giovedì 28 dicembre 2017

GISELLE mercoledì 27 dicembre 2017

 Locandina dello spettacolo

Giselle mancava dal palcoscenico del Teatro Verdi di Trieste dal 2003, quando era arrivato con una anonima produzione del Teatro Stanislavskij di Mosca. Ed è un peccato perché resta uno dei balletti più interessanti e scorrevoli di quelli sopravvissuti dal repertorio ottocentesco.

La versione prodotta dal Teatro Nazionale Sloveno di Maribor è una delle più interessanti per quanto riguarda la cura del racconto e dei dettagli.

Il coreografo georgiano Rafael Avnikjan cesella una messinscena preziosa, curata in ogni singolo gesto mimico e con una consecutio narrativa inappuntabile. Tutti i personaggi sono intarsiati e tramandati agli interpreti con cura maniacale: sguardi, controscene, protagonisti sono un tutt'uno armonico che mi ha tenuto incollato per tutto il primo atto. Veramente magistrale.
Il secondo è molto fedele, direi totalmente, all'originale di Jean Coralli ma è arricchito dalla stessa cura del particolare.
La prestazione della compagnia di Maribor è alzer delle Vendemmiatrici del primo atto e negli assieme del secondo, ed ha un buon livello negli ensemble; quello maschile meno ma nella Danza dei Contadini non ha una grande importanza. I problemi saltano all'occhio nelle Amiche di Giselle dove la danzatrice più piccola di altezza ha commesso diversi errori visibili anche ai profani; oppure nel piccolo assolo delle due villi del secondo atto, dove la prima solista è molto incerta e poco sicura; o, infine, come l'interprete di Myrtha che più che altera è pesante e legnosa.
interessante nelle scene di assieme, meno in quelle solistiche. Il corpo di ballo femminile è fisicamente abbastanza omogeneo, e lo si nota nel V

La Giselle di Yui Sugawara, ospite proveniente da Les Grands Ballets Canadiens de Montreal è di altissimo livello: tecnica sicura, splendido sbalzo, buona espressività nonostante i tratti tipicamente asiatici, estrema cura di ogni dettaglio e passaggio. Non riesco a perdonarle soltanto di aver avuto nel secondo atto un costume senza neanche un accenno di ali, di non essersi "sbiancata" la pelle e nel primo, durante la pazzia, di avere un taglio e un colore di capelli che è troppo moderno per il personaggio.
L'Albrecht di Costantine Allen, proveniente dalla stessa compagnia canadese, è anche egli perfettamente calato, tecnicamente saldo e brillante ma, per i miei gusti, è fisicamente troppo longilineo e sproporzionato, soprattutto quando indossa il costume del primo atto.
Adeguato ma freddo l'Hilarion di Sytze Jan Luske, delicata e toccante la Mamma di Giselle interpretata da Marina Krasnova, deliziosa e signorile la Bathilda di Tanja Baronik.
Molto bene gli interpreti del Passo a due  del primo atto, Tetiana Svetlicna e Asami Nakashima, brillanti, saldi e sorridenti come il faut!

L'Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste accompagna la vicenda in palcoscenico con la solita noncuranza che dedica al balletto ottocentesco, evidentemente troppo pregno di valzer e ballabili per i loro gusti. Il Maestro Simon Robinson che li dirige è invece un vero signore della danza, attentissimo a seguire i danzatori nelle difficoltà tecniche e nelle chiusure delle variazioni.

Belli i costumi di Luca Dall'Alpi e le scene di Jean Guillermo Nova. 

Teatro sufficientemente pieno, considerando quanto spesso è vuoto per la lirica...

sabato 23 dicembre 2017

CARMEN martedì 19 dicembre 2017

Locandina dello spettacolo


E' una versione onesta e artigianale quella che la SNG mette in scena, affrontando un altro mostro sacro della lirica come il capolavoro di George Bizet Carmen.

Certo, ridotta in dimensioni per il piccolo palco del Teatro di Lubiana, è meno raffinata e fa meno effetto, rispetto agli allestimenti italiani o addirittura a quello dell'Arena di Verona: niente cortei di toreri, che la regista lascia sapientemente alla nostra immaginazione, schierando coro e bambini in proscenio come se il corteo fossimo noi spettatori; niente montagne e poche, scarne scene.
Ecco, forse la cosa che meno mi ha convinto sono scene e costumi che ho trovato poco raffinati, non amalgamati, particolarmente brutta la scena della caserma con una scarna porta scorrevole e i muri ricoperti a cortina anni '60 che si trovano in ogni isolato romano, firmate come la regia da Pamela Howard.
La regia è tradizionalissima, affidata molto all'interpretazione dei cantanti, senza particolari trovate ma scorrevole.

