venerdì 25 dicembre 2015

L'ELISIR D'AMORE 22 dicembre 2015

Locandina dello spettacolo

E' una vera delizia questo allestimento, di quello che si può considerare il capolavoro di Gaetano Donizetti, sia per gli occhi che per le orecchie! E' una produzione solare, allegra, piena di cura per i dettagli (complimenti, visti i ristretti tempi di prova!) che ruba due ore e mezza di vita con grazia e bellezza! Due ore e mezza che ho l'impressione il pubblico inizi a fare fatica a sopportare, abituato sempre di pù alle brevi durate delle serie televisive....

Gran parte del merito va, per la parte visiva, al regista Fabio Sparvoli, assistito da Giovanna Spinelli, che imbastice una regia scorrevole, piena di dettagli e di idee, aiutato dal coro della
Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste in grandissima forma. Lo seguono con affetto e dedizione anche gli interpreti principali, convinti a sostenere i loro personaggi fino in fondo, sia essendo una donna che cerca di sedurre un carabiniere, che una protagonista
altezzosa e poco simpatica...ah già, la vicenda è spostata in avanti, fino agli anni cinquanta del secolo scorso, in un paesino dell'entroterra centro italiano, direi. Il clima che si respira è sereno, è quello di un Italia uscita dalla guerra, che ha voglia di ricominciare, di divertirsi, senza dimenticare la necessità di lavorare. L'impianto scenico rimanda ad una tipica casa colonica, color rossiccio che vediamo dal profilo destro nel primo atto e dal sinistro nel secondo: splendido escamotage dello scenografo Saverio
Santoliquido, immagino, per contenere i costi senza annoiare lo spettatore. Finiscono la scena due piccole collinette e alcuni covoni di paglia. I costumi di Alessandra Torella sono adeguati e perfettamente inseriti nella scala cromatica della messinscena. L'unica pecca sono le luci di Jacopo Pantani che sottolineano il dipanarsi della vicenda (personalmente lo detesto, a meno che tutta l'ambientazione non sia favolistica e non verista come in questo caso) trasformando improvvisamente la scena in un notturno o andando a definire il trio di protagonisti sagomandolo dall'alto...ahimè, andando a sottolineare anche dettagli che non c'entrano nulla con la narrazione e con il pathos che si voleva creare.

Venendo ai protagonisto ho ascoltato la Adina di Dušica Bijelić, molto preparata scenicamente e vocalmente, vezzosa e arrogante come richiede il personaggio, ma capace di una credibile trasformazione finale verso l'amore e la dolcezza. Ho trovato il Nemorino di Leonardo Ferrando gagliardo, visionario, sognatore come dovrebbe e vocalmente tanto, tanto piacevole. Il Dulcamara di Domenico Balzani era altresì convincente sia dal punto di vista scenico, supportato da un servo vero truzzo di periferia affidato all'intelligente mimica di Mario Brancaccio, che da quello vocale , ma avrei voluto sentirlo scandire e sillabare maggiormente la sua aria del primo atto. Potente, dominatore e ieratico il Belcore di  Filippo Polinelli, questa volta impersonante un ufficiale dei Carabinieri, così come delicata e fanciullesca era la Giannetta di Vittoria Lai.


L'orchestra suona bene e si impegna ma la conduzione di Ryuichiro Sonoda non decolla: per i miei gusti affronta con troppo clamore l'ouverture, restituendo al povero Dozzinetti un soprannome che proprio L'elisir d'amore gli aveva affrancato...peccato!

Mi preme lodare e ringraziare nuovamente il coro, in particolare le sezioni femminili, per il grande lavoro registico svolto e affrontato in questa messinscena: sono briose, presenti, disponibile, allegre, precise...brave!

Sala piena, pubblico poco reattivo alla fine delle varie arie, ma generoso nei ringraziamenti di fine
spettacolo. Teatro affollato di ragazzini delle medie e superiori cittadine che spero vengano adeguatamente preparati alla visione di un'opera lirica, mondo sempre più lontano da quello attuale...

