giovedì 1 agosto 2013

WOZZECK_WOYZECK_RELOADED 28 luglio 2013

Locandina dello spettacolo

Difficile scrivere di Wozzeck, nuova produzione della coreografa/regista/artista visiva/sceneggiatrice (e chi più ne ha più ne metta) Andreas K. Schlehwein, ma ci provo lo stesso.
E' difficile scrivere di un suo spettacolo perché le emozioni, i pensieri non esauriscono dopo l'andata in scena, ma restano dentro di noi a decantare, come un buon vino...
Sono talmente tanti gli stimoli che offre agli occhi e alla mente che non si riesce a "digerire" tutto durante lo svolgersi dello spettacolo.

Piccolo inciso: non so quanto è durato lo spettacolo, non mi è venuta neanche voglia di guardare l'orologio...

La Schlehwein affronta la complessa e drammatica vicenda del soldato Woyzeck, realmente vissuto nel diciannovesimo secolo, diventato un'icona come rappresentante del malessere psicologico e/o psichiatrico, procedendo per immagini, come è tipico del suo teatro.
E' come se, davanti ai nostri occhi, scorresse lo storyboard che l'artista ha immaginato: in questo è aiutata dalla location in cui ha deciso di dare vita a questo Wozzeck. Siamo all'interno del bellissimo ex-convento che domina Millstatt, costeggiante l'omonimo lago, nella Stiftsaal, spazio adibito prevalentemente a mostre che Netzwerk AKS ha appena iniziato ad utilizzare anche per spettacoli "altri". Lo spazio è perfetto e sembra suggestionare anche la struttura dello spettacolo che vive delle due porte sul fondo, trasformandole in certi momenti in schermi, altre in pertugi oppure in trasparenze attraverso le quali scrutare cosa appare dietro, altrove.


Stimoli dicevo. Uno dei tanti sono le note di regia (ahimé, in tedesco) che appaiono in video sul fondale e che una mano attenta e musicale cancella via via che sono declinate dalla voce forte ed educata di Eleonore Schaefer; oppure l'apparizione nelle mani delle danzatrici delle tante scritte su cartoni di recupero che ricordano personaggi e ruoli: Marie, Wozzeck, assassino, ecc. sottolineano, suggeriscono, insinuano.


Ma la nota dominante resta, ovviamente, la danza: quella misteriosa e ambigua di Unita Galiluyo; quella enigmatica e tesa di Maria Mavridou; e quella elegante e potente di Simona Piroddi. Coautrici della parte coreografica, supervisionata e assemblata dalla Schlehwein, sottolineano tutta la potenza del dramma scritto da Buchner ricorrendo a tecniche di contact, ma anche apportando poesia nei momenti che si percepiscono come frutto di improvvisazioni poi codificate e fissate. A turno diventano Marie o Wozzeck o il Tamburmaggiore o tutti gli altri protagonisti di questa vicenda triste e pietosa che ci ricorda come anche l'amore, summa di tutti i sentimenti migliori, possa diventare forza devastante e causa scatenante dei peggiori delitti. E la cronaca attuale lo sottolinea costantemente...


mercoledì 24 luglio 2013

LETTERA APERTA AGLI ALLIEVI DI ERICA BRONT

Lettera aperta alle allieve e agli allievi di Erica Bront

Mie care e cari,
oltre ad essere il vostro insegnante part time di danza classica, ogni tanto mi diletto a scrivere degli spettacoli che vedo. Sapendo questo, Erica mi ha chiesto di fare una recensione del vostro ultimo saggio "Il Viaggio". Mentre mi accingevo a scriverla ho capito che invece volevo dirvi qualcos'altro.

Volevo dirvi che siete stati fortunati perché avete scelto una scuola che continua ad essere unica in questa regione. Non vuole essere un incensamento e, se un po' mi conoscete, sapete che non è proprio il mio forte, ma una presa d'atto.

Unica perché Erica è un'insegnante diversa. Certo, ha come obiettivo davanti a sé la vostra crescita tecnica, la creazione di danzatori, di corpi consci e danzanti, di atleti che usino la tecnica come veicolo espressivo. Ma ha soprattutto come obiettivo la vostra formazione artistica. La vostra artisticità e l'insegnarvi ad esprimerla.