Sul lato musicale abbiamo due vincitori assoluti.
La prima, Irena Parlov, cesella una Carmen che non può che risultare affascinante e simpatica; è padrona della scena e ha molto lavorato su gestualità e posture che risultano naturali ma curate; la voce ha un grande volume e un bel timbro da mezzosoprano che si schiarisce molto negli acuti generosi ma non ostentati.
Il secondo è l'Escamillo di Peter Martincic: voce meravigliosa per timbro e colore, volumi generosi e grande presenza scenica, uniti ad un naturale carisma.

Il Don José di Aljaz Farasin si riscatta nel finale dopo un inizio difficile e una scarna costruzione del personaggio: nel terzo e soprattutto nel quarto atto, rivela doti canore e interpretative più generose e interessanti.
Giovane e graziosa è la Micaela di Martina Burger ma spinge troppo sul volume e perde tutta la dolcezza virginale che dovrebbe avere il suo personaggio.
Bene il quartetto di Dancairo, Remendado, Frasquita e Mercedes con buoni voci e belle presenze. Poco chiaro invece il Zuniga di Zoran Potocan e nella norma gli altri comprimari.
Lo scarno intervento danzato, affidato alle coreografie di Berta Vallribera si regge solo sulla prestanza di un giovane danzatore di cui non ci è dato sapere il nome, che spicca notevolmente rispetto ad un gruppo di signore, amabilmente amatoriali.

L'Orchestra e il Coro della SNG suonano e cantano bene e dimostrano che l'andare spesso in scena giova, dimostrando un buon mestiere in tutto quello che fanno. La direzione di Jaroslav Kyzlink privilegia il fragore della partitura, trascurando un po' i pianissimo e i toni pacati, ma è precisa e puntuale.

Mi ha molto colpito vedere il teatro pieno solamente a metà (la recente replica de A Christmas Carol era esaurita in ogni ordine e posto): ma la danza non funziona, no, no...

martedì 5 dicembre 2017

LO SCHIACCIANOCI - A CHRISTMAS CAROL martedì dicembre 2017

Locandina dello spettacolo

Anche quest'anno sono tornato a vedere una replica della ripresa de "Lo Schiaccianoci - Una favola Natalizia" proposta, come da molti anni a questa parte, nel periodo natalizio da parte della Compagnia di Balletto della SNG di Lubiana, in Slovenia. Riprendo il cappello iniziale della recensione dello scorso anno visto che sono alla mia quarta recensione e la mia opinione non cambia. Anzi, ogni anno scopro qualche dettaglio in più!

Questa bella, intelligente ed elegante versione ad opera di Youri Vamos, rappresenta una valida alternativa agli allestimenti più tradizionali. Vamos ha unito il libretto originale di Marius Petipa (che si era rifatto all'adattamento di Dumas del racconto di Hoffman "Lo Schiaccianoci e il Re dei Topi") al Racconto di Natale di Charles Dickens, scrivendo una storia nuova, efficace e con una morale di fondo molto più accattivante delle complicate e nascoste letture psicologiche del testo tradizionale. 
A parte questa interessante idea di mescolare queste due vicende che hanno il comune denominatore nel Natale, l’aspetto più interessante è la personalissima cifra coreografica che Vamos dimostra ed elargisce a piene mani. Siamo pieni di coreografi che possiamo definire “seguace di”, “figlio di”, “ispirato da”. Vamos, nonostante non abbia raggiunto la fama planetaria di Balanchine, di Bejart, di Forsythe è un coreografo unico ed estremamente interessante. Ogni passaggio, ogni presa, ogni passo, esula dalle convenzioni o dalle regole del “bravo coreografo”, denunciando evidentemente un bisogno personalissimo e unico, la necessità di coreografare per esprimere un mondo privato molto ricco e interessante. 

