martedì 31 dicembre 2013

LA BELLA ADDORMENTATA 29/12/13

Locandina dello spettacolo

Ecco, visti i risultati tecnici della sera prima, sono arrivato al Politeama Rossetti tutto bello felice all'idea di guardarmi una Bella Addormentata quanto meno godibile...che delusione!

A parte il corpo di ballo sempre molto pulito e unisono, per chi conosce il balletto a menadito come me è stata una sofferenza indicibile vedere come uno dei capolavori del trittico Cajcovskiano è stato ridotto. Come per un melomane ascoltare "Ama...edo..mi...t'am..". Non l'avete riconosciuta?!? Era il grido accorato di Violetta al suo Alfredo prima di lasciarlo...ecco così ho visto questo spettacolo, con le budella che si aggrovigliavano ad ogni taglio.
Pensate che sofferenze sia per le orecchie, che per gli occhi, dover assistere ad una Bella dilaniata, ridotta, concentrata, considerando che la partitura musicale che ha una durata di circa 175 minuti, è stata ridotta a 110, eliminando brani meravigliosi e salvandone altri meno fondamentali, chissà poi per quale logica.

Ma io dico, "Bella Addormentata" è uno di quei titoli che anche le grandi compagnie affrontano comunque con ansia e solo se in possesso di ottimi primi ballerini per i cinque ruoli principali: allora perché una compagnia così sparuta e poco omogenea deve farsi un autogol di questo tipo? Non potevano portare in giro Coppelia o La Fille mal gardée che sono titoli in cui sarebbe risultati eccellenti?!? Mah.
I costumi di Erik Melikov e le scenografie di Evgeny Gurenko erano adeguati e gradevoli, così come le luci di Sergej Yurkin. Non citerò neanche l'autore dello scempio drammaturgico registico, perché di questo si è trattato: uno scempio.

I danzatori rispondono con serietà, ma è un titolo al di sopra delle lore possibilità: le Fate del prologo erano insipide ed insicure, ad eccezione di Fata Violante; la Fata dei Lillà era imbarazzante e nei developpés à la seconde-pliè e pirouette en dehors era fuori tempo in modo ingiustificabile.

Molto apprezzati anche dal pubblico i danzatori che hanno dato vita al Passo a due dell'Uccellino Azzurro: impossibile saperne i nomi, ma tesso con gioia lodi a loro!!!

Aurora ha fatto solo 2 delle 4 variazioni di repertorio e Florimondo solo 1 delle 2: entrambi decorosi, ma molto poco incisivi, hanno dalla loro una partnership sicura e affiatata.


Come spettatore mi sono sentito offeso e maltrattato: proprio spiacevole.





domenica 29 dicembre 2013

LO SCHIACCIANOCI 28/12/13


Tecnicamente ineccepibile questo "Schiaccianoci" che il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia ci presenta a chiusura dell'anno 2012. Una buona edizione segnata da qualche caduta di stile proposta dal Balletto di Mosca "La Classique": ottimo corpo di ballo, solisti di pregio e primi ballerini di classe! Lodevole, quindi, la scelta di riproporre lo stesso titolo e la stessa compagnia ad un anno di distanza.

Ovviamente essendo io un criticone, alcuni scivoloni vorrei raccontarveli...

La sensazione generale è che ci sarebbe bisogno di una revisione critica piuttosto che di una ripetizione pedissequa e rispettosa della tradizione: alcune scene, ne parliamo tra poco in merito alla battaglia, sono superate e sconfinano nel patetico/grottesco; altre sono vecchie e stantie (pensiamo all'arrivo e alla partenza degli ospiti o alle danze di questi durante la festa) e la resa generale di questo spettacolo di ottimo livello tecnico ne gioverebbe assai.
Alcuni passaggi fondamentali sono totalmente dimenticati e rendono illeggibile la vicenda. Uno su tutti? Quando è che Clara si addormenta e inizia il sogno? Probabilmente durante il buio di un cambio di scena....ma come fa il pubblico a capirlo? Solo grazie al programma di sala...

Da un punto di vista coreografico la versione che vediamo è stata pesantemente rielaborata da Valery Kovtun, nonostante il programma di sala citi l'originale di Petipa e Ivanov. L'unica parte che riconosciamo come tale è quella dei Fiocchi di neve che si tramanda quasi uguale, nell'ex blocco sovietico, dal tempo della prima esecuzione. La partitura musicale è stata rispettata, nonostante il taglio del finale del primo quadro del secondo atto, quello che conclude il Divertissment e che, talvolta, viene utilizzato per Mamma Cicogna e i Pulcinella.

Le tele dipinte come scenografie sono credibili e di piacevole effetto, anche se mancava quella che creava l'esterno prima e dopo la festa del primo atto; anche se i fiocchi di neve "cadono danzando" direttamente nel salotto della festa e tutto il secondo atto – finale incluso – avviene in un paesaggio innevato, compreso il risveglio di Clara che conclude lo spettacolo....ma perché queste cadute di gusto? Perché in tournée è difficile montare tutti i fondali? Allora non sarebbe meglio usare solo delle proiezioni? Questa mancanza di rispetto nei confronti del pubblico è veramente maleducata. Adeguati, rispettosi della tradizione ed eleganti i costumi a firma di Elik Melikov, mentre le scene sono di Evgeny Gurenko e le belle e semplici luci che valorizzano entrambi sono di Sergej Yurkin.

Chiudiamo dicendo che la parte più scadente dello spettacolo è stata l'apparizione in scena dei topi: vestiti di una misera calzamaglietta grigia, con una specie di calottina in testa e due orecchiette miserrime, cercavano di simulare la fisionomia dei topi, ingobbendosi e portando le mani con i polsi flessi davanti al petto....neanche nelle recite parrocchiali si vedono più cose di questo tipo!!

Però.

C'è un però. 

La danza che abbiamo visto era di grandissima qualità: solisti e primi ballerini impeccabili; sia la prima ballerina che la solista della danza cinese hanno eseguito dei bellissimi tripli giri in punta, per non parlare dei fouettès e dei "picchiamartello" dei solisti della danza russa!

La compagnia diretta da Elik Melikov e fondata con Nadejda Pavlova, deliziosa prima ballerina dell'epoca del "regime Grigorovich" al Teatro Bolshoj di Mosca, è una vera compagnia, per di più di buon livello. Appena iniziano a muoversi i danzatori capiamo che sarà una bella serata: unisoni, attenti alle file, al lavoro dei colleghi, espressivamente presenti e sorridenti . Vanno assieme come un orologio svizzero e ce ne accorgiamo nel Valzer dei Fiocchi di neve che è una gioia per gli occhi di noi spettatori

La prima ballerina che abbiamo visto in scena (ah, saperne il nome...) è stata squisitamente dolce nel primo atto e totalmente impeccabile nel massacrante tour de force del passo a due, variazioni e coda del secondo: brava! Ugualmente prestante e di ottima scuola il suo Cavaliere (credo si chiami Alexander Tarasov): splendide linee e fisico da vero danseur noble.
Ci piacerebbe citare i nomi dei solisti, ma come sempre in queste compagnie di giro, è impossibile sapere chi ha rischiato i denti in una variazione...il pubblico ha molto apprezzato i solisti della danza cinese e di quella russa.