Qualche anno fa, vedendo un vostro saggio decisi di condividere con Lei qualche appunto che però si limitava ad aspetti tecnici: l'aspetto artistico, l'unicità di quello che avevo visto in scena mi aveva già profondamente colpito. Perché Erica non è solo un'insegnante di danza classica. No, Erica è una coreografa, una vera coreografa anche se non ha voluto, o potuto, sfruttare questo talento fino in fondo.

La costruzione di un Suo saggio è un qualcosa che va aldilà delle logiche commerciali, degli equilibri fisiologici di una scuola di danza: se un gruppo entra solo una volta ed un altro tre non si creano dissapori perché tutto fa parte di un disegno più ampio. Di una trama coreografica complessa e ragionata e come tale inattaccabile da un punto di vista logico come qualsiasi espressione artistica ragionata, compiuta e sentita.

I disegni con cui posiziona voi allievi nello spazio scenico sono originali e in continua evoluzione; le braccia, così tipiche della Sua ricerca, sono diverse da gruppo a gruppo, a simbolizzare radici, ali, aria; i torsi sono in continuo avvitamento o flessione o estensione, a ricordare l'armoniosa flessibilità che la danza richiede, anzi, esige; l'intensità di un gesto non è mai circense o filo sovietica, ma è frutto di convinzione interiore, instillata, profusa, nelle allieve adulte così come in quelle in odore di pubertà.

Chiesi ad Erica, quando ancora mi azzardavo a calcare il palco nonostante età e chili in avanzo, di realizzare un assolo o un duetto per me e Lei, pregna del suo tipico scettico pudore, mi rispose di si pur sapendo che non l'avrebbe mai fatto, convinta di non sapere o potere.

Avrei desiderato anch'io quell'iniezione di arte, di coraggio, di scanzonata follia, di energia, di amore che mi attraversasse il corpo, che facesse vibrare nuovamente i muscoli allenati per tanti anni alle faticose richieste di Tersicore, che facesse risuonare la voce dell'arte dentro di me...ma non è ancora successo.

E per tutto questo vi considero dei fortunati e vi invidio, miei giovani artisti.


domenica 21 luglio 2013

ROBERTO BOLLE and friends form American Ballet Theatre 19 luglio 2013

Mi accingo a scrivere una delle recensioni più difficili della mia carriera (!), quella sul galà "Roberto Bolle and
friends from American Ballet Theatre".
Sarà difficile perché, per alcuni aspetti, devo andare a toccare un mostro sacro, un idolo delle folle. Ma tant'è: nessuno mi costringe a scrivere, né voi a leggermi o ad apprezzare quelle che sono sempre e comunque SOLO mie opinioni.

Allora, il Politeama Rossetti è gremito all'inverosimile.
L'ufficio stampa dello Stabile del Friuli Venezia Giulia mi trova una poltrona lontana, ma centralissima (grazie!) dalla quale posso godermi veramente la danza nella sua totalità, senza la distrazione della mimica facciale o del dettaglio ravvicinato. Ho già visto Roberto Bolle danzare. E ho sempre adorato la grande pulizia tecnica, l'eleganza, le linee perfette, l'intelligenza dell'interpretazione.


Qui a Trieste ha deciso di debuttare una nuova produzione dei suoi famosi Galà: un assemblaggio di artisti di altissima levatura che si esibiscono nei loro "cavalli di battaglia". Allora per entrare subito nel merito della critica mi domando: perché aprire la serata con il passo a due del "Cigno nero" che non è sembrato il cavallo di battaglia di nessuno dei due interpreti? E perché farlo seguire dalla coreografia più insulsa che io abbia mai visto ad opera di un vero talento coreografico che risponde al nome di Christopher Wheeldon? Lo spettacolo ha avuto veramente una falsa partenza.
Inoltre, credo che danzare sulla pendenza dei palcoscenici all'italiana sia affare non per tutti. Men che meno per degli artisti catapultati su questa ripida pendenza solo con un giorno di prove...

Ma queste erano le dolenti note. Ora passiamo a quelle positive.


