mercoledì 24 luglio 2013

LETTERA APERTA AGLI ALLIEVI DI ERICA BRONT

Lettera aperta alle allieve e agli allievi di Erica Bront

Mie care e cari,
oltre ad essere il vostro insegnante part time di danza classica, ogni tanto mi diletto a scrivere degli spettacoli che vedo. Sapendo questo, Erica mi ha chiesto di fare una recensione del vostro ultimo saggio "Il Viaggio". Mentre mi accingevo a scriverla ho capito che invece volevo dirvi qualcos'altro.

Volevo dirvi che siete stati fortunati perché avete scelto una scuola che continua ad essere unica in questa regione. Non vuole essere un incensamento e, se un po' mi conoscete, sapete che non è proprio il mio forte, ma una presa d'atto.

Unica perché Erica è un'insegnante diversa. Certo, ha come obiettivo davanti a sé la vostra crescita tecnica, la creazione di danzatori, di corpi consci e danzanti, di atleti che usino la tecnica come veicolo espressivo. Ma ha soprattutto come obiettivo la vostra formazione artistica. La vostra artisticità e l'insegnarvi ad esprimerla.

Qualche anno fa, vedendo un vostro saggio decisi di condividere con Lei qualche appunto che però si limitava ad aspetti tecnici: l'aspetto artistico, l'unicità di quello che avevo visto in scena mi aveva già profondamente colpito. Perché Erica non è solo un'insegnante di danza classica. No, Erica è una coreografa, una vera coreografa anche se non ha voluto, o potuto, sfruttare questo talento fino in fondo.

La costruzione di un Suo saggio è un qualcosa che va aldilà delle logiche commerciali, degli equilibri fisiologici di una scuola di danza: se un gruppo entra solo una volta ed un altro tre non si creano dissapori perché tutto fa parte di un disegno più ampio. Di una trama coreografica complessa e ragionata e come tale inattaccabile da un punto di vista logico come qualsiasi espressione artistica ragionata, compiuta e sentita.

I disegni con cui posiziona voi allievi nello spazio scenico sono originali e in continua evoluzione; le braccia, così tipiche della Sua ricerca, sono diverse da gruppo a gruppo, a simbolizzare radici, ali, aria; i torsi sono in continuo avvitamento o flessione o estensione, a ricordare l'armoniosa flessibilità che la danza richiede, anzi, esige; l'intensità di un gesto non è mai circense o filo sovietica, ma è frutto di convinzione interiore, instillata, profusa, nelle allieve adulte così come in quelle in odore di pubertà.

Chiesi ad Erica, quando ancora mi azzardavo a calcare il palco nonostante età e chili in avanzo, di realizzare un assolo o un duetto per me e Lei, pregna del suo tipico scettico pudore, mi rispose di si pur sapendo che non l'avrebbe mai fatto, convinta di non sapere o potere.

Avrei desiderato anch'io quell'iniezione di arte, di coraggio, di scanzonata follia, di energia, di amore che mi attraversasse il corpo, che facesse vibrare nuovamente i muscoli allenati per tanti anni alle faticose richieste di Tersicore, che facesse risuonare la voce dell'arte dentro di me...ma non è ancora successo.

E per tutto questo vi considero dei fortunati e vi invidio, miei giovani artisti.


domenica 21 luglio 2013

ROBERTO BOLLE and friends form American Ballet Theatre 19 luglio 2013

Mi accingo a scrivere una delle recensioni più difficili della mia carriera (!), quella sul galà "Roberto Bolle and
friends from American Ballet Theatre".
Sarà difficile perché, per alcuni aspetti, devo andare a toccare un mostro sacro, un idolo delle folle. Ma tant'è: nessuno mi costringe a scrivere, né voi a leggermi o ad apprezzare quelle che sono sempre e comunque SOLO mie opinioni.

Allora, il Politeama Rossetti è gremito all'inverosimile.
L'ufficio stampa dello Stabile del Friuli Venezia Giulia mi trova una poltrona lontana, ma centralissima (grazie!) dalla quale posso godermi veramente la danza nella sua totalità, senza la distrazione della mimica facciale o del dettaglio ravvicinato. Ho già visto Roberto Bolle danzare. E ho sempre adorato la grande pulizia tecnica, l'eleganza, le linee perfette, l'intelligenza dell'interpretazione.