Teatro pieno e applausi generosi...

sabato 28 dicembre 2013

THE SOUL CHILDREN OF CHICAGO 23/12/13

Locandina dello spettacolo

Che bella idea quella di proporre un concerto gospel nei giorni delle festività di fine anno! Tanto più se a proporlo è un ensemble musicalmente valido.

Il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia ha proposto come introduzione al periodo delle festività natalizie, il concerto dei "The Soul Children of Chicago" diretto da Walt Whitman, che nasce dall'idea filantropica di offrire ai tanti ragazzini e adolescenti che abitano le periferie degradate della città, un'alternativa alla strada e al teppismo. In scena vediamo cantanti adulti, che immaginiamo esseri stati protagonisti giovanissimi di questo coro sin dalla sua fondazione nel 1981, ma anche i giovanissimi di oggi tra i quali spicca un bimbetto in prima fila che sembra la versione afro del protagonista delle "Piccole canaglie", Alfa Alfa.

 Il repertorio che ci propongono spazia dai gospel più classici fino all'immancabile, ma splendida, suite dedicata al Natale: It's Christmas, Santa Claus is coming to town, Oh Holy Night, Joy to the world fino a Carol of the Bells, vero banco di prova armonico e ritmico per un coro, magistralmente eseguita!




Il maestro del coro è l'istrionico Walt Whitman che governa una ventina di ragazzi e tre musicisti, ma la sua abilità principale resta quella di saper incantare la platea con gag intraducibili, costringere tutti a schiodarsi dalle poltrone per ballare e cercare di catechizzare la platea. Personalmente avrei preferito che spingesse meno sui messaggi divini (alziamo tutti il palmo delle nostre mani dove abbiamo messo i nostri problemi e chiediamo a Dio di risolverceli; oppure scrollate la mani per sentirvi più liberi e vicini all'Altissimo; oppure arrampichiamoci per raggiungere il paradiso, imitando il gesto di salire una fune invisibile) e si fosse occupato unicamente di allietare i nostri animi e il nostro apparato uditivo, senza inutili moralismi o proselitismi che credo vengano raccolti con maggiore entusiasmo dalle platee americane. Il pubblico triestino segue gli ordini del nostro: si alza, oscilla, scuote le mani, ma poco dopo l'anima laica di questa città si manifesta e l'entusiasmo basato sul fervore mistico, lascia il passo alla pigrizia di alzarsi dalla poltrona e l'imbonitore di pecorelle smarrite si trova sempre più solo a glorificare il suo dio. Grazie Trieste!

A parte ciò, serata gradevolissima! Sala piena, pubblico festante.

venerdì 27 dicembre 2013

GABER...SE FOSSE GABER 18/12/13

Locandina dello spettacolo

Premessa necessaria: non ho la televisione e non mi piace guardarla.

Detto ciò mi appresto a scrivere qualche riga dello spettacolo "Gaber se fosse Gaber" che ho visto al Politeama Rossetti di  mercoledì 18 dicembre 2013 il cui protagonista Andrea Scanzi è un noto animatore del piccolo schermo. A me era noto per alcune argute note, qualche articolo e parecchie twittate che ho avuto modo di leggere su Internet: lo sapevo giornalista, ma ignoravo che praticasse anche il palcoscenico. Attilio, un mio caro amico, mi ha comunicato che Scanzi è a suo avviso un uomo molto intelligente, dichiaratamente egocentrico e molto narciso.
Confermo pienamente. E aggiungo che l'idea della Fondazione Gaber, che lo ha coinvolto in questo progetto andato in scena più di 120 volte, è lungimirante: associa la figura di Gaber, un picconatore/dissacratore ante litteram, a quella di un giornalista d'assalto e pungente come Scanzi, binomio fantastico che aiuta a portare in teatro il pigro pubblico della televisione e a risvegliare le coscienze. Forse.


 Forse, perché l'operazione ha una piccola falla.C'è un limite, ahimé. L'affabulatore Scanzi è un gran piacione, ha una bella voce, una buona presenza, sa gestire i tempi teatrali e le giuste pause, ma la voce tenuta bassa e tendente al sussurro vellutato non ci porta lontano dove vorremmo andare; le continue entrate e uscite di scena e i commentari sembrano le didascaliche note di un documentario, piuttosto che una prova mattatoriale.

Quindi l'unica vera forza dirompente per convincerci a conoscere ed amare Gaber restano le sue apparizioni in video che gli archivi hanno preservato e che ci sottolineano come il suo messaggio sia tuttora vero e credibile, profondo e insuperato, alto e diretto. Bastano le espressioni del suo volto, anche segnato dal passare degli anni e del cancro che lo ucciderà nel 2003, per farci appassionare al suo pensiero, ai suoi testi e alle sue idee temerarie. Devo però riconoscere che qualche battuta del "conduttore" è fantastica. Ad esempio quando ricorda che a cavallo tra gli anni '60 e '70 del secolo scorso la scena musicale era dominata da Gaber e Mina e oggigiorno da Anna Tatangelo e Gigi d'Alessio: regresso o progresso? Oppure quando ricorda gli anni di piombo, le bombe di Stato e poi si domanda che fine ha fatto Francesca Dellera? E' esplosa per una puntura di spillo?
Però il suo contributo si limita a queste poche battute. Mi aspettavo interventi più graffianti e polemici, maggiori stimoli mentali e spunti di riflessione.
Operazione ben pensata, resta però un po' monca: senza capo né coda, soprattutto priva di apice e di finale...piatta insomma: peccato!

Teatro bello pieno, pubblico contento: per fortuna, per tutta la durata dello spettacolo, nessuno parla della vedova Gaber.

martedì 10 dicembre 2013

PRISCILLA LA REGINA DEL DESERTO 30/11/13

Il Cast in scena                Il team creativo

Torno a parlare di Priscilla The Musical, che era in scena a Padova con un nuovo cast.
Dopo l'abbandono di Mirko Ranú per la televisione e di Simone Leonardi per altre avventure, ero curioso di vedere la Bernadette di Marco D'Alberti e la Felicia di Riccardo Sinisi.

