvoli, assistito da Giovanna Spinelli, che imbastice una regia scorrevole, piena di dettagli e di idee, aiutato dal coro della
Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste in grandissima forma. Lo seguono con affetto e dedizione anche gli interpreti principali, convinti a sostenere i loro personaggi fino in fondo, sia essendo una donna che cerca di sedurre un carabiniere, che una protagonista
altezzosa e poco simpatica...ah già, la vicenda è spostata in avanti, fino agli anni cinquanta del secolo scorso, in un paesino dell'entroterra centro italiano, direi. Il clima che si respira è sereno, è quello di un Italia uscita dalla guerra, che ha voglia di ricominciare, di divertirsi, senza dimenticare la necessità di lavorare. L'impianto scenico rimanda ad una tipica casa colonica, color rossiccio che vediamo dal profilo destro nel primo atto e dal sinistro nel secondo: splendido escamotage dello scenografo Saverio
Santoliquido, immagino, per contenere i costi senza annoiare lo spettatore. Finiscono la scena due piccole collinette e alcuni covoni di paglia. I costumi di Alessandra Torella sono adeguati e perfettamente inseriti nella scala cromatica della messinscena. L'unica pecca sono le luci di Jacopo Pantani che sottolineano il dipanarsi della vicenda (personalmente lo detesto, a meno che tutta l'ambientazione non sia favolistica e non verista come in questo caso) trasformando improvvisamente la scena in un notturno o andando a definire il trio di protagonisti sagomandolo dall'alto...ahimè, andando a sottolineare anche dettagli che non c'entrano nulla con la narrazione e con il pathos che si voleva creare.

Venendo ai protagonisto ho ascoltato la Adina di Dušica Bijelić, molto preparata scenicamente e vocalmente, vezzosa e arrogante come richiede il personaggio, ma capace di una credibile trasformazione finale verso l'amore e la dolcezza. Ho trovato il Nemorino di Leonardo Ferrando gagliardo, visionario, sognatore come dovrebbe e vocalmente tanto, tanto piacevole. Il Dulcamara di Domenico Balzani era altresì convincente sia dal punto di vista scenico, supportato da un servo vero truzzo di periferia affidato all'intelligente mimica di Mario Brancaccio, che da quello vocale , ma avrei voluto sentirlo scandire e sillabare maggiormente la sua aria del primo atto. Potente, dominatore e ieratico il Belcore di  Filippo Polinelli, questa volta impersonante un ufficiale dei Carabinieri, così come delicata e fanciullesca era la Giannetta di Vittoria Lai.


L'orchestra suona bene e si impegna ma la conduzione di Ryuichiro Sonoda non decolla: per i miei gusti affronta con troppo clamore l'ouverture, restituendo al povero Dozzinetti un soprannome che proprio L'elisir d'amore gli aveva affrancato...peccato!

Mi preme lodare e ringraziare nuovamente il coro, in particolare le sezioni femminili, per il grande lavoro registico svolto e affrontato in questa messinscena: sono briose, presenti, disponibile, allegre, precise...brave!

Sala piena, pubblico poco reattivo alla fine delle varie arie, ma generoso nei ringraziamenti di fine
spettacolo. Teatro affollato di ragazzini delle medie e superiori cittadine che spero vengano adeguatamente preparati alla visione di un'opera lirica, mondo sempre più lontano da quello attuale...

P.s.: in tutte le lodi spese per il Coro, mi sono dimenticato di citare il Maestro Fulvio Fogliazza che li dirige con competenza e passione....spero che non me ne voglia!

Invece per rispondere ad altri invidiosi e rancorosi, ricordo che un blogger scrive di quello che vuole, siano anche solo i movimenti e la regia e che, per fortuna, nessuno è costretto a leggermi! Altrimenti sarei rimasto a scrivere per il sito dove recensivo prima, che si occupava di tutti gli aspetti tecnici, con piglio accademico che trovo noiosi per chiunque non sia un addetto ai lavori. La comunicazione si evolve e il mio interesse è quello di invogliare il pubblico ad andare a teatro, a non dimenticarlo...e se è vero, come mi si apostrofa che può scrivere chiunque...beh, fatelo.






mercoledì 9 dicembre 2015

MAMMA MIA! 9 dicembre 2015

Locandina dello spettacolo

Sempre un piacere per gli occhi e per le orecchie!
E' nuovamente una bellissima edizione, quella inglese che è appena approdata a Trieste , al Politeama Rossetti e che resterà in scena fino a domenica 13 dicembre.