P.s.: in tutte le lodi spese per il Coro, mi sono dimenticato di citare il Maestro Fulvio Fogliazza che li dirige con competenza e passione....spero che non me ne voglia!

Invece per rispondere ad altri invidiosi e rancorosi, ricordo che un blogger scrive di quello che vuole, siano anche solo i movimenti e la regia e che, per fortuna, nessuno è costretto a leggermi! Altrimenti sarei rimasto a scrivere per il sito dove recensivo prima, che si occupava di tutti gli aspetti tecnici, con piglio accademico che trovo noiosi per chiunque non sia un addetto ai lavori. La comunicazione si evolve e il mio interesse è quello di invogliare il pubblico ad andare a teatro, a non dimenticarlo...e se è vero, come mi si apostrofa che può scrivere chiunque...beh, fatelo.






mercoledì 9 dicembre 2015

MAMMA MIA! 9 dicembre 2015

Locandina dello spettacolo

Sempre un piacere per gli occhi e per le orecchie!
E' nuovamente una bellissima edizione, quella inglese che è appena approdata a Trieste , al Politeama Rossetti e che resterà in scena fino a domenica 13 dicembre.

Come sempre le produzioni inglese sono inappuntabili dal punto di vista tecnico ed artistico. E anche questa non fa eccezione!
La storia di Donna e della sua caparbietà di restare single, ma mamma felice, su un'isola greca, dove in occasione del matrimonio della
 
figlia ventenne Sophie, riapproderanno i tre uomini dei quali uno potrebbe essere il papà della fanciulla, è raccontata e messa in scena magistralmente. Tutto fila liscio, senza una sbavatura, senza un rumore accidentale, senza l'innesco di un radio microfono, per due ore e mezza di spettacolo: impensabile per noi italiani!

Le scenografie e i costumi di Mark Thompson riescono a trasportarci in piena estate, su di un'isola che immaginiamo bianca, assolata ma piena di semplicità e serenità. Catherine Johnson ha scritto uno splendido libretto nel quale le melodie immortali di Benny Andersson e Björn Ulvaeus, più conosciuti assieme alle loro compagne come gli Abba, sono incastonate come gemme preziose e sembrano nate appositamente. Non stonano neanche alcune canzoni aggiunte ad opera di Stig Anderson, grazie alla supervisione musicale e agli arrangiamenti di Martin Koch.

Phyllida Lloyd firma una regia colorata, attenta ai dettagli, musicalissima, supportate dalle vivaci e divertenti coreografie di Anthony Van Laast.

Abbiamo applaudito un'ottima Sara Poyzer nel ruolo di Donna Sheridan, che dopo un primo tempo vocalmente meno sicuro, ha saputo dare il meglio di sè; Shobna Gulati e Sue Devaney sarà Tanya e Rosie, le irresistibili Dynamo girls del suo passato artistico; Niamh Perry è stata una piacevole Sophie Sheridan, anche se il timbro molto acuto e qualche difficoltà nel registro centrale non mi hanno del tutto convinto. Molto bene il comparto maschile con Richard Standing, nel ruolo di Sam Carmichael, Michael Beckley nel ruolo di Bill Austin, Mark Jardine nel ruolo di Harry Bright e il bel Justin Thomas come Sky.

Di tutti gli altri trovate i nomi nella locandina e mi urge ricordare che sono stati generosi, brillanti e carichi di energia!

Se non l'avete visto, correte a teatro per vedere una produzione di altissimo livello...senza dover andare fino a Londra!

