martedì 23 maggio 2023

HERO IS TIRED sabato 20 maggio 2023

Locandina dello spettacolo 

Giuseppe Spota è un Coreografo, come non ne vedevo da un po'. No, la C maiuscola di Coreografo (lo ripeto), non è un refuso. È che è proprio bravo e se lo merita. Non che la tematica di Hero is tired mi sia particolarmente vicina o interessante ma è talmente lampante la sua abilità nel comporre che non posso che sottolinearlo. Lo spettacolo porta in scema un'indubbia riflessione sulla rapidità dell'odierno scorrere del tempo, sull'onnipresente smartphone, sullo sguardo sfuggente all'altro, egoisticamente rinchiusi in noi o in comunicazione con qualcuno che non è presente adesso, forse non lo è mai. Spesso alienati ma sempre con la speranza che un'amore salvifico ci riporti ad un livello di umanità che sembriamo aver perduto. Fin qui nulla di particolarmente nuovo a parte l'utilizzo della torcia, presente in molti dei nostri terminali, come elemento illuminante ad integrazione e sostituzione dei riflettori e forse, in un prossimo futuro, anche dei datori luce... 


È stupefacente invece la maestria con cui Spota gestisce la coreografia, in continua alternanza tra gruppi, soli, duetti e ogni altro tipo di formazione. Anche qui nulla di nuovo, visto che è quello che ci si aspetta da un coreografo. Ma a lui riesce bene, molto bene e i nostri occhi sono continuamente sollecitati da infiniti stimoli: movimenti di massa che evolvono costante come quelli di un caleidoscopio; assoli mai banali; duetti con sollevamenti inaspettati, quasi in controspinta; terzetti perfettamente bilanciati; insomma una Signora Coreografia.



La musica composta da Frano Đurović è interessante e ricca di stimoli e di rimandi alla narrazione di Spota, evidentemente creata appositamente, così come i costumi e gli elementi scenografici di Petra Dančević Pavičić, che il coreografo sa muovere con la sua maestria. Interessante anche il progetto illuminotecnico di Nuno Salsinha.


Ho molto apprezzato gli interpreti del duetto iniziale, Andrei Köteles e Laura Orlić, e quelli dello splendido duetto al centro della composizione Anna Zardi e Michele Pastorini, eccelsi, ma tutto l'ensemble fiumano si spende senza alcun risparmio in termini di energia e voglia. La compagnia è irriconoscibile rispetto a dieci anni fa, nonostante alcuni danzatori siano ancora gli stessi: danzare tanto e danzare belle cose sono alimenti vitali per i tersicorei! 




Un bravo a Maša Kolar per quanto ha saputo costruire in questo decennio e alla direzione artistica del Teatro Nazionale Croato Ivana pl. Zajca di Fiume per l'impegno e la buona volontà di continuare a tenere in vita la danza.




Piccola riflessione a parte

Hero is tired è andato in scena in all'Exportdrvo, ex magazzini dell'omonima azienda, ideale scena off e alternativa, presente in tante capitali europee come Lubiana e Vienna giusto per restare in zona. Fiume è più piccola di Trieste ma, mi domando, quanti decenni ancora dovremo aspettare per vedere, ad esempio l'ex gasometro, riconvertito in uno spazio simile qui da noi?!?

sabato 13 maggio 2023

TURANDOT venerdì 12 maggio 2023

Locandina dello spettacolo 


Turandot è la mia preferita, assieme a Tosca,  tra le opere di Giacomo Puccini. Probabilmente perché è la più verdiana, piena di volume, di percussioni e di tecnica vocale. Devo dire che le versione che ho visto stasera è stata forse fin troppo verdiana...mai mi sarei aspettato di venire così...travolto dal suono! ;-)

Sono rimasto pienamente soddisfatto dallo spettacolo, della messa in scena del quartetto formato dal regista Davide Garattini Raimondi, dallo scenografo e light designer Paolo Vitale, dal costumista Danilo Coppola e dalla assistente alla regia Anna Aiello. È uno spettacolo interessante, curato, moderno, degno di molte scene europee di livello e piuttosto insolito per il Massino triestino. La regia cesella tutto quello di cui c'è bisogno: l'interazione tra le prime parti, le azioni del coro, la credibilità delle comparse, senza nessuna lacuna. Hanno saputo muovere tutto con grande perizia e adeguatezza, incluse le inferriate su ruote che sono riuscite a non collidere mai: bravi Davide e Anna! In un team creativo così, scene e costumi non potevano essere da meno. L'ambientazione che cita e richiama Star Wars e altri film di fantascienza, è perfettamente resa dalle scene, sapientemente illuminate, di Vitale e dagli eleganti e assolutamente congeniali costumi di Coppola: bravi anche loro! 