Un altro degli aspetti a mio avviso estremamente interessante è dato dal fatto che le stesse persone che abitano il villaggio, e quindi la vita di Scrooge, li ritroviamo all’interno del momento onirico: quindi un poliziotto inglese, il tipico Bobbie, si trasforma nello “Spettro della morte”, Bob Cratchit diventa il solista maschile della danza spagnola, e così via. Nel finale, e ancor più nei ringraziamenti,  il coreografo si diverte a svelare questo gioco di doppi creando un divertito gioco di smascheramenti e sorprese.
Ha inoltre l'enorme merito di aver rimosso gli inutili e poco credibili topi, le danze sociali dei parenti e tutte le lungaggini del primo atto di qualunque versione.
Infine, credo di non aver mai visto bambini, anche molto piccoli, così attenti e rapiti da quanto succedeva ion scena in nessuna altra versione
L'unica pecca sono i tagli e i montaggi rispetto
alla partitura originale, alcuni veramente selvaggi...
L'allestimento di scene e costumi ad opera di Michael Scott è di buona fattura e di ottima levatura e lo stesso si può dire per le luci di Klaus Garditz.


La compagnia slovena è una delle mie protegée e continua a dimostrarsi all'altezza delle aspettative. Pieni di energia, puliti, assieme e molto generosi, riescono a rendere chiaro e nitido ogni passaggio della coreografia di Vamos così veloce, complessa e piena di movimenti!

Lo Scrooge di Lukas Zuschlag mi ha nuovamente sorpreso perché raramente ho visto un bello così espressivo e completamente nel personaggio: bravo!
Ana Klasnja che avevo poco apprezzato nella recente produzione di Verbruggen, l'ho trovato molto più a suo agio e gradevole in questo capolavoro di Tchaikovsky: il suo fisico viene molto valorizzato dal tutù e, anche se mi è parsa un po' stanca nel grand pas de deux finale, ha saputo sostenere molto convincentemente il ruolo da Prima Ballerina che la Direttrice della compagnia, Sanja Neskovic Persin, le ha affidato.
Al contrario, avevo già trovato interessante Richel Wieles nella stessa produzione degli Inni Orfici e mi ha pienamente convinto anche qui: partner sicuro e solista affidabile, ha una bela presenza scenica e un fisico prestante (mi permetto solo di suggerirgli di chiudere maggiormente la quinta posizione nei double assemblé en torunant).

Ma la vera rivelazione dello spettacolo è Marin Ino che sembra nata per fare lo Spirito del Natale: un ruolo veramente impervio tecnicamente che lei sciorina tecnicamente con una semplicità incredibile, abile nel cesellare tutti i singoli passaggi dell'intricata coreografia di Vamos: brava!
Molto più convincente Yuki Seki come Spirito della Morte che lo scorso anno mi aveva lasciato titubante: quest'anno l'ho visto tecnicamente sicuro, fascinoso e divertente.
Un bravo anche a Hugo Mbeng che disegna un Bob Cratchit preciso e gradevole, ancora più sicuro e accattivante nella danza spagnola.
Bene tutti i solisti, in particolare Tjasa Kmetec e, nuovamente, Hugo Mbeng nel Valzer dei Fiori e la coppia Ursa Vidmar e Filip Viljusic, protagonisti efficaci di una sensualissima danza araba.

Il Maestro Aleksandar Spasic conduce l'ottima Orchestra del Teatro Nazionale con grande attenzione ai danzatori, ma talvolta con troppo volume negli ottoni e negli archi.

Teatro sold out e pubblico entusiasta!

sabato 25 novembre 2017

ONEGIN martedì 21 novembre 2017

Locandina dello spettacolo

Lo spettacolo inaugurale della stagione 2017/2018 della fondazione Lirica Giuseppe Verdi di Trieste lascia vincere la musica rispetto all'allestimento.

La regista Vera Petrova rispetta le note apportate da Pëtr Il'ič Čajkovskij sulla partitura abbastanza fedelmente e cerca di alleggerire il primo atto che è veramente poco attivo, a parte la splendida scena della lettera di Tajana. Sceglie di farlo attraverso delle proiezioni tecnicamente sofisticate ma un po' scontate nella resa finale. Tutto l'allestimento, in verità, soffre di un clima da troppo da operetta: i colori di alcuni costumi di Steve Almerighi totalmente slegati dagli altri, molti lustrini e rasi troppo nuovi, la geometrica rigorosità delle vetrate ideate dallo scenografo Alexander Kostyuchenko che si muovono durante tutto lo spettacolo - e sarebbe stato bello
vederle unisone nel momento in cui volevano esserlo... - un clima generale che tende alla troppa luce e a colori troppo sgargianti mi fanno pensare a questo e non aiutano ad entrare nel dipanarsi della vicenda.
Il lavoro sui personaggi è molto dettagliato, preciso e ho trovato gradevole questa sua idea di lasciar pensare che lo spettacolo che si svolge davanti ai nostri occhi vive della realtà del "qui e
adesso" e di un'altra parallela che è solo il ricordo di Onegin di quanto ha vissuto nel passato.

