domenica 23 febbraio 2025

HAMLET sabato 22 febbraio 2025

Locandina dello spettacolo 

Niente da fare: il balletto narrativo non è per tutti. 

Ma di sicuro non è il caso di Leo Mujić: questo uomo è un genio!

Andando in macchina verso Lubiana, ho chiesto a mio marito di rileggermi la storia di Amleto perché ne ricordavo solo alcuni stralci. Arrivare in teatro e iniziare a veder scorrere davanti ai miei occhi la stessa sequenza di dettagli e intrecci appena letta su Wikipedia è stato quasi uno choc. Scrivo spesso di quanto sia difficile trasferire la ricchezza e il dettaglio di un romanzo o di un qualunque testo scritto, attraverso i gesti della danza e di tutto quello che il corpo può raccontare da muto. Mujić mi ha completamente smentito e dovrò andare a correggere tutte le precedenti recensioni in cui lo scrivevo. La quantità e la qualità di vocaboli tradotti in gesti unici e personalissimi che affida ai danzatori è stupefacente e toccante quanto a finezza di scrittura. Lo slancio dei suoi lift, il non ripetersi quasi mai degli stessi passi, l'abilità nel muovere le masse, mi confermano la grande capacità sartoriale di questo creatore di "abiti su misura" per i danzatori, che già avevo visto nel suo "The great Gatsby". Spero che una carriera interazionale infinita riconosca il talento di questo incredibile coreografo serbo. 



"Per me i balletti narrativi sono sempre una sfida. Allo stesso tempo, è qualcosa di molto difficile, interessante e complicato, ma anche molto rischioso perché si ha a che fare con i classici. Ti chiedi costantemente come un'opera specifica sia diventata un classico, come sia sopravvissuta fino ad oggi e quale sia il vero valore di un'opera letteraria - quindi, il fatto che un'opera sia sopravvissuta così a lungo è qualcosa che ispira timore reverenziale verso quell'opera e sto facendo del mio meglio per tradurla sul palcoscenico esattamente così com'è". Ci sei riuscito Leo, ci sei riuscito perfettamente.



Non c'è un passo che sia fuori stile o che non abbia un senso all'interno dell narrazione. In più, motiva interiormente i danzatori con una gestualità forte e contorta che finisce in una continua estensione delle dita delle mani, nel flettere i polsi e nel frustare le braccia nell'aria, tutti movimenti che stancano ma riempiono i danzatori di forza espressiva. Il team creativo che si è composto nel 2023 a Zagabria per la prima mondiale di Hamlet è tutto da lode: a partire dal drammaturgo, assistente alla coreografia, nonché splendido interprete del Fantasma Bálint Rauscher allo scenografo Stefano Katunar, dalla costumista Manuela Paladin Šabanović al disegno luci di Aleksandar Čavlek. La sensazione che sia stato un team fecondo, fortemente coeso e pieno di energia è certificata dal fatto che non c'è una sbavatura neanche a cercarla! Ah si, una: il rumore che fanno i fiori di plastica che dalle mani di Ofelia cadono a terra :-)) A Bálint Rauscher si deve anche la selezione musicale che è in ogni caso una cifra frequente negli spettacoli di Mujić e cioé quella di utilizzare pagine spesso molto conosciute ma che, incredibilmente, sembrano scritte appositamente per il balletto cui stiamo assistendo. Questo Hamlet reggeva su diversi brani di Pyotr Ilyich Tchaikovsky e Camille Saint-Saëns che Ayrton Desimpelaere ha saputo leggere e guidare con la sensibilità e l'intelligenza che lo contraddistingue da quando ho avuto modo di iniziare a sentirlo dirigere. L'Orchestra della SNG di Lubiana ha suonato con massima attenzione e cura, anche perché in questo caso la musica non è trascurabile come quando si parla di autori tipici del repertorio ballettistico e dei pastiches ottocenteschi. Toccante e perfetto l'assolo violinistico di Jelena Pejić.


Kenta Yamamoto è stato un Amleto perfetto: intenso interpretativamente, saldo e presente...bravissimo! Così come Filip Juric nel ruolo di Claudio, la cui tecnica sembra inossidabile e l'interpretazione attoriale in costante crescita. Nel comparto femminile la regina Gertrude di Tjasa Kmetec continua ad essere indiscutibile e perfetta per questo tipo di ruoli e di stili coreografici, così come non avevo mai visto Emilie Gallerani Tassinari così sicura, affascinante e perfetta in un ruolo, come in questo di Ofelia. Sempre ineccepibili Lukas Bareman, Solomon Osayi Osazuva e Chie Murashi (una incredibile Orazio con tanto di baffi), Lukas Zuschlag e Gabriela Mede, nonché Nina Noč e Neža Rus. Senza dimenticare il trio maschile composto da Filippo Jorio, Yujin Muraishi e Mario Charlo Sobrino. Ma, come sempre, tutta la compagnia eccelle per presenza, forza interpretativa, capacità di assorbire stili diversi e voglia di danzare: bravi tutti dal più profondo del mio cuore! 