Ho assistito alla recita di sabato 30 novembre al Gran Teatro Geox, bella iniziativa di mecenatismo privato che però, purtroppo, assomiglia più ad un padiglione fieristico che ad un luogo di spettacolo o di cultura. Credetemi, non voglio fare lo snob, ma il regno del panino all'ingresso che diffonde odore di carne bruciacchiata, continui slogan pubblicitari, nauseante puzza di popcorn, un bancone con salsicce e griglia rovente, un assordante disc jockey che ricorda incessantemente la comodità di lasciare i cappotti al guardaroba (ovviamente a pagamento e spero meno caro del parcheggio obbligatorio a 5 euro ad auto) e che motteggia le persone che entrano...insomma atmosfera altamente circense e per nulla teatrale. Inoltre la locandina riporta l'inizio alle 21.15, per cui mi presento con il dovuto anticipo, mi siedo sulle poltrone (appena rinnovate come il deejay si è premunito di ricordarci almeno 20 volte) e cosa succede? Veniamo bombardati da 25 minuti abbondanti di spot pubblicitari sulle splendide calzature create dal Sior Paron!! Veramente tanto da sopportare...

Finalmente lo spettacolo inizia (alle 21.35!) e sugli schermi che affiancano il palco appaiono immagini ingrandite del palcoscenico, doveroso in effetti vista la profondità della platea che renderebbe impercettibili le espressioni dei volti.
Si manifesta una seconda delusione: nonostante la vastità della struttura assisteremo ad una versione da tournée di questa produzione....lode e gloria allo Stabile del Friuli Venezia Giulia che ci ha regalato una versione completa, egregiamente ospitata nella bellissima sede del Politeama Rossetti.
Per cui molti tendaggi, un pullman decapitato, niente Divas volanti (le meravigliose vocalist che nell'altra versione appaiono spesso dal "cielo"...riesco a sopportare tutto ciò, ma lo spettacolo si è un po' opacizzato e seduto...anche i ballerini della scena iniziale con le valigie erano meno efficaci...peccato!

Il trio di protagonisti invece mi piace molto. Angiolillo si conferma una ottima Mitzi, anche se mi è sembrato meno carico rispetto allo scorso anno.
Riccardo Sinisi nel ruolo di Felicia è fresco, adeguato sia vocalmente che nella recitazione, ma tende a sparire nonostante il fisico scultoreo e la buona presenza. In generale il terzetto protagonistico sembra più unito e affiatato di come lo ricordavo lo  e il senso generale dello spettacolo ne guadagna.
Ho volutamente lasciare per ultima la Bernadette di Marco D'Alberti perché merita un discorso più attento e approfondito.
Siamo di fronte ad un artista completo, bravo quando canta, convincente quando recita e pertinente quando si muove. Un vero talento del teatro musicale italiano che meriterebbe maggiore successo e ruoli protagonistici. La sua Bernadette è una dama di gran classe, con le gambe sempre incrociate e i piedi in posa da miss, ma resta capace del turpiloquio di un portuale! Bionda come una vamp del cinema americano degli anni '50, è la vera protagonista del musical, quella cui sono riservata le battute più divertenti e i momenti più intimistici. Tanto copione viene arricchito dai perfetti tempi teatrali di Marco D'Alberti, sensibile e gigione il giusto, che ricorderemo a lungo per le risate e le lacrime che ci regala. Bravissimo!

Teatro quasi pieno (2500 posti!), pubblico entusiasta: ancora bravi alla produzione MAS Music Art & Show per la splendida messa in scena, copia fedele del format australiano!



mercoledì 4 dicembre 2013

BLAM! 29/11/2013


Ma che simpaticissimi mattacchioni i quattro attoriacrobatiballerinimimi (scritto proprio cosi tutto attaccato visto che sanno fare bene tutte e quattro le cose) che hanno fatto vivere sul palcoscenico del Politeama Rossetti di Trieste questo stralunato "Blam", spettacolo che arriva a Trieste in prima nazionale.

All'apertura del sipario ci troviamo in un open space tipico di molti call center e uffici: basse pareti divisorie isolano parzialmente le attività degli impiegati che sono invece controllati dall'alto, nonché con l'ausilio delle telecamere, da un capoufficio di fantozziana memoria. Quest'ultimo, al pari di una maestrina, bacchetta, richiama, ammonisce, tre impiegati più propensi al fannullismo che al lavoro.

La monotonia regna sovrana, anche per noi spettatori a dire il vero, ma forse era proprio questo l'effetto desiderato: ricordarci la noia di certi lavori, di certe routines...e anche l'inutilità di certi controllori! Di lui possiamo dire che è inutile anche come personalità: se ne rende conto a breve visto che i suoi collaboratori non lo disprezzano neanche ...lo ignorano proprio. Sentendosi isolato decide di riconquistare la loro fiducia e, seguendo il concetto dell'empatia, li avvicina giocandosi la carta della simpatia, approcciandosi a loro come un novello Bruce Lee: questo è solo l'inizio della fine!

Lo spettacolo da qui in poi diventa molto più godibile e, se si è un minimo cinefili, citazioni e rimandi si sprecheranno! I nostri quattro al pari di quattro bambinoni (chi di noi non lo è ancora dentro?!?) impugnano le loro armi (generalmente indice e pollice a simboleggiare la pistola), trasformano due raccoglitori di carte in alettoni degni di Mazinga, e iniziano a viaggiare con il corpo e con la mente. Approdano nei film di James Bond, Kill Bill e Pulp Fiction di Tarantino, Rambo e Wolverine ManApocalypse now e Il Padrino e molti altri ancora. Il tutto è condito da acrobazie mozzafiato, strampalati travestimenti, adeguate colonne sonore e la maestria, il coraggio dei nostri quattro (fantastici!) nel buttarsi come degli stuntmen in qualunque situazione.

 Non riporto i loro nomi dal momento che li trovate nella locandina all'inizio di questa recensione (soprattutto perché essendo principalmente danesi, mi è immediatamente venuto mal di testa cercando di ricopiare i primi due nomi...). Mi limito a citarli come compagnia Neander e a sottolineare che sono stati tutti bravissimi e sorprendenti: 75 minuti, tolti i 10 iniziali, di pura miscela esplosiva!


Veramente bravi e grazie allo Stabile del Friuli Venezia Giulia e al suo Direttore Organizzativo Stefano Curti per essere riuscito ancora una volta a portarci una piacevolissima chicca internazionale direttamente a casa! Teatro pieno, pubblico divertito e plaudente.

lunedì 2 dicembre 2013

CONTEMPORARY TANGO 26/11/13

Locandina dello spettacolo

La prima cosa che salta all'occhio di questa produzione del Balletto di Roma è quanto siano splendidi i suoi danzatori! Belli, bravi, giovani, motivati, unisoni, una vera gioia per i nostri occhi.
Peccato che, come inizia a capitare troppo frequentemente, si debbano misurare con una creazione decisamente inferiore alle loro capacità.