 
 Poyzer interpreterà Donna Sheridan, Shobna Gulati sarà Tanya, Sue Devaney sarà Rosie e l’irlandese Niamh Perry interpreterà Sophie Sheridan - See more at: http://www.ilrossetti.it/scheda_musical.asp?RecordID=5241#sthash.K9mwk6Q8.dpuf
Sara Poyzer interpreterà Donna Sheridan, Shobna Gulati sarà Tanya, Sue Devaney sarà Rosie e l’irlandese Niamh Perry interpreterà Sophie Sheridan - See more at: http://www.ilrossetti.it/scheda_musical.asp?RecordID=5241#sthash.K9mwk6Q8.dpuf

martedì 1 dicembre 2015

WERTHER 1 dicembre 2015

Locandina dello spettacolo 

Punto 1: prima volta che vedo il Werther di Jules Massenet.
Punto 2: alla fine del primo atto non ne potevo più.
Punto 3: i restanti tre atti mi sono piaciuti moltissimo.

Detto ciò, devo dire che lo spettacolo mi è sembrato nel suo complesso interessante anche se tradizionale, elegante ed asciutto.
Ho molto apprezzato le scene di Aurelio Barbato, austere e incombenti, come si conviene ad un dramma di questo tipo; eleganti e perfettamente coordinati all'allestimento anche i costumi di Lorena Marin; splendidamente chiaroscurali le luci di Claudio Schmid hanno sottolineato con intelligenza il dipanarsi della vicenda.
Giulio Ciabatti si conferma, ancora una volta, un regista tradizionale, garbato e attento ad aiutare i suoi protagonisti nel rendere personaggi scomodi e inquieti come in questa opera. Ha saputo infondere leggerezza e soavità laddove era possibile, ma non ha tralasciato di sottolineare il dramma, senza calcare la mano.

Venendo alla musica, come già scrivevo, ho trovato il primo atto lento e monotono, ma ho finito con il ricredermi man mano che l'opera proseguiva: quella che mi sembrava solo una nenia è diventata un tourbillion emozionale che mi ha piacevolmente coinvolto. Nonostante sia andata in scena nel 1892, in pieno fermento verista, a me è sembrata un'opera pienamente romantica, colma dello sturmundrang che ne era il manifesto. Il libretto si ispirava a I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe, drammone che molti di noi hanno subito a scuola, nel quale si racconta tutto il disagio interiore, esteriore e la depressione di un povero innamorato, ripetuatamente rifiutato e accettato solamente dopo essersi sparato un colpo all'addome. Una delle agonie più lunghe che io abbia mai visto...

Molto di questa mio ricredermi credo di doverlo alla direzione d'orchestra di Christopher Franklyn che ha saputo dosare i suoni, senza perdere i colori, enfatizzando i momenti cruciali, arrivando a qualche clamore che la vicenda richiedeva, ma mantenendo volumi controllati e mai forzati. A parte alcuni passaggi più acuti cantati da Werther, durante i quali ho trovato il suono dell'orchestra molto, troppo forte ed ho avuto l'impressione che fosse "un aiutino" per sostenere il tenore che appariva stanco e in difficoltà. Infine, a mio modestissimo parere, nel primo atto gli archi erano troppo protagonisti, ma ho trovato l'Orchestra del Verdi in gran forma. Veramente!

Venendo ai protagonisti, metto al primo posto la Charlotte di Olesya Petrova, potente mezzosoprano, dal timbro caldo e fraseggio molto chiaro: mi è piaciuta molto la sua interpretazione e la presenza scenica, nonostante al suo primo ingresso in platea si fosse percepito qualche risolino...è vero, un certo tipo di fisicità è inadeguata a quello che dovrebbe essere il corpo di una soave, bellissima fanciulla e stiamo diventando sempre più sofisticati e pretenziosi rispetto all'immagine ed alla credibilità che ci aiuta a leggere un personaggio.
A pari merito una strepitosa Sophie interpretata da Elena Galitskaya, soprano leggero dal timbro cristallino e dalla freschissima interpretazione scenica.
L'Albert di Ilya Silchukov era al terzo posto delle mie preferenze, nonostante il suo personaggio sia tutt'altro che affabile o simpatico: vocalmente gradevole, tecnicamente sicuro, teatralmente convincente.
Il Werther di Luca Lombardo mi è sembrato molto professionale ma in continuo calo dal primo all'ultimo atto: forse stanchezza...non so. Convincente scenicamente, anche interessante vocalmente, ma proprio calante nella resa.
Bene Le Bailli di Ugo Rabec e adeguati tutti i comprimari.
Presenti e puntuali "I Piccoli cantori della Città di Trieste" diretti da Cristina Semeraro.