La parte musicale è dirompente. Il Direttore spagnolo Jordì Bernàcer decide di evidenziare, di spingere tutti i suoni che stanno alla sua bacchetta dalle prime parti, ai corsisti, ai maestri d'orchestra. Ma li spinge così tanto da farmi dimenticare, come accennavo all'inizio, che si tratti di un'opera del Maestro di Torre del Lago. 


Il coro risponde egregiamente, tanto da sembrare il doppio della realtà numerica: mai li ho sentiti spingere tanto e spero che terranno le corde vocali in assoluto riposo fino alla recita di domani. Bravi anche nel tenere la scena, nonostante lo sforzo fisico! E un bravo anche al Maestro Paolo Longo che sa portarli a simili vette.

L'orchestra fa un figurone, a cominciare dalle ineccepibili percussioni, ma senza trascurare i fiati che spesso mi tengono col fiato sospeso: il suono è forte ma netto, senza sbavature, senza errori grossolani. bravi anche loro!



La compagnia di canto è forse l'anello meno convincente nonostante due nomi di calibro, forse non propriamente in serata. Kristina Kolar è Turandot da parecchi anni, eppure nell'incipit di In questa reggia ha avuto qualche problema tecnico e di intonazione che non è riuscita a far passare inosservato. Si è poi ripresa strada facendo, sfoderando tutta la tecnica e il volume che le è proprio. Il Calaf di Amadi Lagha squilla e attacca la sua parte come fosse una passeggiata, con generosità e forza anche se, ogni tanto, a tanta facilità di emissione negli acuti non corrisponde un'adeguata tecnica che lo sostenga nel registro centrale. La Liù di Ilona Revolskaia si riscatta nella sua aria finale Tu che di gel sei cinta dopo aver sostenuto una recita poco convincente e con un vibrato vocale non proprio piacevole da ascoltare. Adorabili - per fortuna, visto il peso che hanno nella vicenda - il Ping del grandioso Nicolò Ceriani (una delizia per le orecchie e per gli occhi vista la grande padronanza scenica), il Pang di Saverio Pugliese e il Pong di Enrico Iviglia: divertenti e musicalmente ineccepibili. Dominante il Mandarino di Italo Proferisce e adeguate le due Ancelle. Degli altri preferisco non dire.



Il pubblico triestino non sembrava quello di tante prime di casa, poco interessato  e poco preparato. Anzi. Ha saputo risparmiarsi applausi inutili (no, dopo Nessun dorma non hanno resistito) e non si è lasciato andare ad ovazioni generiche o generose: potrebbe sembrare freddo ma mi ha dato invece l'impressione di aver perfettamente capito cosa avevano ascoltato e qual era il livello dei singoli artisti. Qualche Buuu al team creativo a mio avviso tutt'altro che meritato: ah, questi conservatori.




martedì 25 aprile 2023

ROBERTO BOLLE AND FRIENDS martedì 25 aprile 2023

Locandina dello spettacolo  

ECCELLENZA. Di tutto, dalla qualità dei danzatori, alle scelte coreografiche.

LUNGIMIRANZA. Mettere assieme una serata che spazia dal passo a due del Don Chisciotte alle creazioni di Filip Kratz e Julian Nicosia, significa avere un progetto artistico, una direzione verso la quale andare chiara e interessante.

BELLEZZA. Tutto è stato bello stasera, tutto sprigionava bellezza.

PROFESSIONALITÀ. Innegabile sotto tutti i fronti: da quella degli interpreti a quella dei tecnici, dai titoli prima di ogni brano alle pianiste che hanno accompagnato diverse coreografie dal vivo.

OLIMPO. Questa sera eravamo lassù, seduti davanti a delle divinità.