Le note piacevoli sono che Bolle è molto cresciuto artisticamente. Il suo Romeo e, soprattutto, il suo Armand sono uomini che hanno conosciuto l'amore, che l'hanno vissuto e ci inebria questa loro ardita esposizione di sentimenti, accompagnata dalla grande classe e dalla bellezza delle sue linee fisiche.
In "La dama delle camelie" Bolle trascina nel vortice della passione anche la coreografia e, in alcuni momenti, si ha l'impressione che rischi di rovinare al suolo per l'accelerazione appassionata che imprime anche ad alcuni passaggi tecnici, rendendoli altamente espressivi e meritori di applausi a scena aperta.
Meno convincente la sua prova prettamente tecnica: nel "Cigno nero", complice anche un costume che non gli rende onore, sembra appesantito e molto lento.

Interessante e molto ben costruito l'assolo "Prototype", ideato e realizzato da Massimiliano Volpini, un collega scaligero del Divo, che gli regala una sorta di biglietto da visita virtuale.
Assistiamo alla creazione in 3D del danzatore Bolle, poi alla sua programmazione che viene mostrata nella fase di apprendimento di alcuni dei numerosi passi accademici, per passare poi all'esecuzione di estratti da brani di repertorio. Infine - con soddisfazione di tanti spettatori corsi al Rossetti solo per vedere l'anatomia - il Nostro appare in calzamaglia e a torso nudo, con tanto di primo piano evidenziato sul maxi schermo della sua definita e meravigliosamente scolpita muscolatura, dal gran dentato ai deltoidi!
Brano accattivante e molto ben costruito.

In tutto ciò Bolle è accompagnato da un cast strabiliante, in alcuni casi veramente stellare.

A cominciare da Julie Kent, stella di prima grandezza e partner consolidata di Bolle: sembrano complementari anche negli applausi, quando faticano a ritrovare il sorriso per ringraziare il pubblico mentre sono ancora emozionalmente scossi dagli abbracci e dagli abbandoni che hanno appena vissuto in scena. La Kent è una Prima Ballerina elegante e raffinata, dalle bellissime linee: le stesse qualità che riconosciamo da sempre a Roberto e che, proprio per questo, speriamo di vederli sempre di più associati in una partnership inossidabile di balletti narrativo/drammatici, come quelli di Mac Millan, Neumeier e Cranko.





Il vero trionfatore tecnico della serata è Daniil Simkin che strabilia il folto pubblico del Rossetti con virtuosismi mozzafiato, pirouettes interminabili, salti dotati del momento della magica sospensione in aria come solo il mitico Nijinskj sembrava poter fare. Ne "Le bourgeois" del coreografo Ben Van Cauwenbergh, assolo principe in moltissimi galà, lascia tutti senza fiato nel riproporre la "Butterfly" tipica del pattinaggio (la testa scende pericolosamente verso il pavimento mentre le gambe sforbiciano indietro e verso l'alto, sfidando la forza della gravità...wow!!), ancora mai vista così alta! Ugualmente sovrasta Isabella Boylston nel passo a due balanchiniano "Stars and stripes" dove il suo soldatino incanta tutti per la verve tecnica: strepitoso!!

Subito dopo le stelle appena citate ci sono gli altri interpreti che all'American Ballet Theatre ricoprono il ruolo di Soloist: Yuriko Kajiya dagli splendidi sostenuti nel particolare, ma musicalissimo, pas de deux dal secondo atto de "Lo schiaccianoci" nella versione coreografica di Alexei Ratmansky, accompagnata da un brillante James Whiteside, funestato da uno jabot che gli finiva in faccia ad ogni pirouette; oppure Mitsy Copeland e Jared Matthews perfettamente balanchiniani in "Tchaikovsky pas de deux".
Strana la resa di Hee Seo, Principal della compagnia americana, che delude nel "Cigno nero" ed è molto, molto bella in "The leaves are fading" splendido passo a due di Anthony Tudor che danza con Bolle, incantandoci per legato e armonia.

Anche durante gli applausi il pubblico tributa grandi onori a Simkin, riconoscendone una grande abilità tecnica, alla Kent e, ovviamente, a Roberto Bolle che speriamo saprà far tesoro dell'esperienza di Nureyev, il suo primo mentore, che ha avuto grandi difficoltà a capire quale fosse il repertorio a lui più adatto con l'avanzare dell'età.

venerdì 19 luglio 2013

PARSONS DANCE 16 luglio 2013

Locandina dello spettacolo

 Arrivo al Politeama Rossetti trafelato, accaldato da una camminata veloce in questa estate ad intermittenza e non sono proprio felice che questo spettacolo si svolga al chiuso invece che all'aperto, sotto le stelle del Castello di San Giusto o in piazza Unità. Per fortuna c'è l'aria condizionata, ma sono sicuro che come me, molti altri spettatori avrebbero preferito un'altra location. Si desume anche dalle tante, troppe poltrone vuote che mi addolorano sempre quando vengono proposti spettacoli di qualità.