Come sempre le produzioni inglese sono inappuntabili dal punto di vista tecnico ed artistico. E anche questa non fa eccezione!
La storia di Donna e della sua caparbietà di restare single, ma mamma felice, su un'isola greca, dove in occasione del matrimonio della
 
figlia ventenne Sophie, riapproderanno i tre uomini dei quali uno potrebbe essere il papà della fanciulla, è raccontata e messa in scena magistralmente. Tutto fila liscio, senza una sbavatura, senza un rumore accidentale, senza l'innesco di un radio microfono, per due ore e mezza di spettacolo: impensabile per noi italiani!

Le scenografie e i costumi di Mark Thompson riescono a trasportarci in piena estate, su di un'isola che immaginiamo bianca, assolata ma piena di semplicità e serenità. Catherine Johnson ha scritto uno splendido libretto nel quale le melodie immortali di Benny Andersson e Björn Ulvaeus, più conosciuti assieme alle loro compagne come gli Abba, sono incastonate come gemme preziose e sembrano nate appositamente. Non stonano neanche alcune canzoni aggiunte ad opera di Stig Anderson, grazie alla supervisione musicale e agli arrangiamenti di Martin Koch.

Phyllida Lloyd firma una regia colorata, attenta ai dettagli, musicalissima, supportate dalle vivaci e divertenti coreografie di Anthony Van Laast.

Abbiamo applaudito un'ottima Sara Poyzer nel ruolo di Donna Sheridan, che dopo un primo tempo vocalmente meno sicuro, ha saputo dare il meglio di sè; Shobna Gulati e Sue Devaney sarà Tanya e Rosie, le irresistibili Dynamo girls del suo passato artistico; Niamh Perry è stata una piacevole Sophie Sheridan, anche se il timbro molto acuto e qualche difficoltà nel registro centrale non mi hanno del tutto convinto. Molto bene il comparto maschile con Richard Standing, nel ruolo di Sam Carmichael, Michael Beckley nel ruolo di Bill Austin, Mark Jardine nel ruolo di Harry Bright e il bel Justin Thomas come Sky.

Di tutti gli altri trovate i nomi nella locandina e mi urge ricordare che sono stati generosi, brillanti e carichi di energia!

Se non l'avete visto, correte a teatro per vedere una produzione di altissimo livello...senza dover andare fino a Londra!

 
 Poyzer interpreterà Donna Sheridan, Shobna Gulati sarà Tanya, Sue Devaney sarà Rosie e l’irlandese Niamh Perry interpreterà Sophie Sheridan - See more at: http://www.ilrossetti.it/scheda_musical.asp?RecordID=5241#sthash.K9mwk6Q8.dpuf
Sara Poyzer interpreterà Donna Sheridan, Shobna Gulati sarà Tanya, Sue Devaney sarà Rosie e l’irlandese Niamh Perry interpreterà Sophie Sheridan - See more at: http://www.ilrossetti.it/scheda_musical.asp?RecordID=5241#sthash.K9mwk6Q8.dpuf

martedì 1 dicembre 2015

WERTHER 1 dicembre 2015

Locandina dello spettacolo 

Punto 1: prima volta che vedo il Werther di Jules Massenet.
Punto 2: alla fine del primo atto non ne potevo più.
Punto 3: i restanti tre atti mi sono piaciuti moltissimo.