Questo Contemporary Tango prodotto con generosa volontà dalla compagnia romana, delude principalmente per la pochezza dell'impianto drammaturgico. Questa la presentazione dello spettacolo (di un programma di sala neanche l'ombra): "l'opera attraverso l'uso del linguaggio contemporaneo vuole raccontare un ballo: il tango sociale che sempre più sembra diffondersi nel nostro pianeta". Tutto e niente. In verità sembra nascondere solo la volontà di farne un'operazione alla moda.

Il sipario si apre su un bell'impianto scenografico, lontano anni luce dalla classica e abusata inquadratura tutta nera, tipica di tanta danza, illuminata dal bel disegno luci ad opera di Emanuele Di Maria. E siamo ancora felici e speranzosi.
A breve entra in scena la solita donna delle pulizie che posiziona una decina di sedie: in quante altre produzioni poi si è svelata come una vamp, una serial killer e altro ancora? Subito dopo entrano i danzatori da una quinta dietro alla fila di sedie, rendendo l'ingresso decentrato e poco logico. Ci riprendiamo quando si accomodano sulle sedie per togliersi le scarpe da strada e indossare quelle da ballo, come effettivamente succede in qualsiasi milonga, anche se qui giustamente restano a piedi nudi.

Analizzando questo incipit viene da domandarsi: cosa ha apportato alla narrazione questa pulitrice, che posiziona svogliatamente le sedie del lato sinistro per poi attraversare la scena di corsa visibilmente in ansia per posizionare quelle sull'altro e finire sulla nota che chiude il primo brano? A cosa serve mettere le sedie quasi a sbarramento della quinta di accesso che simula la porta di ingresso a questa milonga e avere un ingresso defilato e del tutto irreale? Perché poco dopo essere entrati, i danzatori devono spogliarsi e restare tutti in mutande? Forse perché entriamo nella zona o onirica dello spettacolo dove i sogni possono diventare realtà? Chi avrebbe mai sospettato che un uomo e una donna si incontrano in una sala da ballo e poi sognano di trovarsi in mutande?!? Ci sentiamo quasi offesi: siamo trattati proprio come stupidi... Oppure perché due uomini ad un certo punto debbano tirarsi su i pantaloni ed infilarsi delle scarpe da donna di paillettes rosse che devono essere state rubate alla produzione di Priscilla...per essere politically correct? Per alludere alla tradizione che vedeva gli uomini ballare tra di loro? Certo non con le scarpe da donna con il tacco...e potrei continuare a lungo, tante sono le ingenuità e le banalità in cui si perde la coreografa.
Oppure il senso, il significato, è molto più profondo o introverso e allora prego la produzione di preparare un programma di sala che illustri il pensiero artistico. Io non l'ho proprio trovato.

Lo stile coregrafico non brilla per originalità, né per urgenza compositiva: molti passi, pochissime prese, qualche accenno alla salida basica del tango e poco altro. Qualche passo a due riesce a creare una qualche
atmosfera e gli assoli di Kledi Kadiu sono cuciti sulle sue capacità e sulla sua bella danza felpata.
Non avevo mai visto lavori di Milena Zullo e sono rimasto male, visto che il suo nome è sulla piazza da parecchi anni...forse è rimasta vittima di un'operazione che non ha sentito sua...certo che lo spettacolo è lungo un'ora di noia pura.

Come accennavo prima, lo salvano degli splendidi danzatori, curati e amalgamati dalle cure del Maitre de Ballet Piero Rocchetti, bravissimo a giudicare da quanto visto in scena, dai costumi di Giuseppina Maurizi e
dalle splendide melodie composta da Astor Piazzolla in primis. Alle sue bellissime creazioni si aggiungono quelle di Lucio Demare, Osvaldo Pugliese e Angel Villoldo: un tappeto musicale meraviglioso che abbiamo quasi detestato per la violenza con cui la regia audio ce l'ha sparato nelle orecchie! Un vero peccato...

Kledi, impeccabile tecnicamente, emerge dal gruppo senza tuttavia staccarsene troppo, affiancato da tanti altri bravi danzatori che avremmo voluto citare, ma di cui non possiamo sapere i nomi. Diciamo solo che la sua partner e l'altro danzatore che con loro si esibiscono un passo a tre, sono stati eccellenti: spiace non poterne citare i nomi.

Che peccato...detesto assistere e dovrebbe scrivere di spettacoli incompleti: a mio avviso sono dei veri
attentati al già fragile pubblico del teatro di danza.

Sala piena al Teatro Sloveno di Trieste, pubblico partecipe. Il Circuito Danza del Friuli Venezia Giulia, emanato dal Ministero per i Beni Ambientali e Culturali e gestito dalla a.Artisti Asscoiati di Gorizia, prosegue nella sua opera di diffusione della danza in tutta la regione: da Trieste a Sacile, da Tolmezzo al mare e di questo non possiamo che essergliene grati!

martedì 26 novembre 2013

Flavio Emilio Scogna 22/11/2013

Locandina dello spettacolo

Splendida e raffinata serata quella che la stagione sinfonica 2013 /2014 ci ha regalato il 22 novembre al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.

Guidata dalla bacchetta celebre e sapiente di Flavio Emilio Scogna, l'Orchestra del massimo triestino ha dato buona prova di sé anche se in un programma molto, forse troppo, poliedrico. Passare da Wagner a Carrara e da Mendelssohn a Schubert non credo sia una prova facile neanche per le orchestre esclusivamente sinfoniche. La sensazione generale è che tutta la musica in programma sia stata eseguita correttamente ma senza anima.
Lo stesso pensiero vale per il Maestro Scogna che sembrava corretto, ma poco appassionato oltre che imbarazzato anche dal ripetuto entrare e uscire dal palco e dai continui rituali di applausi da parte del pubblico.
La prima pagina "L'idillio" dal Sigfrido di Richard Wagner è stato eseguito con tutta la grazia e l'eleganza timbrica che richiede, evitando i clangori tanto cari all'autore, ma soprattuttograditissimi ad alcuni direttori d'orchestra che sembrano poter appagare malcelate passioni da capo banda.
Invece questa pagina tra le più delicate eserene di Wagner è stata suonata con la giusta cura: dal primo violino che apre e chiude il brano, alla nitidezza delle linee melodiche che si rincorrono, tutto ha funzionato nel modo migliore.
Lo stesso dicasi per la bellissima pagina de "Le Ebridi, la grotta di Fingal" dove il gesto di Scogna e la risposta dell'Orchestra triestina diventano più incisivi, fino al culmine della Sinfonia n. 4 in do minore "Tragica" di Schubert che, in particolare nel febbrile finale, scatenano e riscaldano la platea, in generale, piuttosto freddina.