Non starò a riportare cosa hanno danzato (trovate tutto al link Locandina dello spettacolo) ma posso dire che Vadim Mountagirov e Fumi Kaneko hanno toccato vette altissime nel passo a due dal terzo atto del Don Chisciotte: lui leggerissimo e potente, lei ammiccante e di innata classe; che Toon Lobach è un danzatore eccellente del NDT2 di cui sentiremo parlare a lungo, così come Casia Vengoechea, entrambi di gomma sia allo stato liquido che a quello solido; che Giada Rossi e Alessandro Riga rappresentano l'affiatamento ideale che vorremmo vedere in ogni coppia di danzatori; che Elisabetta Formento e Thomas Giugovaz hanno portato freschezza, gioventù e bravura; che Roberto Bolle ha intrapreso la giusta strada per questo suo momento di danzatore, apparendo in "In your black eyes" di Patrick De Bana, in cui è stato magistrale, intenso e toccante come mai prima.

Quando gli spettacoli raggiungono certi livelli non sono raccontabili, descrivibili: vanno visti, vissuti, assaporati. Andate a vedere questa edizione di Roberto Bolle and friends 2023 e mi ringrazierete. Unica nota critica: diffondere la danza, fare cultura, istruire, ammaliare, vuol dire consentire a molti, se non a tutti di accedere, di fruire della bellezza dell'arte. In quest'ottica calmierare il costo dei biglietti sarebbe un gesto degno di un vero artista come Roberto Bolle.

In chiusura, mi concedo un lusso. Thomas Giugovaz è stato un allievo di ArteffettoDanza, la struttura che dirigo e nella quale insegno assieme ad altri colleghi, dai sei anni fino al suo ingresso al secondo corso all'Accademia di Ballo del Teatro alla Scala. Ovviamente il bagaglio tecnico l'ha ricevuto a Milano, l'ha costruito confrontandosi con i compagni di corso prima e con i colleghi poi, ma siamo sicuri di averlo sostenuto da subito, riconoscendogli una presenza scenica naturale e accattivante, aiutandolo a coltivare una passione e a realizzare il suo sogno; Vederlo qui stasera, in mezzo al gotha della danza mondiale, beh...non ha prezzo! Bravo Tommy!!

sabato 22 aprile 2023

ORFEO ED EURIDICE venerdì aprile 2023

 Locandina dello spettacolo  

Credo che in questi anni di maggior attenzione alle spese, dovremo abituarci a veder comparire l'Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck nelle stagioni dei teatri d'opera italiani con sempre maggior frequenza. È un titolo conosciuto, ha solo tre solisti e quindi consente messe in scena parsimoniose. In più, in questa versione, i tre atti sono stati accorpati in 95 minuti filati di spettacolo, perfettamente digeribili per noi distratti spettatori odierni. In ogni caso, continuo a trovare quest'opera una noia infinita. De gustibus.

Premessa: adoro le riletture. Più sono moderne e dissonanti e più (quasi sempre) sono felice.


Il regista Igor Pison attualizza la vicenda trasformando l'Orfeo cantore in una moderna rockstar la cui compagna Euridice, per l'invadenza di paparazzi, sparisce nel mezzo di un inseguimento. Cosa le sia  successo non l'ho ben capito: forse la stessa fine di Lady D o forse un suicidio ma la ritroveremo comunque morta. Il resto della vicenda segue ovviamente il testo e il libretto di Ranieri de’ Calzabigi, anche se non tutto sembra giustificato senza difficoltà. Apprezzo molto il tentativo di Pison di avvicinare l'opera a noi, permettendoci un'identificazione impossibile con pepli, furie e fiamme dell'inferno ma ci sono troppi ma. La scena così vissuta, scrostata, in una casa dove sulle pareti ci sono ancora i segni di quadri che non ci sono più, poco ricorda quella di una celebrità da rotocalco ma piuttosto la soffitta di Marcello ne La Bohème; la superficialità del dolore di Orfeo è raccapricciante; Amore fa prudere le mani. Ed è meglio se mi fermo perché più ne scrivo e sforzo la memoria, più sento nodi salire al pettine, al contrario della sensazione che, alla fine dello spettacolo, mi aveva lasciato un senso di piacevolezza. 