Come dicevo, la parte musicale vince su tutto.
Ho trovato un cast omogeneo nel livello e di tutto rispetto per quello che le mie orecchie possono capire.
La Tat'jana di Valentina Mastrangelo è strepitosa sia vocalmente che scenicamente così come l'Evgenij Onegin di Catalin Toropoc, il Principe Gremin di Vladimir Sazdovski, il Vladimir Lenskij di Tigran Ohanyan, la Larina di Triquet di Dmytru Kyforuc: voci forti, capaci di passare senza difficoltà il suono dell'orchestra, tecnicamente salde e di bel colore unite a capacità interpretative e attoriali in grado di rendere credibili i personaggi che devono far vivere sul palcoscenico.
Giovanna Lanza e
Adeguati Alexandrina Marinova Stoyanova-Andreeva, Hiroshi Okawa e Roberto Gentili.
Grandissima prova del Coro della Fondazione triestina che oltre a cantare con rinnovata energia, tiene la scena danzando sui celeberrimi
Valzer e Polonaise, interpretando e tenendo le controscena con attenzione e professionalità. Veramente bravi e un grazie anche alla felice direzione di Francesca Tosi.
Ugualmente bene l'Orchestra che suona magnificamente le pagine del Maestro di San Pietroburgo, guidata da Fabrizio Maria Carminati in splendida forma.

Teatro insolitamente pieno di giovani: un piacere per gli occhi!

martedì 14 novembre 2017

INNI ORFICI martedì 14 novembre 2017

Locandina dello spettacolo


Bellissimo.
Sublime.
Mozzafiato.
Meraviglioso.
Capolavoro.

Può bastare?

Mi sono molto emozionato, cosa che mi capita sempre più raramente. E con me tutta la sala dell'Opera di Lubiana che faticava a respirare per non disturbare lo svolgersi dello spettacolo ed era immobile come mai vista prima.

Vi racconto quello che ho provato per cominciare...

Lo spettacolo inizia con la Fuga 2 di Johann Sebastian Bach riletta da Anton Webern ed ho la sensazione che prenderà la piega del balletto concertante. Sono stupito che le danzatrici siano in punta in una coreografia così contemporanea ma allora trovo i costumi troppo pesanti per una coreografia astratta. Poi, sulle Danze Sacre e Profane di Claude Debussy esplode l'assolo di un potente e meraviglioso Richèl Wieles e mi ammutolisco con il resto della platea. Nella terza sezione di LYRE, sulla Ciaccona di Bach riletta da Hideo Saito, scopro la grandezza di Jeroen Verbruggen: immenso, un coreografo vero, capace di muovere le masse come i solisti, non il solito coreografo alla moda: da seguire con attenzione.
Nell'intervallo che viene effettuato a sipario aperto, con due danzatori che continuano un'azione scenica, non riesco neanche ad alzarmi per paura di perdere anche solo un dettaglio, che sia il tappeto-mondo o l'incombente soffitto di pietre che lentamente scende dalla graticcia del teatro. Sull'Orfeo di Igor Stravinsky inizia la parte terrena, GRAVITY, forse la più divertente dove agisce una intensa Ana Klasnja bravissima, ma troppo brevilinea per conquistarmi appieno, attorniata da un gruppo di Ninfe folli e urlanti. Kenta Yamamoto parte come sempre come un diesel: all'inizio è sempre un po' traballante ma poi ci regala un bellissimo assolo finale. Irrompe un seducente Filip Viljusic, interprete di un violento Satiro che molti vorremmo come carnefice, dalla danza potente ma raffinata.  Di nuovo brillante e musicalissima lettura della musica da parte di Verbruggen.
Di nuovo un intervallo ma devo uscire: è passata solo un'ora ma è stata talmente intensa da sembrare tre e devo abbandonare la sala.