Però, poi, il sipario si apre sui primi otto danzatori della Parsons Dance. Ed è subito un uragano rinfrescante. Un turbine di corpi in movimento, una pioggia risanatrice di passi, un firmamento di stelle.
Danzatori che alla prima impressione sembrano dei danzatori degli anni 80 o 90 del secolo scorso: non longilinei o dotati di collo del piede a quintali come pretende la moda di oggi, ma danzatori forti, brevilinei magari, ma uomini e donne piuttosto che efebici manichini. E che piacere!!


La serata inizia con una coreografia magnifica e inaspettata per il Parsons che conosco da anni. Raffinata, delicata, giocata su linee infinite oppure rotonde, su cerchi e segmenti di linea; contemporanea, ma con echi jazz; musicalissima. Si intitola "Round my world", è stato composto nel 2012 e mi lascia sperare che sarà così anche il resto della serata: sorprendente e di ricerca.
Invece mi costringe al risveglio un quartetto, molto datato, e piuttosto insulso "Kind of blue" del 2001 che è pregno di uno stile jazz molto commerciale e poco incisivo.
Conclude il primo tempo un pezzo d'assieme brasilero, giustamente ruffiano e danzato con un'energia inesauribile: "Nascimento novo" che riconferma le doti nazional-popolari della coreografia di Parsons, tutt'altro che criticabile.


Il secondo tempo inizia con "Ebben" un duetto tremendamente kitsch con danzatore immobile o quasi (il bel Eric Bourne che ammireremo estasiasti nel brano conclusivo) ed una strepitosa Elena D'Amario che, nonostante le negative profezie di una feroce giudice di danza televisiva, di strada ne ha fatta parecchia e pure bene...collo del piede o meno, brava!
Segue il marchio di fabbrica della compagnia "Caught" che David aveva creato per sé stesso nel 1982 e che lo ha portato alla fama mondiale. Lo avevo visto molti anni fa a Spoleto, poi a Roma e continua a sortire lo stesso magico effetto su di me e su chi, forse, lo vede per la prima volta: grazie all'uso delle luci stroboscopiche e alla reazione del nostro apparato visivo, si ha l'impressione di vedere il danzatore, uno splendido Ian Spring, sospeso in aria durante gli innumerevoli salti di cui questo assolo è composto. O di vedere una serie di fotografie assolutamente perfette: mozzafiato, anche dopo 32 anni! Non mi stancherò mai di ripeterlo: i capolavori sono immortali.


Chiude la serata "In the end" coreografia corale del 2005 che strizza sempre l'occhio ruffiano al pubblico, ma che è danzata talmente bene, all'unisono e con un dispendio energetico tale che non puù coinvolgere e ammaliare.
Insomma, lo spettacolo è gradevole, scorrevole, danzato benissimo e la speranza è che David Parsons continui sulla strada intrapresa recentemente che lo ha portato, secondo il mio modesto parere, dalla strada del facile successo commerciale a quello del potersi permettere il lusso della ricerca e della sperimentazione.

sabato 22 giugno 2013

ATTILA 21/06/2013

Locandina dello spettacolo


Sorti incerte per questo allestimento estivo della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste che chiude una stagione invernale di altissimo livello, come non se ne vedevamo da diversi anni.
Mi spiego meglio. La visione sempre molto pulita e minimalista dello scenografo e costumista Pierpaolo Bisleri ha reso moderna, accattivante e tagliente un´opera altrimenti piuttosto rudimentale e senza particolare allure.E tutto ció grazie a tre fondali di tulle, una palizzata di legno che funge da mura di un castello, navata di cattedrale, palafitta. Merito anche delle bellissime video proiezioni ad opera di Alex Magri che, una volta tanto, non sono un inutile orpello, ma vanno a sostituire il segno pittorico degli scenografi decoratori, ormai sempre piú rari e indubbiamente molto piú costosi. Quindi, evviva il video che ci restituisce cavalli in fuga, incendi, temporali e cieli mozzafiato, aiutandoci a teletrasportarci in un´epoca cosí cupa e cruda.
Molto incisivo anche il disegno luci di Gerald Agius Ordway, dichiaratamente visibile e teatrale, senza cercare di essere di segno pittorico o naturalistico.