Ho trovato l'allestimento scenico di Nicola Reichert interessante, anche se inquietante e poco funzionale, soprattutto per il grande oblò sul soffitto che, nei momenti dove il canto avveniva al centro del palcoscenico, riduceva notevolmente il volume vocale degli interpreti. I costumi erano irrispettosi per le fisicità degli artisti, riducendoli tutti ad un kitsch per nulla ironico. Erano veramente strabilianti le luci, capaci di cambiare il colore delle pareti e di sottolineare, scolpire situazioni e persone ma non c'è traccia di chi ne sia stato artefice né sul programma di sala, né sul sito. La parte coreografica, realizzata da Lukas Zuschlag, è stata molto ben danzata da Ursa Vidmar e Goran Tatar anche se nel lungo blocco del terzo atto era forse troppo didascalica, rispetto a quanto già successo, non apportando molto altro alla narrazione se non bellezza e qualità.

La parte musicale ha visto trionfare in casa Daniela Barcellona, forse l'Orfeo dei nostri giorni, ineccepibile e indiscutibile sotto tutti i punti di vista. L'Euridice di Ruth Iniesta ha saputo tenere testa a cotanta partner senza apparenti difficoltà. Meno a proprio agio Amore interpretato da Olga Dyadiv. Notevole la prestazione, anche scenica, del coro del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, condotto magistralmente da Paolo Longo che, in quanto a volume, riesce a farli sembrare vocalmente più di quanti sono. 


In buca d'orchestra a dirigere questa partitura è stato chiamato Enrico Pagano che strada facendo ha dimostrato crescente sensibilità e delicatezza, privilegiando sottovoce e rallentando, a beneficio delle interpreti e di noi pubblico, riportando a galla intimismi e delicatezze che il chiassoso allestimento ha spesso svilito.

Sala pienotta, pubblico assolutamente immobile e ipnotizzato fino alla fine di Qual vita è questa mai dove si abbandona ad un applauso timido per Euridice. Grandi applausi e ovazioni per l'arcinota Che farò senza Euridice e, incredibilmente trattandosi di danza, anche a metà delle danze per i due interpreti sloveni!



mercoledì 19 aprile 2023

BELLANDA SUITE 6 domenica 16 aprile 2023

 Locandina dello spettacolo 

È stata una duplice e bellissima sorpresa quella che ho vissuto domenica scorsa. La prima quella di scoprire un luogo nuovo, ricco di fascino e di storia. La seconda è in verità una conferma: quella di una piccola e giovane realtà locale di qualità

Il MuCa - Museo della Cantieristica di Panzano - è uno spazio ricavato in una piccola parte di quello che una volta era l'Albergo Operai costruito dalla famiglia Cosulich, nell'ambito del più vasto progetto di offrire ad operai, impiegati e dirigenti, abitazioni moderne, servizi di qualità e spazi di aggregazione, oltre al lavoro nei cantieri di proprietà, come a Rosignano Solvay o al villaggio Olivetti a Ivrea. Gli spazi, magnificamente restaurati e riaperti, ospitano principalmente una ricostruzione della vita dell'epoca, i modelli di quanto costruito in questo primo secolo abbondante di attività e gran parte delle tele che abbellivano il Teatro di Panzano, bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale e mai più ricostruito, ad opera di un pittore che amo molto: Vito Timmel. 


In questo spazio ha avuto luogo la prima tappa del Festival Bellanda Suite, in scena dal 2016. Tre le coreografie presentate ma mi soffermerò su due.

La prima è un assolo creato da Jessica D'Angelo che ci ha fatto scoprire e vivere la sala dove sono esposte le tele di Timmel, di cui scrivevo prima. Inizia lento, ipnotico, per poi accelerare e incalzare sempre più, cambiando totalmente registro ma sottolineando sempre la grazia e la forza dell'interprete. Sembrava quasi un site specific (una creazione fatta appositamente per un certo luogo) quando Jessica ha iniziato a chiamare dei nomi, diversi da quelli scritti sulle tele di Vito Timmel ma che sembravano un eco a quello che vedevamo e sentivamo: magico!


Ho visto diverse coreografie di Giovanni "Gava" Leonarduzzi, sin dai suoi inizi come protagonista della scena hip hop e della break dance locale, ma è la fase successiva più dedita alla ricerca coreografica quella che mi piace maggiormente della sua creatività: il suo ricercare un movimento rotondo, privo di spigoli e di stacchi. Non lo avevo ancora visto in coppia con Lia Claudia Latini ma credo che la di lei formazione, più accademica immagino, abbia influenzato positivamente la ricerca di fluidità di Gava. Fatto sta che Simposio, il duetto che hanno presentato è un piccolo, meraviglioso capolavoro. Cattura lo sguardo sin dal primo approccio tra i due e non ha un solo attimo di calo di tensione: lift originalissimi,  fusioni di corpi in posizioni inaspettate e inimmaginabili, gestione dell'altro in totale abbandono e fiducia e poi rotoli e salite e discese che non saprei neanche come raccontare se non invitandovi a vederli, viverli, assaporarli alla prima occasione possibile: bravissimi!