Una nota a parte merita l'esecuzione di "Ondanomala" una composizione giovanile, ma estremamente efficace, del contemporaneo Cristian Carrara, figlio di uno dei sopravvissuti al disastro del Vajont cui la pagina è dedicata. L'atmosfera è cupa e tonante, come probabilmente devono averla percepita le vittime di quella tragica notte. Gli orchestrali vibrano assieme ai loro strumenti in questa composizione che potremmo accostare a un certo stile minimalista degli anni '80 del secolo scorso. Bella composizione, Orchestar e Maestro toccanti.


Sala piena, tanti giovani imberbi e fuori luogo al Verdi, ma felici di vederli e di averli con noi, visto che il pubblico del futuro saranno loro...speriamo!

mercoledì 13 novembre 2013

THE ILLUSIONIST 13/11/2013

Locandina dello spettacolo 

Una vera "americanata", ma anche una bella occasione per passare due ore con il naso all'insù, come dei bambini...
Parlo di "The Illusionist" lo spettacolo che ha debuttato in prima, ed esclusiva, nazionale al Politeama Rossetti di Trieste, restituendo a questo illustre palcoscenico il genere di spettacoli per il quale era stato costruito: spettacoli circensi e colossali, vaudeville, musical...mancano solo gli spettacoli equestri!
Questo spettacolo fila via velocissimo, come una macchina da guerra, oliata e pronta a sparare colpi, come sempre quando si tratta di produzioni di questo livello e provenienti da paesi anglosassoni.

"The Illusionist" è un contenitore magico e sfarzoso nel quale trovano casa alcuni fra i migliori illusionisti di tutto il mondo, specializzati in tecniche che vanno dalla prestidigitazione all'escapologia, dal mentalismo alla cartomagia, dalle grande illusioni al bizarre magic, capaci di far sembrare magia una "semplice" illusione ottica.
Sottolineati da splendidi e fantasmagorici effetti luce, da una scatenata rock band, da costumi gotici total black con borchie e da un gruppo di ballerini, abbiamo visto numeri in cui apparivano colombe, si staccavano teste, apparivano corpi segati a metà, si indovinavano pensieri, sparivano orologi e i fazzoletti di carta diventavano nevica!

I prodi illusionisti che si sono esibiti erano Dan Sperry, una via di mezzo tra Marilyn Manson e David Copperfield, che è riuscito ad estrarre dalla pelle della gola la caramella che stava masticando e che ci ha stupito con il classico numero delle colombe, rivisitato in stile gotico con annesso look alla "Edward, mano di forbice"; Mark Kalin e Jinger Leigh che si sono cimentati nel grande classico della donna segata in due; Andrew Basso che, come l'indimenticabile Houdini, si è fatto ammanettare e immergere a testa in giù in una vasca piena d'acqua con le pareti trasparenti, dimostrando a tutti la sua abilità nel liberarsi;
Philip Escoffey che ha sorpreso la platea con la sua "capacità" di prevedere il pensiero del pubblico: Kevin James che è riuscito a trasformare un fazzoletto di carta in una nevicata oppure in una rosa vera, con tanto di spine; Jeff Hobson, uno di cui aver paura vista l'abilità nello sfilare orologi o nel far apparire/sparire uova.
In mezzo a tutti questi personaggi, era tutt'altro che stonata la presenza del nostro Davide Calabrese, celebrità triestina e leader degli Oblivion, che aveva il ruolo di traduttore simultaneo, ma che si è immediatamente riciclato in performer a sua volta, rubando la scena, e gli applausi, ai padroni di casa.

Insomma, due ore di svago puro, di ritorno all'infanzia, all'epoca in cui credevamo in tutto e non vedevamo ancora gli aspetti meno gradevoli della vita...due ore che in questo momento di crisi valgono tanto! Teatro stracolmo, fiumi di applausi, inizio scintillante, ma finale sottotono.

SPRING AWAKENING 9/11/13

Locandina dello spettacolo

"Risveglio di primavera" di Frank Wedekind è uno di quei romanzi di formazione che, prima o poi, nella vita vanno letti: non scorrevolissimo, non facile e indubbiamente poco allegro, contribuisce però alla comprensione di quella difficilissima parte della vita chiamata adolescenza. Problematiche e sofferenze che con il passare del tempo tendiamo a dimenticare con anni più sereni e meno problematici.

Per parlare di questo "Spring Awakening" dobbiamo necessariamente partire da qui. Dalle tensioni che dal romanzo si trasferiscono al palcoscenico; dalla delusione che gli adolescenti provano per le repressioni che gli adulti operano nei loro confronti, senza spiegarne i perché; dalla scoperta che il sesso, prima di diventare piacere, è portatore di dubbi, di insicurezze, di paure, di errori.
Tutta questa tensione la ritroviamo nello spettacolo scritto da Steven Sater con le musiche di Duncan Sheik e prodotto con grande lungimiranza e finezza dalla Todomodo Music, una produzione di Livorno che rischia coraggiosamente con un titolo tutt'altro che facile.

Innanzitutto perché catalogarlo musical è quantomeno riduttivo: a mio avviso questa è una opera, un'opera rock quantomeno per la ricchezza e la profondità del testo, imparagonabile alle solite pappette tipo Grease, Cats, ecc.
Poi perché producono in grande, risparmiando solo su una cosa di cui vi dirò alla fine, con una bellissima scenografia, pensata da Marcello Sindici, che riproduce una lavagna appoggiata su un piano inclinato e un palcoscenico sul quale si svolge tutta la vicenda che, all'inizio dello spettacolo, troviamo posizionato verticalmente. Poco dopo entra una ragazza che, mentre il piano viene riportato in posizione orizzontale, entra attraverso un buco e si trova direttamente al centro della vicenda. Ma le trovate registiche sono continue e tutte raffinate, poetiche ed originali: Emanuele Gamba firma una regia che, finalmente, sembra non citarne altre, ricco com'è di immagini personali molto eleganti e personali. Forse un po' troppo enfatica nel gusto di una recitazione visibile...un'impostazione più spontanea, più naif, avrebbe probabilmente reso i giovani protagonisti ancora più coinvolgenti e toccanti per noi pubblico. Ma le lacrime e la profonda immedesimazione non mancano...anzi! Il funerale di Moritz è un momento veramente straziante...
Ho apprezzato molto anche l'idea di rendere identiche le due grandi scene d'amore: sia quella tra Melchior e Wendla che quella tra Hanschen e Ernst sono identiche nell'impostazione, nella scelta delle proiezioni, nello sviluppo registico, a ricordare che l'amore è amore, aldilà del genere. Grazie.
Lo spettacolo è aiutato da uno splendido video proiettato sulla lavagna che per tutto lo spettacolo diventa uno story board, piena di appunti di viaggio, traducendo testi, sottolineando situazioni, creando luoghi! E' talmente bello che i suoi autori Paolo Signorini e Raffaele Commone meritano ampiamente di essere citati: bravi! Citiamo ancora gli adeguati costumi di Desirée Costanzo e le belle luci di Alessandro Ferri (bravissimo a suggerire un bosco con due sole sbavature di verde sulla citata lavagna).