La regia di Enrico Stinchelli, noto conduttore radiofonico della trasmissione per melomani e non solo "La Barcaccia", é tradizionale comme il faut, senza essere troppo didascalica, incluso l´uso del coro sempre schierato in posizioni geometriche e, forse, troppo immobili.
Il lavoro sui protagonisti é curato, oltre a confermare una buona corrispondenza televisivo/cinematografica tra il come ce li immaginiamo e come li ha selezionati la direzione artistica.
Attila sembra veramente "Il flagello di Dio": entra in scena mezzo nudo, dotato di fisico possente e tonico, incute tutto il terrore immaginabile. Ugualmente la sua Odabella ha l´aspetto della tipica matrona romana. Quindi ci viene facile l´immedesimazione con i personaggi immaginati da Verdi.


Peccato che poi cantino. No, questa é solo una cattiveria. Peró il piano canoro lascia un po´a desiderare.
L´Attila di Orlin Anastassov é come dicevo fisicamente e teatralmente perfetto, ma la linea di canto desta perplessitá. Sembra impreciso in tutti i registri anche se é dotato di volume e di un timbro gradevole.
Ugualmente altalenante la prova di suo fratello Venteslav, che tenta un affrancamento da lui eliminando una S dal cognome, Anastasov come Ezio, cui difettano nuovamente i registri, faticando soprattutto in quello medio....difetti di famiglia o di impostazione?
E mi scuso per questa dura critica da teatrante piuttosto che da musicista....soprattutto con i cantanti che, peraltro, cantano nei teatri di mezzo mondo...serata no la loro o la mia?
Diametralmente opposta la prova di Anna Markarova che spara virtuosismi e potenza all´infinito, uscendo indenne e vittoriosa dalla temibile aria con cavatina del primo atto.
Piacevolissimo il Foresto di Like Xing, tenore dalla voce piccolina, ma educatissima: un vero piacere ascoltarlo e sentirlo risolvere con tecnica brillante qualunque richiesta vocale tipicamente verdiana.
Adeguati l´Uldino di ANtonello Ceron e il Leone di Gabriele Sagona.


Stavolta restiamo delusi dalla prova del Coro triestino, generalmente molto compatto, che denuncia uno squilibrio tra compagine femminile e maschile: la prima se la cava con la solita precisa sicurezza, mentre la seconda ne esce piuttosto ammaccata negli attacchi e in qualche intonazione.
La bacchetta sicura di Donato Renzetti porta al traguardo quest´ultima fatica del lirico triestino: l´Orchestra lo segue mansueta, cosí come il palco, anche mentre richiede clangori e volumi da banda per me meravigliosi e irrinunciabili. Musicalmente ho trovato meraviglioso il concertato che chiude il secondo atto e il quintetto che chiude il secondo e non potrete non essere d´accordo...a condizione che Verdi piaccia tanto quanto piace a me!
Opera che non conoscevo, ma che mi ha emozionato in diversi momenti; pubblico partecipe, abbastanza numerose e tributante omaggi e riconoscimenti. Bello spettacolo che si replica domenica 23 giugno alle 18 e martedí 25 alle 20.30

lunedì 3 giugno 2013

APOLLO/SALOME´ 29 maggio 2013

Locandina dello spettacolo

Quale onore! La compagnia del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo (il leggendario ex Kirov di Leningrado) onora proprio Trieste con una nuova coproduzione in prima mondiale: accidenti!
Dobbiamo riconoscere al Sovrintendente Orazi meriti non comuni di creatore di partnership!! Giá é difficile vedere questa compagnia in tournée in italiane, figurarsi poi per una simile occasione....bravo! E grazie...