Uno spettacolo che, per quanto mi riguarda, mi ha fatto scoprire una nuova opera, che mi ha regalato delle emozioni e che ha conquistato la mia vista.

Teatro pieno, tanti giovani (finalmente più interessati al mondo dell'opera), applausi in crescita.

giovedì 26 novembre 2015

PEER GYNT 24 novembre 2015

Locandina dello spettacolo 

Raramente incontro un vero talento, o perlomeno quello che a me appare come tale. Ma quando lo incontro, mi emoziono e lo celebro con la massima devozione possibile.
Il talento che mi urge celebrare è quello di Edward Clug, un coreografo di orgini rumene che dirige la SNG di Maribor dal 2003. La sua visione della danza è stata, all'inizio della sua carriera coreografica, molto nervosa, fatta di piccoli movimenti scattanti, quasi nevrotici, permeata da una certa tensione di fondo, da una tetra malinconia. Quanto tempo sia passato dalle prime coreografia (Tango e Radio&Juliet) è facilmente percepibile da questo sua ultima, recentissima creazione: il tratto è diventato più disteso, ha affinato la capacità di raccontare una storia ed è capace di sorprendere continuamente il pubblico, con momenti ironici ma anche intensi, padrone di un linguaggio coreografico personale e molto musicale.


Questo Peer Gynt andato in scena allo Cankarjev Dom di Lubiana, grazie ai complessi artistici dell'Opera di Maribor, è a mio avviso, la summa delle capacità artistiche di Clug, una sorta di manifesto del suo universo creativo, nonchè un vero chef d'oeuvre.

Raccontare una storia complicata come quella che Henrik Ibsen ha concepito per far vivere il giovane e scapestrato Peer, è difficilissimo, tant'è che lo stesso autore lo aveva scritto in versi, destinandolo alla lettura, non alla messa in scena.

Complicato anche perché la vicenda si svolge in numerosi luoghi, diversissimi tra loro: in Egitto, in Norvegia, in un bosco, nel buio più assoluto, tutte situazioni che richiederebbero infiniti cambi di scena. Edward Clug riesce nel compito ancora più arduo, di rendere tutto questo usando un'arte muta, la danza. Eppure riesce a farci capire perfettamente l'umore, il pensiero e gli stati d'animo della madre di Peer Gynt, delle donne che ama e abbandona, dell'uomo che cerca di ucciderlo con un'accetta, della morte che lo aspetta e da cui lui riesce a liberarsi, del passare del tempo, della follia. Sembra tanto, e lo è, ma le due ore di spettacolo filano via veloci e indimenticabili, aiutati dalla bellissima musica di Edvard Grieg che l'Orchestra e il Coro della SNG di Lubiana hanno eseguito con maestria e sensibilità. Merito anche della direzione orchestrale di Simon Robinson, attento a non sovrastare la scena ma neanche a sottostare alla danza. Ringrazio ed elogio anche Maja Gombac per il tocco leggiadro ma incisivo nel grande protagonismo che il pianoforte ha in questa partitura.

Vi allego un link al video dello spettacolo presente su YouTube che da un'idea ma, credetemi, è molto riduttivo e sottolinea solo quella certa nervosità della danza di Clug: lo spettacolo intero è tutt'altro. Ma mai come questa volta ho bisogno di qualche immagine che mi aiuti a raccontarvi le tante, infinite suggestioni che Clug ci regala. Andate a vederlo in una delle tante date che farà in Slovenia e presto anche in Italia.
Bellissime le scenografie di Marko Japelj: essenziali ma tutt'altro che scarne, con il bellissimo anello del primo atto, la montagnola che riappare nel secondo e il bellissimo aeroplano/giostra per bambini che strappa sorrisi a tutti gli spettatori. Interessanti e adeguati anche i costumi di Leo kulas.