Sala gremita, pubblico festante e plaudente, tre chiamate alla ribalta e applausi scroscianti per tutti!

Le meravigliose foto di scena sono di Darja Štravs Tisu





IL TRITTICO venerdì 21 febbraio 2025

Locandina dello spettacolo 

Che bello potersi ancora emozionare e scoprire qualcosa di nuovo all'alba dei miei 60 anni: è davvero un piacere!

Stavolta è grazie al trittico pucciniano di cui conoscevo solo Gianni Schicchi. Nell'annosa disputa Verdi/Puccini ho sempre preferito Verdi, più mastodontico e simile ai miei gusti della musica di Puccini, Turandot a parte, per cui non mi sono mai preoccupato di approfondirne la conoscenza, se non cercando di vederle dal vivo, allegando alle immagini di qualche allestimento teatrale nuove arie, ouverture et similia. È stata una serata perfetta, tra le migliori che io abbia mai visto in questo teatro, sia per il livello musicale in generale, che per la conduzione registica e l'estetica generale che era assolutamente coinvolgente!

Il regista, Pier Francesco Maestrini (avevo ballato in Un ballo in maschera diretto da suo papà), è figlio d'arte ma sfata la diceria per la quale questi figli sembrano meno talentuosi dei genitori. La chiave di lettura di questi atti unici, il parallelo ricercato con le tre cantiche della Divina Commedia dantesca e l'atmosfera tetra in cui li affoga è assolutamente vincente.

"Vedo il Trittico come la concretizzazione del progetto dantesco che tanto attrasse Puccini senza realizzarlo: c’è l’inferno di quelle anime dannate che, nel Tabarro, si ammazzano di lavoro al servizio di un barcaiolo, il loro Caronte; c’è il purgatorio nell’espiazione di Suor Angelica per il peccato commesso; c’è il paradiso in quel Gianni Schicchi ch’è l’unico vero soggetto dantesco, ma convertito da episodio infernale a commedia: un colpo di genio!"

Resteranno scolpite nella mia memoria la lenta uccisione di Luigi e il nasconderne il corpo nel tabarro. Così come la dannazione che sembra irrisolvibile per Suor Angelica, tramutandola in un albero. O l'infinita serie di corpi su cui si svolge il Gianni Schicchi, che è basato proprio sull'occultamento di cadavere e ricorda a tutti noi pagine di dantesca scolastica memoria. Veramente una lettura attenta, colta, completa e raffinata che avvince noi spettatori, senza lasciare spazio a dubbi o inesattezze: bravo! Non è da meno il cast creativo con cui collabora: dallo scenografo Nicòlas Boni alla costumista Stefania Scaraggi, dal light designer Daniele Naldi all'ignoto creatore delle meravigliose proiezioni (forse sempre Boni?) che mai come in questo caso sono state pertinenti e importanti, fondamentali!



Il sipario si apre sulla scena apprestata per Il tabarro e non so esattamente cosa aspettarmi. Tutto è tetro, plumbeo e penso ai minatori, alle fatiche umane sottopagate che hanno segnato l'avvento della rivoluzione industriale. L'ambientazione è su una chiatta, ancorata lungo le rive della Senna e si percepisce tangibile la sofferenza, la povertà e il tentativo, attraverso un ballo mal eseguito e il lasciarsi andare a misere passioni, di riscattare qualche attimo di spensieratezza. Ahimè, quando si ha poco, lo si tiene ancora più stretto e così fa Michele, un mastodontico Roman Burdenko, che uccide il rivale in amore Luigi, uno squillante Mikheil Sheshaberidze, che gli sta portando via la sua Giorgietta, una strepitosa Olga Maslova.


Dopo un piacevole intervallo (piacevole perché abbiamo approfittato di questa nuova iniziativa del Teatro Verdi di servire uno spuntino accompagnato da un calice nel Ridotto/Lounge Victor de Sabata del Teatro: approfittatene, è delizioso!) è il momento di Suor Angelica. La cupezza si affievolisce, lasciando intravvedere ogni tanto un raggio di sole che squarcia le nubi e rallegra un mare tempestoso. Siamo in un monastero di clausura e verremo presto a scoprire la colpa imperdonabile che ha spinto la zia di Angelica, rimasta orfana, a rinchiuderla qui dentro. Quando scoprirà che il bimbo, nato da una relazione giovanile, è morto dopo aver contratto una malattia, Suor Angelica non vedrà futuro per sé e si suiciderà. Ho avuto la fortuna di scoprire quest'opera dalla voce potente e perfettamente controllata di Anastasia Bartoli (altra filgia d'arte decisamente ben riuscita!) che mi ha fatto amare questa partitura e vivere il personaggio grazie ad una capacità interpretativa di rara maestria. Era ben supportata dalla austera Badessa cantata da Giovanna Lanza e dalla perfida Zia Principessa interpretata solennemente da una infaticabile Chiara Mogini. 