E passiamo al cast: superlativo!
Bravi tutti, veramente. Un punto in più lo assegniamo alla compagine maschile, che sfoggia personalità artistiche ancora più interessanti che si manifestano nelle parti musicali più rock.
Ad iniziare dai due protagonisti: Flavio Gismondi nel ruolo di Moritz e Federico Marignetti in quello di
Melchior. Se Marignetti coniuga bravura e presenza scenica, a Gismondi dobbiamo riconoscere anche la capacità di rilanciare con una vocalità rock, molto interessante: ma sono entrambi preparati, compresi nei propri ruoli e godibilissimi.
Stessa cosa va detta delle due protagoniste: la deliziosa e trasognante Wendla di Arianna Battilana (da brivido la sua interpretazione di Whispering!) e Tania Tuccinardi nel ruolo di Ilse, che fa vivere un personaggio meno complesso e interiorizzato di quello di Wendla con più facile risultato.
E non possiamo non citare i due poliedrici attori Gianluca Ferrato e Francesca Gamba, impegnati a dar vita a tutti gli uomini, le donne, le madri, i padri, i docenti...riescono a passare dalla farsa al dramma, dalla commedia al vaudeville: Ferrato con una marcia in più, forse avvantaggiato dalla tanta frequentazione di teatro musicale.

Da segnalare una bella trovata per realizzare un aggancio con il territorio: a rinforzare alcune scene intervengono dei ragazzi, gli Swing, scelti di volta in volta, nelle città che la tournée toccherà. Interagiscono con la scena, sottolineano e rimarcano quello che succede in scena, aggiungendo valore, anche se spesso agiscono nell'ombra e quello che fanno resta poco visibile.


Piacevolissima, come sempre quando è presente, l'accompagnamento della musica dal vivo con una band omogenea e abile nel sapersi trasformare da melodica a rock! La accuratissima direzione musicale di Stefano Brondi è magistrale, soprattutto nell'armonizzazione delle voci nei concertati, nei momenti di assieme.

Ma c'è una nota stonata. Ed è un vero peccato. Il lavoro di tutti viene inficiato da una pessima regia del suono: microfoni che fischiano, non si aprono, gracchiano; jingle che partono nel momento sbagliato e una scelta di sottolineare la naturalezza di quello che accade in scena, amplificando fino all'inutile l'amplificazione di ogni respiro, sussurro e raschiamento di voce.

Ancora complimenti alla produzione, e al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, per aver scelto di portare uno spettacolo così tanto off Broadway da poter convincere tutto il pubblico che il musical non è solo mossette e lustrini, ma che è capace di raccontare temi importanti, storie inusuali con la stessa forza di un opera lirica, di un dramma teatrale, di un film.

domenica 3 novembre 2013

MIGUEL ANGEL BERNA 2/11/13

Locandina dello spettacolo

Che spettacolo di spettacolo! Si, lo so, grammaticalmente non è un'affermazione delle migliori, ma è quella che mi sembra più calzante.
Non perché lo spettacolo sia ricco di chissà quali effetti o trovate, anzi....ma proprio per questo è spettacolare. Perché è bastata la qualità della danza per tenere tutti inchiodati alle poltrone della Sala Assicurazioni Generali del Politeama Rossetti di Trieste. Perchè il pubblico è rimasto con il fiato sospeso per tutto il lungo e bellissimo ultimo assolo di Miguel Angel Berna, senza neanche il famoso "Coro del colpo di tosse", tipicamente triestino.

Ho appena letto di un torero che al momento di sferrare gli ultimi colpi al toro, si è seduto sul bordo dell'arena, incapace di proseguire la matada, afflitto dal senso di colpa per aver guardato negli occhi quell'animale. Ecco, finalmente un cambiamento in una tradizione inutilmente cruenta e completamente ispanica nell'immaginario di tutti noi. Anche "Bailando mi tierra...mudejar" mi aveva fatto immediatamente pensare, nella mia oceanica ignoranza, che avrei assistito la rappresentazione più o meno folklorica della solita Spagna da cartolina, corredata di stacchettamenti, chitarre e Olè! Invece...
Invece è stato tutt'altro.
Ad iniziare dalle scarpe che i danzatori utilizzano in scena: morbide come le mezzepunte della danza classica, che permettono molti passi felpati e scivolati lungo il palco; per continuare con la sobria linearità dei costumi, raffinati e molto contemporanei di Maria Jose Mora; oppure ripensando ai musicisti, composti in un'ensemble tutt'altro da quello che ci aspetteremmo! C'erano: cornamusa, flauti, cajon. percussioni, banduria, laud e (per fortuna) chitarra, il tutto accompagnato dalla splendida voce di Maria José Hernandez.


Poco dopo l'apertura del sipario si percepisce nettamente un'ambientazione ben diversa da quella iconograficamente flamenca: appare un primo simbolo proiettato ed è un misto tra la stella di David e la griglia di una mashrabiya; la musica riecheggia di influenze arabe; luci e fumo creano un'atmosfera molto diversa dal classico tablao flamenco. Lui è già lì, percepibile grazie ad un effetto luce un po' impreciso, ma quando si muove enfatizza ed esaspera i gesti, alla stregua dei bailaores che lo hanno preceduto come Cortes, Gades, ecc. Accidenti, speravo fosse diverso: almeno, però, è a piedi nudi.

Entra un gruppo di danzatori, molto puliti e sincroni: danzano qualcosa che sembra a mezza via tra una danza contemporanea e qualcosa di più codificato...una danza popolare? Forse questa Jota di cui Berna studia e cerca di riscoprire passi e sequenze da più di 30 anni e di cui è diventato il massimo conoscitore e praticante.
Poi Lui torna in scena e inizia un assolo: gli occhi si incollano alla sua figura lunga, alla finezza delle figure e dello spazio che divora scivolando sui piedi, calzati in delle improbabili scarpe rosse con il tacco d'oro;
le braccia, lunghissime, esprimono forza e fierezza, linee protese all'infinito, dove trovano posto delle magiche nacchere in metacrilato trasparente che gli forgia appositamente suo padre; occhi che bruciano, penetrano, nonostante il buio del palco e la distanza dalla nostre poltrone. L'assolo volge al termine e Miguel ruota su se stesso come un derviscio, per un tempo che sembra lunghissimo. Forse lo è, ma ormai siamo completamente avviluppati in lui e non capiamo più molto. Certo, in altri momenti, il suo portamento è assolutamente identico a quello di un torero: la schiena spezzata, con lo sterno che protende in avanti e il mento che sfiora il torace...ma non lasciatevi ingannare! Tutto in lui è diverso.