Al rientro trovo una eterea, efebica e longilinea Rita Pollacchi ad attenderci per la terza parte, ABYSS, che si riscalda e prova i suoi infallibili doppi giri en dehors al ritmo di una chitarra acustica: inizia quello che sembra una sorta di Bolero di Bejartiana memoria o il momento in cui la Manon di Sir Kenneth MacMillan non tocca mai terra passando da un uomo all'altro in prese sempre più aeree ma fluide. Rita vola, spinge, rallenta, frena, padrona del suo copro e della tecnica e continua ad essere visibile anche quando torna nei ranghi del corpo di ballo. Rientrano anche le donne e la danza procede forte e accattivante come prima sulla musica eseguita live da Billy Sueiro, one man band. C'è un breve assolo magnificamente danzato da una splendida Tasja Sarler, credo un nuovo, ottimo acquisto per la compagnia.
Finisce e vorrei che non fosse così.
Con me il pubblico che tributa una lunga ribalta di applausi a tutti. Mi dispiace che Richèl Wieles non abbia ricevuto il giusto tributo: io l'ho trovato veramente strepitoso e generoso nella sua interpretazione e allora il tributo glielo faccio io, qui e ora: bravo!

Ripeto, a mio modesto avviso Jeroen Verbruggen è un coreografo di rara levatura: musicale, musicalissimo; pregno del mestiere, di saper muovere le masse in disegni e costruzioni mai ripetitive e mai scontate; di tirar fuori da danzatori che già conoscevo, capacità che non gli avevo mai visto; di costruire tensione ed emozioni che bucano la fossa orchestrale per arrivare a noi spettatori; fantasioso e capace del drammatico come del buffo: BRAVO!

Una menzione a parte lo merita l'incredibile, strepitoso disegno luci di Jaka Simenc: mai visto i motorizzati danzare assieme al corpo di ballo, come dei gangli o dei villi, nella scena degli ABYSS. Ma ancora: le luci da gelide a polverose nel primo tempo, l'eclissi che crea sul sole-mondo che scende dalla soffitta al pavimento, i controluce e la capacità di completare l'azione creata da Verbruggen sono toccanti e unici: bravo!
Discrete ma estremamente efficaci le proiezioni e la concezione dello spazio scenico ad opera di Atej Tutta e belli ma un po' scontati i costumi di Ana Savic Gecan.

Bene, benissimo la direzione dell'Orchestra della SNG di Lubiana guidata dalla bacchetta di Ziva Ploj Persuh, orma una specialista della danza, che si è saputa destreggiare nel guidare i suoi professori in pagine ardite e dure, uscendone a testa alta, altissima. Splendidamente suonata in Debussy, l'arpa di Tadeja Kralj.
Della mia adorata compagnia slovena posso dire che, seguendola ormai da una decina di anni, vedo un progresso continuo, inarrestabile, accompagnato da una versatilità di repertorio lodevole e interessante, frutto indubbio della guida sicura e contemporanea di Sanja Neskovic Persin, ma anche di tutti i suoi collaboratori che portano in scena degli assieme ineccepibili, lavorando alla costante crescita e pulizia tecnica dei danzatori: bravi!

E' una produzione che meriterebbe di girare, di essere vista da molti, da tutti: in platea c'erano adolescenti e anziani e nessuno si è annoiato o addormentato come invece capita qualche volta per titolo più acclamati...

Serata meravigliosa e indimenticabile.

P.s.: oggi era il compleanno di Martina...abbiamo visto questo spettacolo anche per te...ti amiamo e sei sempre qui, con noi.

martedì 17 ottobre 2017

KSENIJA/CARMINA BURANA 10 ottobre 2017

locandina dello spettacolo


L'idea di accoppiare questi due titoli sembra piuttosto sconclusionata ma, in verità, è un'idea felice del regista e scenografo Manfred Schweigkofler che poi riesce a renderli coesi come mai mi sarei aspettato

L'opera in un atto Ksenija è stata molto rappresentata e famosa in Slovenia fino alla Seconda Guerra Mondiale, come altre composizioni di Viktor Parma poi oscurato dal regime Yugoslavo con l'accusa di essere un reazionario. E' appena nel 2002 che un'opera di questo compositore, che fu anche direttore artistico dell'Opera di Maribor, torna ad essere rappresentata in Slovenia.
La storia narra la trieste vicenda di Ksenija, una ragazza che morirà involontariamente nel duello tra i due suoi spasimanti. La musica di Parma è a metà strada tra il verismo italiano e l'operetta e riesce a scorrere piacevole, grazie anche alla breve durata, non priva anche di romantico trasporto.
Ma l'aspetto più interessante è il ponte che il regista riesce a fare tra Ksenija e i Carmina Burana, presentati in forma scenica, utilizzando gli stessi interpreti e con gli stessi costumi a dimostrare come la fortuna è il motore di gran parte della nostra vita. Gli ambienti dove si svolgono le vicende sono entrambi conventuali, i personaggi ugualmente cavallereschi e quello che è il finale naturale dell'opera viene completamente ribaltato nel finale dei Carmina Burana dove
Ksenija si salva e vediamo morire al suo posto il cattivo.
La scenografia di Ksenija è composta da una cinquantina di "pali/betulle" che scendono verticali dal graticcio ma restano mobili, oscillanti. Sapientemente illuminati dal disegno luci di Andrej Hajdinjak riescono a rendere perfettamente sia il convento che il bosco che vogliono rappresentare; un po' meno riuscito il gradone sul fondo che costringe soprattutto le cantanti a discese pericolose e goffe. I costumi di Mateja Benedetti sono ispirati e perfettamente adeguati alla vicenda.
Fantasiose, piene di richiami contemporanei e con buona fantasia di linguaggio e disegni le coreografie di Lukas Zuschlag, danzatore solista della compagnia slovena, con alle spalle altre esperienze nella coreografia.