Detto ciò, devo dire che lo spettacolo mi è sembrato nel suo complesso interessante anche se tradizionale, elegante ed asciutto.
Ho molto apprezzato le scene di Aurelio Barbato, austere e incombenti, come si conviene ad un dramma di questo tipo; eleganti e perfettamente coordinati all'allestimento anche i costumi di Lorena Marin; splendidamente chiaroscurali le luci di Claudio Schmid hanno sottolineato con intelligenza il dipanarsi della vicenda.
Giulio Ciabatti si conferma, ancora una volta, un regista tradizionale, garbato e attento ad aiutare i suoi protagonisti nel rendere personaggi scomodi e inquieti come in questa opera. Ha saputo infondere leggerezza e soavità laddove era possibile, ma non ha tralasciato di sottolineare il dramma, senza calcare la mano.

Venendo alla musica, come già scrivevo, ho trovato il primo atto lento e monotono, ma ho finito con il ricredermi man mano che l'opera proseguiva: quella che mi sembrava solo una nenia è diventata un tourbillion emozionale che mi ha piacevolmente coinvolto. Nonostante sia andata in scena nel 1892, in pieno fermento verista, a me è sembrata un'opera pienamente romantica, colma dello sturmundrang che ne era il manifesto. Il libretto si ispirava a I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe, drammone che molti di noi hanno subito a scuola, nel quale si racconta tutto il disagio interiore, esteriore e la depressione di un povero innamorato, ripetuatamente rifiutato e accettato solamente dopo essersi sparato un colpo all'addome. Una delle agonie più lunghe che io abbia mai visto...

Molto di questa mio ricredermi credo di doverlo alla direzione d'orchestra di Christopher Franklyn che ha saputo dosare i suoni, senza perdere i colori, enfatizzando i momenti cruciali, arrivando a qualche clamore che la vicenda richiedeva, ma mantenendo volumi controllati e mai forzati. A parte alcuni passaggi più acuti cantati da Werther, durante i quali ho trovato il suono dell'orchestra molto, troppo forte ed ho avuto l'impressione che fosse "un aiutino" per sostenere il tenore che appariva stanco e in difficoltà. Infine, a mio modestissimo parere, nel primo atto gli archi erano troppo protagonisti, ma ho trovato l'Orchestra del Verdi in gran forma. Veramente!

Venendo ai protagonisti, metto al primo posto la Charlotte di Olesya Petrova, potente mezzosoprano, dal timbro caldo e fraseggio molto chiaro: mi è piaciuta molto la sua interpretazione e la presenza scenica, nonostante al suo primo ingresso in platea si fosse percepito qualche risolino...è vero, un certo tipo di fisicità è inadeguata a quello che dovrebbe essere il corpo di una soave, bellissima fanciulla e stiamo diventando sempre più sofisticati e pretenziosi rispetto all'immagine ed alla credibilità che ci aiuta a leggere un personaggio.
A pari merito una strepitosa Sophie interpretata da Elena Galitskaya, soprano leggero dal timbro cristallino e dalla freschissima interpretazione scenica.
L'Albert di Ilya Silchukov era al terzo posto delle mie preferenze, nonostante il suo personaggio sia tutt'altro che affabile o simpatico: vocalmente gradevole, tecnicamente sicuro, teatralmente convincente.
Il Werther di Luca Lombardo mi è sembrato molto professionale ma in continuo calo dal primo all'ultimo atto: forse stanchezza...non so. Convincente scenicamente, anche interessante vocalmente, ma proprio calante nella resa.
Bene Le Bailli di Ugo Rabec e adeguati tutti i comprimari.
Presenti e puntuali "I Piccoli cantori della Città di Trieste" diretti da Cristina Semeraro.

Uno spettacolo che, per quanto mi riguarda, mi ha fatto scoprire una nuova opera, che mi ha regalato delle emozioni e che ha conquistato la mia vista.