Non resta che aspettare e seguire le altre tappe del festival: il 16, 17 e 18 giugno a Cormons e il 15, 16 e 17 settembre a Gradisca d'Isonzo



lunedì 17 aprile 2023

LJUBEZEN sabato 15 aprile 2023

 Locandina dello spettacolo 

Insisto: il talento di Renato Zanella si sprigiona qundo si esprime nell'astratto. Così come in questa serata, per la compagnia della SNG di Lubiana della quale è anche Direttore, intitolata Ljubezen (Amore) che riunisce due partiture estremamente complicate: Verklärte Nacht (Notte trasfigurata) di Arnold Schönberg e Das Lied von der Erde (Il canto della Terra) di Gustav Mahler.

Per cominciare ho la sensazione che la serata scorrerebbe meglio con i titoli invertiti, chiudendo quindi con Mahler. Ed è così che ve la racconterò, in perfetta escalation

Das Lied von der Erde non mi ha pienamente convinto, né soddisfatto. Il sito della SNG la descrive così: "Canto della terra di Renata Zanella è uno spettacolo di danza in stile neoclassico. L'interpretazione mistica di un viaggio nel passato ci ricorda di riscoprire il valore della natura e tutti quei valori che si sono persi nel presente." Faccio sempre più fatica a trovare un nesso tra quello che i coreografi scrivono nei programmi di sala e quello che poi mettono in scena. Ho visto un nugolo di danzatori in cappotti e cappelli neri, dotati di valige retrò; lo stesso gruppo far finta di essere bambini ridanciani e scherzosi; coppie, trii e ensemble di danzatori fare varie cose che poco mi sembrava avessero a che fare con quanto scritto sopra. Intendiamoci, stavolta la danza c'è ed è ben interpretata dagli ottimi artisti della compagnia slovena. Ma ho l'impressione che il collante tra la descrizione e il danzato sia quasi inesistente, a parte il finale dove si svela cosa c'è in un misterioso panno bianco: sulle mani congiunte di due danzatori, alcuni colleghi pongono della terra, su cui poi verrà poggiato un prezioso, verdissimo bonsai.




Alle parti corali già citate e poco chiarificatrici per la narrazione, si controbilanciano diversi duetti, molto ben danzati, per tre coppie composte da Anastasia e Denis Matvienko, Ana Klasnja e Filip Juric, Nina Noc e Lukas Zuschlag. Bene anche i quattro solisti Lukas Bareman, Matteo Moretto, Aleks Theo Sisernik e Yuki Seki.


Mi è piaciuta moltissimo, invece, la trasposizione coreografica di Zanella della Notte trasfigurata di Arnold Schonberg: lieve, poetica, vibrante dove "in primo piano è posto il tema dell'amore, padrone della nostra vita, del suo continuo mutamento e della sua immortalità". Questa suggestione era presente anche in scena, con il pregio di mettere in evidenza le notevoli qualità tecniche e artistiche di una strepitosa Tasja Sarler nel ruolo della Vanità, sempre più salda, convincente e avvincente: brava! Assieme a lei, svetta Tiasa Kmetec, elegante e regale come non mai, in un ruolo che le calza a pennello, accompagnata dall'intenso e inossidabile Kenta Yamamoto: ma bene anche tutti i solisti e tutto il resto della compagnia.


L'orchestra della SNG regge bene l'impegnativa prova di misurarsi in delle composizioni prettamente sinfoniche, mostrando diversi solisti di grande valore, diretti con maestria dalla bacchetta di Mojca Lavrencic, capace di esaltare la qualità dei suoi orchestrali, di leggere con cura e rispetto queste due pagine del 900 musicale mitteleuropeo e di non trascurare gli artisti sul palco, inclusi il tenore Branko Robinsak e la potente Nuska Drascek, mezzo soprano di bel colore e grande tecnica.