Venendo agli interpreti la Ksenija di Martina Zadro è di buona levatura, con una voce potente che sparisce nei bassi, soprattutto nell'In Trutina dei Carmina di Orff; il suo sfortunato innamorato Aleksij è interpretato dal potente Branko Robinsak mentre il Cavaliere, l'antagonista della vicenda, era portato in vita da Joze Vidic, notevole anche e soprattutto nei Carmina Burana per vocalità ed espressività scenica. Nuska Drascek Rojko è stata una Tatjana di tutto rispetto e il riscatto rispetto alla delusione di non poter ascoltare un controtenore nel numero dell'Oca arrostita 
Ho trovato poco incisivi, per non dire del tutto inutili, le parti recitate da Brane Grubar che,
quantomeno a noi spettatori non di lingua slovena, non aggiungevano nulla alla vicenda.
Georgeta Capraroiu rappresentava dignitosamente l'arte di Tersicore nel ruolo della Fortuna che permeava tutta la composizione di Carl Orff.
Buona la prestazione del Coro e dell'Orchestra della SNG di Lubiana diretti con equilibrio e stile da Marko Gaspersic.
Un po' meno convincente la prova dei danzatori alcuni con fisici e proporzioni non ottimali per il palco e altri con evidente poca esperienza

Nel complesso un'operazione riuscita, teatro pieno e pubblico plaudente



mercoledì 11 ottobre 2017

MACBETH sabato 7 ottobre 2017

Locandina dello spettacolo

Dei tre spettacoli coreografati da Masa Kolar che ho visto finora, questo è quello che mi è piaciuto di meno e mi dispiace doverne scrivere così al suo debutto come Direttrice della compagnia di danza del Teatro Nazionale Croato Ivan Zaijc di Fiume.

Questo Macbeth è un'operazione perfetta sulla carta, avendo una trama che funziona da secoli, un'eccellente coreografa e una compagnia in ottima forma.
Eppure non decolla, nonostante i bravissimi danzatori, la bella coreografia, gli eleganti costumi...la musica è noiosa e dopo poco tutto si colora di grigio. Che non è il nero cupo delle streghe del Macbeth. E' solo grigio.

Masa Kolar fa un buon lavoro, costruisce una drammaturgia, sicuramente supportata da Maja Marjancic, che ha una buona alternanza di scene, registicamente parlando, usa i danzatori al meglio, sottolineando di ognuno i pregi e nascondendo i difetti, riesce a raccontare la storia e a rendere leggibili sfumature di lessico difficili da rendere in danza ma lo spettacolo resta noioso. E mi dispiace molto.

E mi dispiace soprattutto per il fatto che le sue prove mi hanno finora sempre convinto e speravo di poter continuare così.

I bei costumi di Petra Dancevic Pavecic sono aiutati dal buon disegno luci di Dalibor Fugosic, qua e là forse un po' troppo tetro; d'effetto e interessante la struttura scenica girevole ideata da Jasmina Holbus, che molto guadagna anche dall'illuminazione.
Venendo ai danzatori ho trovato sempre più maturo e interessante Ali Tabbouch, un Macbeth affascinante e potente; stesso dicasi per la Lady Macbeth di Ksenija Duran Kutrova; belle e unisone le Streghe interpretate da Nina Lilek, Marta Voinea Cavrak e Laura Orlic...almeno spero di aver capito il senso nell'ordine dei loro nomi pubblicati sul sito, visto che il programma di sala, come al solito, non specifica meglio chi danza quale ruolo...