Peer Gynt è lo strepitoso Milos Isailovic, cui Clug regala un bellissimo assolo, dopo la scena dell'ospedale nel secondo atto: forte, presente, duttile, affascinante, generoso...danza con tutto se stesso, come se fosse la prima rappresentazione o come se non ci fosse un domani...bravissimo! Ma tutta la compagnia è in forma, in grandissima forma. Ancora più svecchiata, piena di personalità originali e diverse tra di loro, che la rendono unica: dovrei citare tutti gli interpreti, ma proprio tutti, e allora vi rimando direttamente alla locandina dello spettacolo dove sono citati, sottolineando semplicemente che sono stati strepitosi dal primo all'ultimo. 

Grazie Edward! Mi hai fatto conoscere un'opera che conoscevo solo per la splendida partitura di Grieg: ora grazie a te, ho anche delle immagini da associare alle note...



domenica 8 novembre 2015

HEARTMEAT/CACTI 7 novembre 2015

Locandina dello spettacolo

Splendida nuova produzione della Compagnia di balletto dell'Opera di Lubiana, composta da una prima assoluta e da una ripresa. Sono veramente molto felice di come Sanja Neskovic Persin sta conducendo la compoagnia slovena. I danzatori sono vitali, efficenti, stimolati ed hanno perso l'aspetto polveroso filo sovietico di una decina di anni fa...

Sono personalmente molto contento di aver visto il debutto della prima parte di questo dittico intitolata The Heart of the Meat firmata da Rosana Hribar e Gregor Lustek. Contento perché hanno fatto un ottimo lavoro e personalmente perché li ho invitati nel 2010 nel festival che dirigevo al Politeama Rossetti di Trieste, dimostrando un certo fiuto... ;-) (Perdonatemi, ma se non mi complimento da solo...)


E' una coreografia dove la fantasia regna sovrana, accompagnata da alcune delle pagine musicali più famose e più toccanti. Ruffiano direte. Si, un po'. Ma che male c'è? Correva via liscio come l'olio, lasciava spazio alle nostre proiezioni personali, era danzato splendidamente dall'intera compagnia,  aveva il supporto di un disegno luci da urlo e splendidi costumi ad opera di Branka Pavlic


 Vedere uno spettacolo di danza accompagnato da un'orchestra è sempre più un lusso.
In questo caso sentirli passare da Chopin a Bela Bartok, da Offenbach a Ravel, fino a Prokofiev e Rachmaninov è ancora più insolito. Qualche brano era suonato in palco dai vari solisti (li trovate nella locandina dello spettacolo, ma vorrei almeno citare la sensibile esentita interpretazione di Marjan Peternel che suonava l'andante cantabile dalla Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov) mentre altre arrivavano dalla buca d'orchestra, guidata con attenzione ed eleganza da Ziva Ploj Persuh.


 L'apertura era affidata al Bolero di Maurice Ravel, durante il quale gli interpreti procedevano senza soluzione di continuità, danzando sulla diagonale che attraversava il palco, disegnata dalle bellissime luci di Jasa Koceli che nascondeva, evidenziava, supportava i danzatori.

Tutti in gran forma e degni di essere paragonati ai più noti colleghi delle compagnia delle grandi capitali. Nulla hanno da invidiare alla qualità dinamica e di temperamento dei tanto (giustamente) osannati danzatori di Kylian, tanto per sparare alto. Sono fuidi, veloci, precisi (ho visto una sola danzatrice traballare tenendo una arabesque a pied plat in tutto il corso della serata...mica male!).

Seguiva un momento onirico in cui dei danzatori trainavano in scena una gondola che ospitava Nerina e Rebeka Radovan, interpreti della celeberrima Barcarole di Offenbach, di rosso vestite, con il lago di Bled sullo sfondo....lo spettacolo proseguiva così, saltabeccando da una scena ad un'altra, da un'immagine teatrale ad una cinematografica: impossibile raccontarlo senza togliervi la sorpresa visto che dovrete andarlo a vedere.