La scaletta prosegue con un'alternanza tra coreografie danzate dal gruppo di 7 danzatori e i suoi assoli. Ha dell'incredibile l'assoluto, rarefatto, impensabile silenzio che il pubblico presente in sala riesce a mantenere durante l'ultimo assolo: la riprova del detto "non si sentiva volare una mosca"...stupefacente! Tanto quanto lui.


mercoledì 30 ottobre 2013

UN FLAUTO MAGICO 30/10/2013

Locandina dello spettacolo

Ah si, questo inizio della stagione musicale del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia al Politeama Rossetti di Trieste mi è proprio piaciuto. Mi ha fatto fare alcune riflessioni e sono felice quando andare a teatro, oltre che darmi gioia, mi aiuta a stimolare i neuroni assopiti "dal logorio della vita moderna".

In ordine sparso ho pensato che:
- questo "Un flauto magico" di Wolfgang Amadeus Mozart, liberamente riadattato da Peter Brook, Franck Krawczyk e Marie-Hélène Estienne può segnare una delle evoluzioni auspicabili per riconquistare pubblico al teatro lirico, soprattutto tra i più giovani;
- che quando ci sono gusto e idee non serve spendere miliardi (e lo ripeterò fino alla nausea);
- che il modo in cui ho sentito cantare la lirica stasera mi ha completamente conquistato.

Ma cercherò di andare per ordine.

Entrando in sala si trova il palcoscenico a sipario aperto e lievemente illuminato: varie canne di bambù di diverso diametro, autoportanti grazie ad una base di metallo quadrata, frazionano lo spazio scenico assieme ad un pianoforte a coda. All'ingresso del pianista, un ineccepibile e vibrante Vincent Planès, le luci della sala si spengono e iniziano a diffondersi le note di una delle opere più conosciute e più amate di Mozart.
Ad uno ad uno, si presentano i protagonisti di questa rilettura alleggerita, scarnificata, ripulita da simbologie massoniche, animali stravaganti, sacerdoti e vestali, improbabili ambientazioni egizie ed epoche storiche irriconoscibili: in questo allestimento tutto è basato su costumi che appartengono ad una non epoca, adeguatissimi e ad opera di Hélène Patarot, sulle semplice ma splendide luci  di Philippe Vialatte, e sulla regia dell'immortale genio di Peter Brook. Il regista è attentissimo alla costruzione dei caratteri dei personaggi; ad una recitazione che resti veritiera e non verista; a duetti e dialoghi che mantengano un pathos narrativo piuttosto che vedere i cantanti sempre con la bocca verso il pubblico, per non sacrificare l'emissione del suono; a creare un ambiente nel quale i cantanti siano costretti a rendere credibili i propri personaggi piuttosto che essere sicuri di poggiare bene il diaframma.
Quello che resta è una trama finalmente leggibile, la bellezza di pagine musicali grandiose e irraggiungibili e la raffinata eleganza di un allestimento tanto sobrio quanto evocativo.


Veniamo agli interpreti: sono bravi. Tutti!
Vince su tutti il Papageno di Thomas Dolié: ottimo cantante e splendido attore che riesce nel comico, quanto nel drammatico. Inappuntabile anche Malia Bendi-Merad che esce a testa alta dalle insidie delle due tenibili arie della Regina della Notte.
Gli altri sono, a mio modesto parere, tutti allo stesso livello: bravissimi nel compito inusuale di sussurrare il canto, di non enfatizzarlo, rendendolo solamente uno sfoggio virtuosistico; di pesare più il senso delle parole che rispettare il volume delle note scritte sul pentagramma; indiscutibili per abilità canore e attoriali; eccezionali per essersi messi in gioco in questa produzione.
Eroico e lodevole, veramente.

Come chiedere a George Clooney di imbruttirsi e di sedurre per quello che dice...mica facile! Cyrano insegna...

Peccato per il poco pubblico: mi domando dove erano tutti gli intenditori ed i grandi esperti che affollano gli spettacoli del Verdi di Trieste....forse l'opera si può/deve fare solo dove si può fare lo struscio esibizionistico nel foyer?


domenica 29 settembre 2013

QUASI PER CASO DOPO IL CAFFE' 21/9/13

Ma che bella, splendida, fantastica, geniale, sorprendente, deliziosa idea...qualcuno possiede qualcosa di bello e decide di dividerlo, di condividerlo con gli altri. Così ha fatto Federica Russolo con il giardino della propria casa e con alcuni spazi esterni e particolari della stessa.

Prima creando la HomeGround con la quale propone musica di alta qualità suonata esclusivamente live per gli amici in una nuova stanza da musica; poi creando questo splendido evento, intitolato "Quasi per caso, dopo il caffè".

Succede questo. Si arriva a casa di Federica e il cortile/giardino d'ingresso è già presieduto da suo figlio e da tanti altri amici/ospiti. Di lì a poco Lorenza Masutto e Arianna Starace si esibiscono in un tango argentino contaminato di danza contemporanea, nei quali i ruoli sono interscambiabili, così come suggeriscono anche i costumi che le due indossano: mezzo abito da uomo e mezzo da donna, a rimarcare questa dualità.


Subito dopo sul giardinetto alle spalle del cortile appare Valentina Furlan che, di raso rosso vestita, scivola lungo il prato e il muro di fondo, ricordandoci di quanto contatto con la natura dovremmo nutrirci: il tappeto musicale è suonato live da Riccardo Morpurgo, noto musicista triestino, che la segue, la sospinge, la frena, la fa librare con una attenzione che raramente posso riconoscere ai musicisti che devono "abbassarsi" ad accompagnare la danza.

Una dopo l'altra arrivano le altre Amazzoni di questa bella avventura: Manuela Parovel, Valentina Morpurgo e la Russolo. Spuntano dietro il muro, dimostrando rapporti di buon vicinato visto che il palcoscenico su cui poggiano i piedi è platealmente il cortile di qualcun'altro, e con grazia felina e lentezza da teatro Butoh, lo scavalcano per planare sul giardino.Si accende una danza di gruppo che poi si scioglie e lascia spazio ad un momento di assolo.
L'ultimo culminante, per teatralità, musicalità e bellezza, se lo ritaglia Federica Russolo mostrando, come sempre, inventiva e grande finezza teatrale, abbinate ad una grande consapevolezza dello strumento corpo che lascia agire.