Sala quasi piena, pubblico generosamente plaudente.




sabato 15 aprile 2023

HANDS DO NOT TOUCH YOUR PRECIOUS ME venerdì 14 aprile 2023

 Locandina dello spettacolo 

Cronaca di una serata che mi ha lasciato perplesso.
Una ventina di anni fa ero rimasto completamente affascinato da Blush di Wim Vandekeybus con la sua compagnia Ultima Vez, visto sempre qui, allo Cankarjev dom di Lubiana. Era uno spettacolo forte, anticonformista, visionario, ribelle, spregiudicato. Quindi sono arrivato sicuramente con molte aspettative.

L'inizio di questo Hands do not touch your precious Me è leggero con un uomo e una donna, abbigliati in gonna e camicetta bianca che svolazzano per il palco come bambini spensierati o come uccellini a primavera. 
Tant'è. 
Infatti lei si schianta su un pannello che chiude il finale destro della scena, come capita a qualche volatile contro le superfici vetrate. Si riprende ma qualcosa cambia. Abbandona lui a testa in giù su un mucchio di quello che sembra fango e fieno posto sul proscenio sinistro. E di lui ci dimentichiamo perché parte la bella e forte danza di Vandekeybus e dei suoi splendidi danzatori. Che dura meno di dieci minuti, ad occhio. 
Splendida. 
È fortunato ad avere dei danzatori così: dediti e spericolati, malleabili e creativi, presenti e dotati di forti personalità. Meritano di essere nominati tutti: Lieve Meeussen, Maria Kolegova, Mufutau Yusuf, Borna Babic´, Maureen Bator, Davide Belotti, Pieter Desmet, Anna Karenina Lambrechts e lo stesso Wim Vandekeybus. Poi lo sguardo viene attratto dal danzatore a testa in giù che, nel frattempo, si sta trasformando in un essere primordiale e mefistofelico di fango e stoppa (è un grandioso Olivier de Sagazan). La danzatrice di prima diventa una sorta di Caronte che traghetta uno dopo l'altro tutti i danzatori nell'altro mondo. Tutti vengono trasformati, "unti" dal primo trascinatore e ricoperti di questa materia primordiale, spesso mista ad un'altra di impressionante colore rosso.
Dettagli e fermi immagine vengono ripresi a turno dagli interpreti per essere poi proiettati sul pannello di cui sopra, a mostrare dettagli che altrimenti perderemmo, come il feticcio simil voodoo o alcune espressioni stravolte e spaventate dei danzatori. Alla fine i traghettamenti sono compiuti e tutti assieme creano in proscenio le ennesime "maschere di fango" con cui annullano i propri lineamenti (non posso immaginare la fatica per respirare!). Dopo aver attinto alle viscere del capobranco, trasformato nel feticcio vivente che aveva prima creato e visto ingrandito in video, si spostano verso il pannello,  che intanto si è trasformato in una tavola da pranzo, sulla quale avviene un banchetto, suggerito nel dettaglio da una proiezione dall'alto, che sembra piuttosto un rito sacrificale, dove si mangiano carni che preferiamo non sapere di che natura siano.


Lo spettacolo dura un'ora e mezza abbondante ma di danza non si è visto praticamente più nulla. Ed è un peccato viste le premesse di prima e lo stimolante tappeto sonoro creato da  Charo Calvo.
Inoltre questa specie di saga zombie, mista ad alien, macumbe e diversi altri temi da perfetto horror movie, non mi ha suscitato nessuna emozione, né in negativo, né in positivo, che invece è quello che mi aspetto sempre da una rappresentazione dal vivo. Solo noia, parecchia. E non è stato piacevole se, ad un certo punto, il mio cervello si è domandato: "chi mi restituirà questa ora e mezza di vita?"

Nel corso dello spettacolo dal lato destro del parter, la platea come viene chiamata in sloveno dove ero seduto, sono andate via una ventina di persone: brutto segnale anche questo e non so quanti si sono alzati dal lato sinistro o dalla galleria.
Due chiamate sforzate di applausi.


(Poi ci sono persone con maggior cultura di me e voglia di approfondire che scrivono così di questo stesso spettacolo Recensione di Claudio Finelli che riesce a motivare e spiegare tutto quello che io invece non ho digerito, ma resto dell'idea che l'opera d'arte debba essere fruibile, debba emozionare, senza bisogno di studi e spiegazioni)