Qui a Trieste ha deciso di debuttare una nuova produzione dei suoi famosi Galà: un assemblaggio di artisti di altissima levatura che si esibiscono nei loro "cavalli di battaglia". Allora per entrare subito nel merito della critica mi domando: perché aprire la serata con il passo a due del "Cigno nero" che non è sembrato il cavallo di battaglia di nessuno dei due interpreti? E perché farlo seguire dalla coreografia più insulsa che io abbia mai visto ad opera di un vero talento coreografico che risponde al nome di Christopher Wheeldon? Lo spettacolo ha avuto veramente una falsa partenza.
Inoltre, credo che danzare sulla pendenza dei palcoscenici all'italiana sia affare non per tutti. Men che meno per degli artisti catapultati su questa ripida pendenza solo con un giorno di prove...

Ma queste erano le dolenti note. Ora passiamo a quelle positive.


Le note piacevoli sono che Bolle è molto cresciuto artisticamente. Il suo Romeo e, soprattutto, il suo Armand sono uomini che hanno conosciuto l'amore, che l'hanno vissuto e ci inebria questa loro ardita esposizione di sentimenti, accompagnata dalla grande classe e dalla bellezza delle sue linee fisiche.
In "La dama delle camelie" Bolle trascina nel vortice della passione anche la coreografia e, in alcuni momenti, si ha l'impressione che rischi di rovinare al suolo per l'accelerazione appassionata che imprime anche ad alcuni passaggi tecnici, rendendoli altamente espressivi e meritori di applausi a scena aperta.
Meno convincente la sua prova prettamente tecnica: nel "Cigno nero", complice anche un costume che non gli rende onore, sembra appesantito e molto lento.

Interessante e molto ben costruito l'assolo "Prototype", ideato e realizzato da Massimiliano Volpini, un collega scaligero del Divo, che gli regala una sorta di biglietto da visita virtuale.
Assistiamo alla creazione in 3D del danzatore Bolle, poi alla sua programmazione che viene mostrata nella fase di apprendimento di alcuni dei numerosi passi accademici, per passare poi all'esecuzione di estratti da brani di repertorio. Infine - con soddisfazione di tanti spettatori corsi al Rossetti solo per vedere l'anatomia - il Nostro appare in calzamaglia e a torso nudo, con tanto di primo piano evidenziato sul maxi schermo della sua definita e meravigliosamente scolpita muscolatura, dal gran dentato ai deltoidi!
Brano accattivante e molto ben costruito.

In tutto ciò Bolle è accompagnato da un cast strabiliante, in alcuni casi veramente stellare.

A cominciare da Julie Kent, stella di prima grandezza e partner consolidata di Bolle: sembrano complementari anche negli applausi, quando faticano a ritrovare il sorriso per ringraziare il pubblico mentre sono ancora emozionalmente scossi dagli abbracci e dagli abbandoni che hanno appena vissuto in scena. La Kent è una Prima Ballerina elegante e raffinata, dalle bellissime linee: le stesse qualità che riconosciamo da sempre a Roberto e che, proprio per questo, speriamo di vederli sempre di più associati in una partnership inossidabile di balletti narrativo/drammatici, come quelli di Mac Millan, Neumeier e Cranko.





Il vero trionfatore tecnico della serata è Daniil Simkin che strabilia il folto pubblico del Rossetti con virtuosismi mozzafiato, pirouettes interminabili, salti dotati del momento della magica sospensione in aria come solo il mitico Nijinskj sembrava poter fare. Ne "Le bourgeois" del coreografo Ben Van Cauwenbergh, assolo principe in moltissimi galà, lascia tutti senza fiato nel riproporre la "Butterfly" tipica del pattinaggio (la testa scende pericolosamente verso il pavimento mentre le gambe sforbiciano indietro e verso l'alto, sfidando la forza della gravità...wow!!), ancora mai vista così alta! Ugualmente sovrasta Isabella Boylston nel passo a due balanchiniano "Stars and stripes" dove il suo soldatino incanta tutti per la verve tecnica: strepitoso!!

Subito dopo le stelle appena citate ci sono gli altri interpreti che all'American Ballet Theatre ricoprono il ruolo di Soloist: Yuriko Kajiya dagli splendidi sostenuti nel particolare, ma musicalissimo, pas de deux dal secondo atto de "Lo schiaccianoci" nella versione coreografica di Alexei Ratmansky, accompagnata da un brillante James Whiteside, funestato da uno jabot che gli finiva in faccia ad ogni pirouette; oppure Mitsy Copeland e Jared Matthews perfettamente balanchiniani in "Tchaikovsky pas de deux".
Strana la resa di Hee Seo, Principal della compagnia americana, che delude nel "Cigno nero" ed è molto, molto bella in "The leaves are fading" splendido passo a due di Anthony Tudor che danza con Bolle, incantandoci per legato e armonia.