Cito ancora con piacere lo splendido duetto danzato dagli intensi Rita Pollacchi e Petar Dorcevski, così tipicamente nello stile Hribar/Lustek: bravi!


Il secondo brano in programma è una novità per la compagnia, ma è una coreografia ultra nota creata da Alexander Ekman, svedese, nel 2010. Altro pezzo dove la fantasia del creatore viaggia veloce e lontana, consentendoci di volare con lui, sorridendo, anzi proprio ridendo, come nel delizioso duetto danza/voce: mentre i danzatori lo eseguono le loro voci registrate commentano i vari passi, la loro esecuzione e il gradimento personale o meno di quel passaggio o del partner...fantastico! Ad interpretarlo l'inossidabile Petar Dorcevski e la fresca Kristina Aleksova.

Anche qui è impossibile una cronaca pedissequa di quanto ho visto ma tra piccole pedane mobili usate in tutti i modi possibili (l'inizio ricorda molto una celeberrima coreografia di Jirj Kylian), gatti che cadono dalla graticcia, luci nuovamente protagoniste e meravigliose (stavolta ad opera di Thomas Visser), cactus di varie forme, parlati non sense e chi ne ha più ne metta.



Di nuovo la compagnia di Lubiana ne esce a testa alta. Altissima. 


Serata consigliata, consigliatissima che replica a Maggio 2016 il 24, 25 e 26: avete tutto il tempo per prenotare ed organizzarvi!




venerdì 16 ottobre 2015

ORFEO ALL'INFERNO 13 ottobre 2015

Locandina dello spettacolo
Se avessi scritto di questo spettacolo alla fine del primo atto ne avrei scritto molto bene. Se lo avessi fatto alla fine del primo quadro del secondo, lo avrei fatto con meno entusiasmo. Alla fine dello spettacolo ne scrivo con parecchie perplessità.

E mi dispiace. Tanto. Perché non credo che la lirica oggigiorno abbia bisogno di cattive recensioni...


Sono tutt'altro che contrario alle rivisitazioni, agli aggiornamenti, agli svecchiamenti. Credo che un nuovo pubblico e i giovani possano essere più facilmente catturati con delle messe in scena più vicine al loro vissuto oppure assolutamente museali. Ma l'operazione pensata da Vito Taufer per questo Orfeo all'inferno di Jacques Offenbach, in scena a Lubiana per la SNG, alla fine l'ho trovata di dubbio gusto.

Era deliziosa l'idea di ambientare l'inizio di questa operetta in quella che sembra una landa americana dipinta da Edward Hopper, con tanto di grano spigato e coloratissima arnie; molto piacevole anche l'Olimpo fumettistico (veramente belle e interessanti le scenografie e i costumi di Samo Lapajne) dove i coristi sono seduti dietro dei banchi di nuvole che a volte li coprono ed altre li svelano. Ma già l'inizio del secondo atto, ambientato nel boudoir di Plutone, era discutibile per la presenza del personaggio di John Styx, vittima di un priapismo goffo e inutile, anche per l'avanspettacolo italiano del dopoguerra. Peggio ancora l'inferno, dove il coro si aggirava per la scena agghindato come i partecipanti ad un festino leather, i poveri danzatori esibivano 25 cm (credo) di pene eretto in gommapiuma, con il quale spesso si sollazzavano, seduti a terra a gambe divaricate, mentre le danzatrici di rosso vestite erano chiuse in alcune gabbie: probabilmente l'immagine più sensuale e accattivante. E chi mi conosce sa che sono sboccato e l'ultimo dei moralisti. Ma questa messinscena non l'ho trovata né provocatoria, nè divertente. Solo di dubbio gusto.
A parte ciò la regia era molto curata, piacevole, ricca di spunti.