Lo stile coreografico scelto non è particolarmente originale o innovativo, ma è genuino e le interpreti credono ad ognuno dei gesti e dei momenti creati. Questo trasmette una tensione e una bellezza rara per chi guarda.
La serata procede senza una traccia o un libretto: eppure l'oretta che ci regalano le nostre danzatrici fila via veloce tra continui cambiamenti di location e nuove trovate.

Bellissimo il "trio su due piani per ringhiera di balcone" che si svolge utilizzando i corrimani delle due terrazze sovrapposte, arricchito dal bellissimo brano Empty space dance del Balanescu Quartet.
Tutto il tappeto sonoro scelto è estremamente suggestivo: sia per i brani eseguiti live dalle mani sensibili di Riccardo Morpurgo che per quelli di Rufus Wainwright o del sopracitato Balanescu.



Durante la performance il pubblico assapora il piacere del nomadismo, spostandosi per i vari angoli del giardino, per seguire i vari quadri proposti dalle interpreti anche coreografe e autrici della pièce, alle quali dobbiamo rendere ancora un grazie per l'originalità dell'idea e la capacità di inventare nuovi luoghi di spettacolo.
Quando le Istituzioni che dovrebbero occuparsi di offrire spazi a chi ha l'urgenza di creare, si ripiegano solo su se stesse, a far quadrare bilanci dopo troppe mangiate, l'ingegno e la creatività umane riescono sempre a ideare nuove vie di fuga!
Giardino pieno...in ogni aiuola, muretto e vaso. Pubblico festoso ed acclamante!

 

giovedì 22 agosto 2013

AIDA 17 agosto 2013

Locandina dello spettacolo

Scrivere di questo spettacolo è un sincero piacere perché mi riporta indietro negli anni a quando in questa stessa edizione (e dentro quei terribili costumi con gonnellino plissé bianco...) danzavo anche io.
Parliamo dell'AIDA, lo spettacolo per eccellenza dell'Arena di Verona, qui nella versione che rievoca lo storico allestimento che inaugurò questa fortunatissima sede estiva di spettacoli operistici e di balletto, trasformandolo da semplice monumento all'aperto a tempio dello spettacolo open air. La magnifica intuizione venne nel 1913 a Giovanni Zenatello, tenore, e all'impresario Ottone Rosato, impresario, per celebrare il centenario della nascita di Giuseppe Verdi.
E quella che vediamo in scena è la ricostruzione quanto più possibile fedele di quell'allestimento: indiscutibilmente filologica  per quanto riguarda scene e costumi, un po' più fantasiosa per quanto riguarda la regia e la coreografia.

Firma la regia Gianfranco De Bosio, un veterano del teatro italiano che oltre ad essere un letterato, è stato regista teatrale e cinematografico, nonché Sovrintendente areniano. La sua è una regia tradizionale, ma accurata, non particolarmente fantasiosa, ma precisa e attenta ai dettagli e del tutto attuale. I cantanti recitano nello stile dell'epoca, ma ci sono influenze modernizzanti, una su tutte la rovinosa caduta al suolo di Amneris alla fine della sua scena madre nel primo quadro del quarto atto, punto di forza di una delle più grandi di tutti i tempi, Fiorenza Cossotto, che dubito venisse eseguita nel 1913...

Meno riuscita è la coreografia che ricorda indubbiamente come doveva essere all'inizio del '900 (ma è davvero così importante o interessante?) basata sulle accurate ricerche di Susanna Egri, decana italiana della danza, che però risulta molto confusa, poco coinvolgente e per nulla trionfale come dovrebbe. Forse uno svecchiamento dei passi, dei gesti e un maggior equilibrio tra compagine maschile e femminile potrebbe renderla più appetibile ai gusti odierni.
In merito alla danza, devo sottolineare la prova dell'inossidabile Myrna Kamara, ex stella bejartiana e Schiava perfetta e folgorante, accompagnata dai bravi e puntuali Antonio Russo e Evgeny Kourtsev, nonché la troppo infagottata Amaya Ugarteche, splendida Sacerdotessa.

I costumi risultano adeguati e imponenti anche nella loro esagerata ridondanza, ma sarebbe il caso di alleggerire un po' quello della Sacerdotessa del Tempio che risulta ingoffata come in un Gianduiotto...
Le scene colpiscono ancora, ma soprattutto grazie all'impostazione registica di posizionamento delle masse: gli eterni cambi di scena per trovare le solite 8 colonne una volta a destra, una a sinistra, un'altra al centro e così via, risultano decisamente indigesti. Peraltro le Sfingi illuminate dal basso, i due obelischi, le torce tenute in mano dalle comparse sull'ultimo anello dell'anfiteatro sono immagini bellissime e indimenticabili.

La compagnia di canto rasenta l'eccellenza a partire dalla sublime Aida di Fiorenza Cedolins: dizione impeccabile, colori e volumi strepitosi, presenza scenica suntuosa. Lo stesso dicasi per l'Amneris di Violeta Urmana, maestosa e squillante, accattivante e dominatrice, deus ex machina di una vicenda che la vede vincitrice e vinta.
Bene il Radames di Marco Berti, meno interessante per presenza scenica, ma vocalmente potente, quasi troppo per il "catino" veronese, anche se forse proprio per questo poco colorato, tendendo spesso a spingere troppo la voce. Pessima serata invece per il Ramfis di Orlin Anastassov: voce insicura, poco timbrata e afflitta da una velatura, forse a causa di qualche malessere, speriamo di passaggio. Splendido l'Amonasro di Ambrogio Maestri, autorevole e tonante comme il faut! Adeguati il Re di Carlo Cigni, la Sacerdotessa di Antonella Trevisan e il Messaggero di Saverio Fiore.

La direzione d'orchestra del Maestro Daniel Oren è quasi perfetta. Solo durante qualche aria principale,  "Celeste Aida" per esempio, sembra assecondare troppo i cantanti aiutandoli per le impervie note verdiane, sacrificando un po' il fluire del canto. L'Orchestra, una volta tanto, non sovrasta i cantanti (difficile in Arena!), ma suona con maestria e competenza, senza scivolare sulle difficoltà dei fiati, sia in fossa che in palco, che distruggono le esecuzioni di tante altre fondazioni liriche.
Bene, benissimo il Coro areniano, sia per compatezza che per maturità scenica.

Arena piena, applausi a profusione e commenti entusiastici per uno spettacolo da vedere almeno una volta nella vita!