Anche durante gli applausi il pubblico tributa grandi onori a Simkin, riconoscendone una grande abilità tecnica, alla Kent e, ovviamente, a Roberto Bolle che speriamo saprà far tesoro dell'esperienza di Nureyev, il suo primo mentore, che ha avuto grandi difficoltà a capire quale fosse il repertorio a lui più adatto con l'avanzare dell'età.

venerdì 19 luglio 2013

PARSONS DANCE 16 luglio 2013

Locandina dello spettacolo

 Arrivo al Politeama Rossetti trafelato, accaldato da una camminata veloce in questa estate ad intermittenza e non sono proprio felice che questo spettacolo si svolga al chiuso invece che all'aperto, sotto le stelle del Castello di San Giusto o in piazza Unità. Per fortuna c'è l'aria condizionata, ma sono sicuro che come me, molti altri spettatori avrebbero preferito un'altra location. Si desume anche dalle tante, troppe poltrone vuote che mi addolorano sempre quando vengono proposti spettacoli di qualità.


Però, poi, il sipario si apre sui primi otto danzatori della Parsons Dance. Ed è subito un uragano rinfrescante. Un turbine di corpi in movimento, una pioggia risanatrice di passi, un firmamento di stelle.
Danzatori che alla prima impressione sembrano dei danzatori degli anni 80 o 90 del secolo scorso: non longilinei o dotati di collo del piede a quintali come pretende la moda di oggi, ma danzatori forti, brevilinei magari, ma uomini e donne piuttosto che efebici manichini. E che piacere!!


La serata inizia con una coreografia magnifica e inaspettata per il Parsons che conosco da anni. Raffinata, delicata, giocata su linee infinite oppure rotonde, su cerchi e segmenti di linea; contemporanea, ma con echi jazz; musicalissima. Si intitola "Round my world", è stato composto nel 2012 e mi lascia sperare che sarà così anche il resto della serata: sorprendente e di ricerca.
Invece mi costringe al risveglio un quartetto, molto datato, e piuttosto insulso "Kind of blue" del 2001 che è pregno di uno stile jazz molto commerciale e poco incisivo.
Conclude il primo tempo un pezzo d'assieme brasilero, giustamente ruffiano e danzato con un'energia inesauribile: "Nascimento novo" che riconferma le doti nazional-popolari della coreografia di Parsons, tutt'altro che criticabile.


Il secondo tempo inizia con "Ebben" un duetto tremendamente kitsch con danzatore immobile o quasi (il bel Eric Bourne che ammireremo estasiasti nel brano conclusivo) ed una strepitosa Elena D'Amario che, nonostante le negative profezie di una feroce giudice di danza televisiva, di strada ne ha fatta parecchia e pure bene...collo del piede o meno, brava!
Segue il marchio di fabbrica della compagnia "Caught" che David aveva creato per sé stesso nel 1982 e che lo ha portato alla fama mondiale. Lo avevo visto molti anni fa a Spoleto, poi a Roma e continua a sortire lo stesso magico effetto su di me e su chi, forse, lo vede per la prima volta: grazie all'uso delle luci stroboscopiche e alla reazione del nostro apparato visivo, si ha l'impressione di vedere il danzatore, uno splendido Ian Spring, sospeso in aria durante gli innumerevoli salti di cui questo assolo è composto. O di vedere una serie di fotografie assolutamente perfette: mozzafiato, anche dopo 32 anni! Non mi stancherò mai di ripeterlo: i capolavori sono immortali.


Chiude la serata "In the end" coreografia corale del 2005 che strizza sempre l'occhio ruffiano al pubblico, ma che è danzata talmente bene, all'unisono e con un dispendio energetico tale che non puù coinvolgere e ammaliare.
Insomma, lo spettacolo è gradevole, scorrevole, danzato benissimo e la speranza è che David Parsons continui sulla strada intrapresa recentemente che lo ha portato, secondo il mio modesto parere, dalla strada del facile successo commerciale a quello del potersi permettere il lusso della ricerca e della sperimentazione.