Teatro pieno, tanti giovani (finalmente più interessati al mondo dell'opera), applausi in crescita.

giovedì 26 novembre 2015

PEER GYNT 24 novembre 2015

Locandina dello spettacolo 

Raramente incontro un vero talento, o perlomeno quello che a me appare come tale. Ma quando lo incontro, mi emoziono e lo celebro con la massima devozione possibile.
Il talento che mi urge celebrare è quello di Edward Clug, un coreografo di orgini rumene che dirige la SNG di Maribor dal 2003. La sua visione della danza è stata, all'inizio della sua carriera coreografica, molto nervosa, fatta di piccoli movimenti scattanti, quasi nevrotici, permeata da una certa tensione di fondo, da una tetra malinconia. Quanto tempo sia passato dalle prime coreografia (Tango e Radio&Juliet) è facilmente percepibile da questo sua ultima, recentissima creazione: il tratto è diventato più disteso, ha affinato la capacità di raccontare una storia ed è capace di sorprendere continuamente il pubblico, con momenti ironici ma anche intensi, padrone di un linguaggio coreografico personale e molto musicale.


Questo Peer Gynt andato in scena allo Cankarjev Dom di Lubiana, grazie ai complessi artistici dell'Opera di Maribor, è a mio avviso, la summa delle capacità artistiche di Clug, una sorta di manifesto del suo universo creativo, nonchè un vero chef d'oeuvre.

Raccontare una storia complicata come quella che Henrik Ibsen ha concepito per far vivere il giovane e scapestrato Peer, è difficilissimo, tant'è che lo stesso autore lo aveva scritto in versi, destinandolo alla lettura, non alla messa in scena.

Complicato anche perché la vicenda si svolge in numerosi luoghi, diversissimi tra loro: in Egitto, in Norvegia, in un bosco, nel buio più assoluto, tutte situazioni che richiederebbero infiniti cambi di scena. Edward Clug riesce nel compito ancora più arduo, di rendere tutto questo usando un'arte muta, la danza. Eppure riesce a farci capire perfettamente l'umore, il pensiero e gli stati d'animo della madre di Peer Gynt, delle donne che ama e abbandona, dell'uomo che cerca di ucciderlo con un'accetta, della morte che lo aspetta e da cui lui riesce a liberarsi, del passare del tempo, della follia. Sembra tanto, e lo è, ma le due ore di spettacolo filano via veloci e indimenticabili, aiutati dalla bellissima musica di Edvard Grieg che l'Orchestra e il Coro della SNG di Lubiana hanno eseguito con maestria e sensibilità. Merito anche della direzione orchestrale di Simon Robinson, attento a non sovrastare la scena ma neanche a sottostare alla danza. Ringrazio ed elogio anche Maja Gombac per il tocco leggiadro ma incisivo nel grande protagonismo che il pianoforte ha in questa partitura.

Vi allego un link al video dello spettacolo presente su YouTube che da un'idea ma, credetemi, è molto riduttivo e sottolinea solo quella certa nervosità della danza di Clug: lo spettacolo intero è tutt'altro. Ma mai come questa volta ho bisogno di qualche immagine che mi aiuti a raccontarvi le tante, infinite suggestioni che Clug ci regala. Andate a vederlo in una delle tante date che farà in Slovenia e presto anche in Italia.
Bellissime le scenografie di Marko Japelj: essenziali ma tutt'altro che scarne, con il bellissimo anello del primo atto, la montagnola che riappare nel secondo e il bellissimo aeroplano/giostra per bambini che strappa sorrisi a tutti gli spettatori. Interessanti e adeguati anche i costumi di Leo kulas.

Peer Gynt è lo strepitoso Milos Isailovic, cui Clug regala un bellissimo assolo, dopo la scena dell'ospedale nel secondo atto: forte, presente, duttile, affascinante, generoso...danza con tutto se stesso, come se fosse la prima rappresentazione o come se non ci fosse un domani...bravissimo! Ma tutta la compagnia è in forma, in grandissima forma. Ancora più svecchiata, piena di personalità originali e diverse tra di loro, che la rendono unica: dovrei citare tutti gli interpreti, ma proprio tutti, e allora vi rimando direttamente alla locandina dello spettacolo dove sono citati, sottolineando semplicemente che sono stati strepitosi dal primo all'ultimo. 

Grazie Edward! Mi hai fatto conoscere un'opera che conoscevo solo per la splendida partitura di Grieg: ora grazie a te, ho anche delle immagini da associare alle note...