Chiude la serata Gianni Schicchi, una divertente farsa ispirata al "chi la fa, l'aspetti" scandita con indiscutibili e perfetti tempi comici. I parenti diseredati dal defunto Buoso Donati, convocano Gianni Schicchi affinché trovi una soluzione per far loro recuperare le fortune del morto altrimenti promesse alla Chiesa ma, alla fine, riesce ad intestare a sé stesso i beni di maggior pregio, beffandosi di loro. Schicchi era nuovamente l'eccellente Roman Burdenko, che si conferma un baritono di grande qualità, dalla tecnica salda e dalla forte presenza scenica. Impossibile non citare il suo futuro genero Rinuccio cantato con bellissimo timbro tenorile da Pierluigi D'Aloia e la deliziosa Lauretta interpretata da Sara Cortolezzis che canta l'aria più famosa del trittico O mio babbino caro con assoluta maestria ma forse con troppi respiri e rallentando nel finale. 

La direzione dell'Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ha suonato senza pecche le pagine pucciniane, guidata dal talento istrionico di Francesco Ivan Ciampa, che ha spesso catturato gli occhi di noi spettatori per la foga e la sentita partecipazione con cui ha diretto le tre opere. Bene la prestazione del coro femminile in Suor Angelica, diretto dall'indiscutibile talento del Maestro Paolo Longo, e del Coro dei piccoli cantori della Città di Trieste, diretto dalla Maestra Cristina Semeraro. La lista di interpreti è lunghissima e la potete trovare sul link all'inizio di questa pagina: sintetizzo scrivendo che, se una serata è vincente come questa, è grazie all'apporto di tutti, ma proprio tutti, masse tecniche comprese!

Il pubblico del Verdi sembrava irriconoscibile, specialmente per essere quello della prima, in genere piuttosto ingessato. Qualche titubanza negli applausi alla chiusura delle arie più famose ma tifo da stadio per lo strepitoso cast: sala piena e soddisfazione alle stelle! Un plauso a Giuliano Polo e Paolo Rodda per lo splendido risultato raggiunto.


LA CERIMONIA DEL MASSAGGIO mercoledì 19 febbraio 2025

 Locandina dello spettacolo  

Quanti testi bellissimi e divertenti ha scritto Alan Bennet nel corso della sua lunga e brillante carriera! E il ricordo non può che correre ad Anna Marchesini, cui va riconosciuto il merito di averlo tradotto e diffuso in Italia. Questo La cerimonia del massaggio è un testo che sembra ambientato sul finire degli anni '80 del secolo scorso piuttosto che appartenere al 2002 in cui è stato scritto. Risente del terrore che affliggeva la comunità LGBTQI+ negli anni in cui l'aids mieteva vittime e gli haters dell'epoca parlavano di peste gay. Curioso che questa sciatta e crudele banalizzazione arrivasse proprio dal mondo religioso che, giustamente, Bennet rende protagonista di questo interessante monologo che ruota intorno e dentro la chiesa del suo paese natale, la Gran Bretagna.

La storia si svolge in una chiesa anglicana durante il rito funebre per la scomparsa di Clive, un massaggiatore trentaquattrenne, che si prestava per servizi particolari a parecchie persone anche famose incluso il parroco Geoffrey Jolliffe che conduce la cerimonia  più come un cronista che un officiante, esternando i suoi pensieri e riflessioni intime a noi pubblico. In un crescendo di ironia, emergono dettagli sempre più scabrosi degli incontri passati, facendo sì che Clive, seppur morto, continui a creare scompiglio, rivelando che era uno stallone che concedeva a pagamento i suoi servigi a uomini e donne. È un’immersione nelle sue stesse profondità, nel desiderio e nell’istinto, questioni che gli sono oscure, o quasi, ma l'illuminazione di un dubbio sulla causa della morte del massaggiatore getta un’ombra sulla celebrazione: il rischio di essere stati contagiati da una malattia infettiva durante quelle sedute “taumaturgiche” e che stringe prete e convenuti nella morsa del panico

Il protagonista del monologo è Gianluca Ferrato, un vero istrione del palcoscenico, capace di passare dal serio al buffo, dall'ironico al profondo, accompagnandoci in questo cammino che alterna risate a momenti di riflessione. L'intesa espressività di Gianluca non può non pervadere gli spettatori presenti nella Sala Bartoli del Politeama Rossetti di Trieste, che ha il vantaggio di mettere attore e spettatore a distanza di una manciata di centimetri. Così, ogni sguardo, ogni minimo gesto, ogni pausa assume un valore che diventa un vero plus e di cui Ferrato sa essere molto generoso. 