Spero che si sia trattato solo della troppa tensione dovuta ad un debutto così importante e che le prossime prove possano essere il necessario e auspicabile riscatto per una coreografa così sensibile e raffinata

Teatro pieno, pubblico applaudente ma senza particolari slanci


sabato 8 luglio 2017

LA VEDOVA ALLEGRA 6 luglio 2017

Locandina dello Spettacolo

Un sentito grazie va a Franco Però, direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, per aver riportato a Trieste una delle sue figlie predilette: l'operetta! Messa in scena secondo la tradizione che tanto piace ai triestini, fatta di numeri cantati, ballati, parti recitate, doppi sensi e allegria.
Essendone stato parte per un paio di decenni, devo dire che, quando ne ritorno ad essere soltanto spettatore, sento riaffiorare ricordi meravigliosi ma mi rendo anche conto di quanto sia uno spettacolo poco raffinato e nazional popolare...senza nulla togliere! E' solo una presa di coscienza...
Indubbiamente, rilette in una chiave più attuale e rivisti i dialoghi, le operette restano portatrici di melodie meravigliose e care

Venendo a La vedova allegra che sarà in scena fino a domenica 9 luglio al Politeama Rossetti di Trieste che i complessi artistici del Teatro Nazionale dell'Operetta di Budapest hanno portato a Trieste, il primo aspetto che balza all'occhio e la grande scuola e professionalità che questi artisti hanno esibito: scene e controscene senza sbavature, artisti del coro che non sbagliavano un solo passo della coreografia che gli competeva, prime parti perfettamente calate nei propri ruoli, corpo di ballo unisono e di grande bellezza, orchestra allineata ed efficace: cosa chiedere di più?

Magari più parti danzate - ma forse sono di parte - meno recitazione e una durata più contenuta.
La regia di Attila Lorinczy è tradizionale e un po' becera ma, come dicevo prima, perfettamente in linea con quello che il pubblico triestino conosceva. Mi ha parecchio disturbato l'inversione di molti numeri musicali rispetto alla partitura originale: è pur vero che siamo di fronte alla piccola opera ma se il compositore l'ha costruita in un certo modo, perché doverla stravolgere? Potremmo appendere La Gioconda a testa in giù? E poi, se proprio si vuole rivoluzionare, perché non affronatre tutto lo spettacolo e dargli una bella scrollata?
La scena di Balazs Cziegler è sontuosa e vuole stupire con LED e giochi d'acqua, ma alla fine risulta solo caotica e un po' pacchiana con una commistione di stili che riporta più a Hollywood che a Parigi. I costumi di Ildi Tihanyi sono un po' tristi e anche loro hanno poca coerenza stilistica con l'ambientazione che sembra essere degli anni '30 del secolo scorso... La coreografia di Jeno Locsei si limita ad un numero barbaro/tribale iniziale, pieno di ironia ed energia, e ad un Can Can niente più che gradevole: manca totalmente un vero e proprio numero di valzer.

Venendo alle prime parti, abbiamo avuto il piacere di ascoltare voci educate e musicali e una menzione a parte merita il Camille de Rossillon di Gergely Boncser che ha un timbro tenorile ed una tecnica di tutto rispetto. Piacevole la Hanna Glawari di Timea Vermes, adeguato il Danilo di Zsolt Vadasz, notevole la Valencienne di Anita Lukacs e deliziosamente meravigliosa la Olga di Marika Ozvald. Molto bene anche tutti i comprimari.
Un cenno a parte lo dedico agli artisti locali: non sono mai stato un fan del duo Andrea Binetti/Alessio Colautti che, in effetti, in occasione del Gran Galà dell'Operetta ho trovato insopportabili - nell'espressività Binetti e nel canto Colautti - ma hanno saputo conquistare tutta la mia stima e il rispetto al momento in cui sono stati guidati e imbrigliati da una regia...bravi!

Ineccepibili coro, corpo di ballo e orchestra. Buona la direzione dlell'accattivante musicale di Franz Lehar da parte del Maestro Laszlo Maklary.

Insomma, nonostante le mie solite pulci a tutto, uno spettacolo piacevole!

mercoledì 28 giugno 2017

CARMINA BURANA 28 giugno 2017

Locandina dello Spettacolo


Non poteva esserci apertura più grandiosa ed esplosiva per il 65° Festival di Lubiana, se non programmando i Carmina Burana di Carl Orff, riletti da La Fura dels Baus!

Amo questo gruppo di visionari catalani da molto tempo, più di 25 anni, e li ringrazio per gli stimoli che da sempre offrono con le loro performance.