Venendo allo spettacolo, questo dittico inizia con la ripresa della versione in due scene di Apollo che George Balanchine creó a Parigi nel 1928, molto meno frequentata e conosciuta di quella che normalmente viene utilizzata nei galá e dalle compagnie di tutto il mondo, che vede eliminata la prima scena in cui si assiste alla nascita di Apollo. In questo caso il palcoscenico é ingombrato da una scalinata, simbolo della discesa e dell´ascesa all´Olimpo, che ci toglierá il piacere di vedere la posa finale della versione "da concerot" dove Apollo si ferma in una quarta posizione davanti alle sue Muse, che lo abbelliscono con una sorta di coda di pavone, formata dai loro arabesque a diverse altezze: una scultura vivente che, in questo caso, possiamo ammirare solo di sfuggita, prima che gli interpreti si inerpichino sulla scala...peccato!
Venendo alla danza, il Balanchine Trust mantiene come sempre fede alle proprieintenzioni e abbiamo l´assoluto privilegio e piacere di vedere la coreografia fedelmente riprodotta e danzata: dagli accenti musicali agli atteggiamenti, un balletto di Balanchine é lo stesso in tutto il mondo! Fenomeno rarissimo considerando l´abitudine di tramandare da ripetitore a danzatore le coreografie...


Eccezion fatta per il carattere e le linee di questi danzatori russi. Abbiamo avuto il privilegio di vedere Xander Parish nel ruolo del titolo che, giá dal nome, denuncia origine tutt´altro che russe, essendosi formato al Royal Ballet di Londra: é un danzatore di grande bellezza fisica, l´ideale per questo balletto, e di grande presenza scenica e tecnica :un Apollo indimenticabile, perfetto!


Meno convincenti le sue muse, in qualche modo troppo russe, sia nelle linee delle gambe (bellissime, ma non per questo repertorio) che nella rigiditá del tronco. Nonostante il lavoro di modellatura fatto da Francia Russel nel rimontare la coreografia, qualcosa resta stonato nella loro esecuzione.
Forse il poco abituato pubblico triestino, che non riesce ad applaudire alla fine delle quattro variazioni solistiche (immaginate se succedesse qualcosa di simile alla fine di "Casta diva" o di "Recondita armonia....che tristezza!) voleva dire proprio questo? Forse non ha dimenticato la caduta dalle punte della Tersicore di Ekaterina Osmolkina dovuta ad un´eccessiva estensione del collo del piede? Magari...ma illudiamoci che fosse cosí e non per ignoranza, nel senso puro del termine "colui che ignora"., e poco rispetto per la fatica e il rischio che un danzatore, come qualunque altro artista, corre esibendosi...


In merito alla seconda parte dello spettacolo, questa rilettura di Salomé mi convince solo parzialmente.
Dal punto di vista della concezione, speravo che il team creativo avrebbe osato di piú: sembra di assistere ad una ricostruzione molto poco filologica dal punto di vista della scrittura coreografica, ma tradizionalissima nella drammaturgia cosí come nell´allestimento. Per caritá scene elegantissime e costumi adeguati ad opera di Pierpaolo Bisleri, genius locii, con adeguato disegno luci di Claudio Schmid, video intessantissimo durante tutto il balletto (ma interminabile e inutile quello sull´ouverture) di Antonio Giacomin, coreografia di Emil Faski interessante in alcuni passaggi e finalmente poco "modernamente sovietica" e molto piú vicina ai gusti occidentali, ma...resta un ma.
I danzatori sono magnifici! Su tutti posizionerei l´Erode di Anton Pimonov: salti iperbolici, presenza carismatica e sguardo incendiario! É seguito da un manipolo di quattro danzatori anche loro assolutamente strepitosi e che meritano di essere citati: Alexsandr Savel´ev, Grigorij Pjateckij, Jaroslav Pusov e Vladislav Smakov. Segue lo splendido Giovanni Battista di Andrej Ermakov dallo strepitoso ballon e dalla notevole estensione degli arti inferiori.


Il comparto femminile mi é parso decisamente piú debole: se una volta gli assieme dei "russi" erano inarrivabili e invidiati da qualunque compoagnia occidentale di balletto, le quattro danzatrici che vediamo in scena in questa Salomé fanno fatica a raggiungere l´unisono, pur essendo solo quattro! Forse a causa della troppo recente messa in scena di questo titolo che necessita maggior rodaggio oppure di uno stile che, come noi occidentali ben sappiamo, lascia molto margine all´espressivitá individuale e ai conseguente sfasamenti ritmici. Stesso discorso per le due soliste: una precisa ma pallida Lubov Kozarskaja interpretava Erodiade e una fremente, ma non del tutto convincente, Viktorija Brileva nel ruolo di Salomé ci lasciavano poco soddisfatti. Ad avercene di ballerine cosí, ma l´aspettativa di fronte ad una troupe di questo livello era altissima e siamo rimasti leggermente delusi.