Funzionale e originale la scenografia di Francesco Fassone illuminata dalle curate luci di Renato Barattucci, ben risolta la regia diretta a quattro mani da Roberto Piana e Angelo Curci. Si esce confusi e felici, un po' malinconici e lievemente pensierosi come in tutti gli spettacoli che all'apparenza prediligono la sostanza. Sala piena e applausi scroscianti.


martedì 18 febbraio 2025

DANCING FOUR PEACE sabato15 febbraio 2026

 Locandina dello spettacolo 

Davvero non poteva esserci momento storico più dannatamente azzeccato per riproporre questo spettacolo concepito per il Museo della Guerra per la Pace "De Henriquez" di Trieste.

Guerre fratricide sono sempre più vicine a noi, e al nostro sentire, di quelle che agitano il mondo da sempre ma che percepiamo ben lontane, quantomeno geograficamente. Ora, Ucraina e Russia, Israele e Palestina ci tengono sulle spine quotidianamente, egoisticamente toccati dall'idea che il nostro coinvolgimento sia sempre più vicino e inevitabile.

Così, questo progetto di Marta Bevilacqua per la Compagnia Arearea di Udine, incide ancora più forte sin dalla scena iniziale dove la voce recitante, in queste repliche è quella dell'intensa Marcela Serli, incalza una danzatrice nascosta sotto il carro funebre della ditta Zimolo che trasportò il feretro di Francesco Ferdinando nel 2014, esortandola a riconoscere la grandezza e la potenza dell'odio che, davvero, spesso può più dell'amore. Con le parole di Salvatore Quasimodo, di Giuseppe Ungaretti e di Bertolt Brecht.

Così, accompagnati da Marcela e dai danzatori di Arearea (gli ottimi Angelica Margherita, Irene Ferrara, Radu Murarasu e Giuseppe Zagaria) ci si addentra sempre più nell'anima di questo luminoso e interessante spazio espositivo che speriamo realmente spossa divenire un museo di guerre dimenticate e superate a favore della pace, dove la tensione che si accumula sala dopo sala, scala dopo scala, passaggio dopo passaggio, possa sciogliersi mentre ci si stringe in un abbraccio fraterno e liberatorio nel finire della rappresentazione.

Lasciano un segno nella mia memoria, la vista dei danzatori in azione nel piano sottostante e che noi spiamo dai ballatoi, la potente ouverture de La Forza del destino di Giuseppe Verdi e certi sguardi ravvicinati coi profondi occhi verdi di Marcela Serli.



venerdì 14 febbraio 2025

PESSOA - SINCE I HAVE BEEN ME venerdì 14 febbraio 2025

Locandina dello spettacolo 

Potrebbero leggere per intero l'elenco telefonico di Roma.

Oppure, la lista degli ingredienti che compongono gran parte delle merendine più conosciute.

O farfugliare parole senza senso.

Questa ridda di luoghi comuni per dirvi che un allestimento di Robert Wilson è talmente visivamente "impattante", incredibile e affascinante  che il contenuto letterario perde totalmente importanza.

In questo caso, siamo di fronte ai pensieri dell'inizio del secolo scorso che scorrevano nelle mente di Fernando Pessoa, che hanno animato i suoi scritti e le sue poesie e che sono, in diversi casi, divenuti popolari aforismi. 

E sono tutt'altro che senza senso. Ma nella confezione di Wilson in cui vengono declamati in italiano, nonché in francese e portoghese (ma bisogna essere molto abili a leggere i flebili soprattitoli mentre le fantasmagoriche luci in palcoscenico vi accecano e fanno perdere velocità al nostro cristallino e alla cornea) sono decisamente meno centrali. Nonostante ci siano degli eccellenti attori a declamarli: Maria de Medeiros, Aline Belibi, Rodrigo Ferreira, Klaus Martini, Sofia Menci, Gianfranco Poddighe e Janaína Suaudeau. E non solo attori ma artisti a tutto tondo, capaci di cantare, mimare, danzare: bravissimi!

Ma no, niente da fare. Vincono le immagini. Bellissime.

Oniriche,

Inimmaginabili.

Spettacolari.

Wilson è un genio e io non sto scoprendo l'acqua calda.

A voi non resta altro che correre a teatro e godere di questa meravigliosa galleria di arte contemporanea, di questo sofisticatissimo e perfetto schermo led, di immagini incredibili che resteranno impresse nella vostra mente a lungo. In sala c'erano tensione e attenzione palpabili e rare che si sono sciolte soltanto con le quattro chiamate alla ribalta degli interpreti.