Anche in questo frangente non mi hanno deluso, sottolineando la splendida cantata scenica composta da Carl Orff nel 1936, basata su poemi medievali, e arricchendone le immagini potenti che già da sola questa musica crea. E via con cascate proiettate che bagnano delle ninfe, creature demoniache e grotteschi di ogni tipo, soprani volanti, immagini potentissime su un cilindro di stoffa semi trasparente che ingloba tutta l'orchestra, un enorme tino di vetro nel quale l'acqua si trasforma a vista in vino rosso, discese nella platea degli artisti, un carrello controbilanciato che simula il volo degli interpreti principali in diversi momenti e tutta un'altra infinita serie di idee e suggestioni. Bravi, veramente.

Accurata e precisa la direzione dei tanti musicisti coinvolti in questa produzione da parte di Carlus Pedrissa, cui rimprovero solo il ritmo per i miei gusti troppo sostenuto di In taberna quando sumus.
Ottima la prestazione dell'Orchestra e del Coro della Filarmonica Slovena, supportati per l'occasione dai Cori Ave Chamber e Vinko Vodopivec.
Strepitosa la prestazione del contro tenore Jordi Domenech e di altissimo livello anche quella del baritono Carlos Daza, mentre mi sono sembrate meno sicure ed avvincenti le prove del comparto femminile...

L'unica vera pecca è stata la discutibile scelta di amplificare così prepotentemente i complessi in scena: ha cancellato la magia di essere pervasi dalla musica, mentre penso che tutti noi spettatori avremmo fatto volentieri lo sforzo di cercare i suoni più piccoli che, inevitabilmente in uno spettacolo all'aperto, per di più nella splendida ed enorme Kongresni Trg, andrebbero persi...

giovedì 25 maggio 2017

PAUL TAYLOR DANCE COMPANY 23 maggio 2017

Locandina dello spettacolo

Altra serata difficile e contrastata da raccontare.

All'apertura del sipario del Politeama Rossetti, abbiamo potuto vedere posizionati in varie pose alcuni tra i fisici più brutti che io abbia mai visto in 39 anni di frequentazione del mondo dello spettacolo...corpi tozzi, sproporzionati, trofici e anche grassi.
Lungi da me essere ossessionato da parametri di assoluta magrezza, che aborro ugualmente, ma andare a vedere uno spettacolo di danza vuol dire anche aspirare all'apollineo, sperare nel bello, sognare.
Niente di tutto ciò è stato possibile durante Mercuric Tidings la prima coreografia di Paul Taylor, che la sua compagnia ha scelto di portare a Trieste.
A distanza di 35 anni risulta un pezzo datato, veloce all'inverosimile, composto con un infinita serie di entrate e uscite che poco si imprimono nell'occhio dello spettatore.
Basato sulle sinfonie 1 e 2 di Franz Schubert e con i costumi (orrendamente indossati dai danzatori della compagnia) di Gene Moore.

Segue un brano ad opera di Doug Elkins che riesce a infondere una qualche emozione, soprattutto nel passo a due principale e nei duetti dove da voce a qualunque tipo di relazione: uomo-donna, donna-donna, uomo-uomo, bianco-nero, ecc. Già visto ma, almeno per me e il mio vissuto, delicato, ben descritto e sempre emozionante. Si intitola The Weight of Smoke, su musica di Justin Levine, Matt Stine e George Friderich Handel e costumi scontati di Karen Young.

Chiude la serata Promethean Fire, una coreografia di 15 anni fa (Paul Taylor ha 85 anni e continua a creare...) che è soltanto leggermente meno noiosa della precedente. I danzatori sono avvolti in calzamaglie nere e si muovono nuovamente all'impazzata in un turbinio di entrate e uscite, di piacevoli disegni coreografici e di insopportabili corsette old style. Per non parlare di tutto lo sfoggio della tecnica Graham, noiosa anche per noi che l'abbiamo studiata e veramente troppo datata. 
L'aspetto più fastidioso di questo manipolo di danzatori, con qualche minima eccezione, è la limitatezza atletica: non una posizione di danza giunge al suo massimo; una delle danzatrici cade dalla spalla del suo partner in un lift, francamente, piuttosto semplice; nulla viene raccontato o trasmesso....la sensazione è quella di aver assistito ad una performance di fine anno d un campus universitario americano...peccato.

Teatro pieno solo a metà, pubblico entusiasta. Forse avevo io la serata storta...