Teatro abbastanza pieno che potrebbe esserlo ancora  di piú riallocando i posti che molti sciatti abbonati non occupano, poco interessati come sono all´arte di Tersicocre, magari distribuendoli tra gli allievi delle scuole di danza a prezzo popolare, visto che saranno loro il pubblico del futuro. Ancora un eoncomio alla Direzione del Lirico Triestino per questo meraviglioso regalo...


martedì 14 maggio 2013

PRISCILLA 10 maggio 2013

Locandina dello spettacolo

Beh, tutti quelli che come me sono nati negli anni ´60, che sono cresciuti a suon di disco music, che considerano Gloria Gaynor e Donna Summer vicine di casa, DEVONO andare a vedere PRISCILLA, LA REGINA DEL DESERTO! Aggiungo che se siete gay qualche situazione e qualche atmosfera vi fará storcere il naso perché sembra di essere ancora nella preistoria dei diritti omosessuali (ops, scusate. dimenticavo, siamo in Italia, quindi non noterete nessuna differenza...), ma avete sicuramente una ragione in piú per andare a passare 2 ore e 30 minuti di leggerezza, colore, fantasia...

La trama dello spettacolo é, come in molti musical, di una fragilitá e di una banalitá sconcertante, ma arrivando a teatro preparati e senza la convinzione/speranza di assistere a "I masnadieri" di Schiller, si possono passare bei momenti lasciandosi trasportare, travolgere, sopraffare dalla grande energia che gli interpreti spendono: dal primo dei cantanti all´ultimo dei ballerini!

Il cast é superlativo!
Partiamo da un magnifico e perfetto sosia di Terence Stamp che ha interpretato il ruolo di Bernadette, Simone Leonardi, il cui personaggio sembra creato su misura per lui: voce piacevole, grande presenza e la fortuna di poter declamare le battute piú travolgenti de film durante lo spettacolo! Segue a ruota una delle star italiane del musical: Antonello Angiolillo nel ruolo di Tick/Mitzi, il gay confuso che ha alle spalle una moglie e un figlio: voce timbrata e ben educata, presenza scenica sciolta, discreto ballerino e simpatico showman! Scopriamo con piacere la "statua vivente" del gruppo: lo scultoreo Mirko Ranú che interpreta Adam/Felicia, la pazza del trio: bravo cantante, ottimo ballerino, bello come il sole...cosa gli manca? Completa il quartetto di protagonisti l´adeguato Nicola Ciulla nel ruolo di Bob, l´uomo di cui Bernadette si infatua, ricambiata.
Fantastiche le 3 vocalist, le Divas. Tutti gli altri interpreti sarebbero ugualmente da citare, ma vi rimandiamo alla locandina.


Ma i veri protagonisti dello spettacolo sono i costumi: infiniti per quantitá, impensabili per fantasia creativa, inclssificabili per stile o colore....veramente magnifici!! La prima lode dello spettacolo va quindi a Tim Chappel e Lizzy Gardiner che firmano questo delirio a occhi aperti. Riuscitissime anche le scenografie ad opera di Brian Thomson, che crea un mondo e un bus per le nostre Drag Queens che neanche la Barbie dei tempi d´oro poteva sperare di avere: bellissimo e coperto di led su tutti i lati, sui quali scorrono immagini, colori e animazioni.


Adeguate e divertentissime le coreografie di Ross Coleman e Andrew Hallsworth che danno il loro meglio nella canzone "Go West" dei Village People.


Coerente ed efficace la regia di Simon Phillips, autore di questo spettacolo che é in scena dal 2006!
Infine, dobbiamo rivolgere una lode alla Mas di Daniele Luppino per aver prodotto questo musical imponente, senza badare a spese, e alla direzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per aver portato a Trieste, unica altra cittá italiana dopo Milano e Roma, questo spettacolo faraonico e di ottimo livello: grazie!
In ultimo: non credete alla leggenda metropolitana, ci sono ancora biglietti per tutte le recite fino al 26 maggio, quindi  andate a comprarli, ne vale proprio la pena!!