Venendo alla musica, l'Orchestra della SNG di Lubiana ha suonato correttamente e con slancio, guidata dalla mano conosciuta e familiare del Maestro Marko Gašperšič. Ho trovato la compagnia di canto un po' disomogenea, tipico dei teatri dove i cantanti sono fissi per tutta la stagione e non tutte le opere da cantare sono nelle loro corde.
Ho trovato deliziosa l'Euridice di Martina Burger, soprano leggero con qualche problema nel registro grave dove si ingola e si riesce a malapena a sentirla, ma di grande bellezza e con un'ottima presenza scenica.

Meno avvincente scenicamente ma sicuro nella linea di canto il tenore Andrej Debevec che ricopriva il ruolo di Orfeo. Gradevole sia scenicamente che vocalmente il Giove di Darko Vidic, affiatatissimo con Martina Burger nel duetto della Mosca.
Degli altri comprimari ho detto poc'anzi. Chi meglio, chi meno ma tutti si sono spesi per tenere alto l'onore (?) di questo spettacolo: i loro nomi li trovate nella locandina allegata all'inizio di questa recensione e un plauso generale li investe tutti.

Molto bene il Coro diretto da Zelika Ulcnik Remic, bravissimi nel mettersi in gioco scenicamente e nell'indossare i costumi del secondo quadro del secondo atto che di certo non li valorizzavano... Affiatati e bravi anche nella vacalità.
I poveri danzatori, pur bravi, sono stati relegati nell'ombra e sminuiti al ruolo di erotomani...
Teatro poco pieno, pubblico abbastanza soddisfatto.




venerdì 4 settembre 2015

TURANDOT 1 settembre 2015

Locandina dello spettacolo

Difficile scrivere di questo spettacolo.
Innanzitutto vorrei ringraziare la direzione del Festival di Lubiana per aver programmato questa produzione di Turandot del Teatro Nazionale dell'Opera Cinese di Pechino che, altrimenti, chissà se avrei mai visto.
Detto ciò torno alle perplessità di cui sopra.
Dal punto di vista musicale è stata una bella, bellissima serata, ma la messa in scena è stata veramente scadente.

Una regia infantile, scollegata dal testo, priva di idee se non di pessimo gusto. Come l'ascensione al cielo di Liù: la poverina viene caricata dentro una specie di montacarichi per vivande con luce al neon; oppure la scenetta idilliaca della casa nello Honan con il suo laghetto blù per la quale un fondale retroilluminato svela qualche scenetta folkloristica con due donne ed un uomo, kitsch, inutile e orribilmente televisivo; o ancora le parti danzate di una inutilità e di una nonqualità inenarrabile.
Peccato.

Mi aspettavo di più dalla caparbietà e dalla capacità del popolo cinese di copiare i prodotti europei. E' vero che Turandot è a sua volta una scimmiottatura del loro mondo, della loro cultura, ma mi aspettavo un risultato, un frutto di questa introiezione, oppure una rivisitazione secondo il gusto autoctono. E invece una robetta, copiata male e senza gusto.
Peccato.

Musicalmente ho trovato l'Orchestra preparata e con un bel suono, che riusciva a riempire l'immensa Gallusova Dvorana dello Cankarjev Dom di Lubiana, piena in ognuno dei suoi 1400 posti. Anche la conduzione del Maestro Yu Feng è stata all'altezza della situazione, anche se talvolta un po' trattenuta e rallentata. E' riuscito bene anche nella gestione del palcoscenico in armonia con le voce, riuscendo a far arrivare tutti i mezzi fiati e gli smorzati, soprattutto quelli - bellissimi - di Liù.
Venendo ai cantanti il Calaf di Li Shuang è stato pienamente soddisfacente, all'altezza di tanti altri grandi nomi occidentali: raggiunge con facilità e buona tecnica il registro acuto con cui riesce a stravincere e a farsi amare dalla platea slovena; segue, in ordine di gradimento la Turandot di Wang Wei, potente comme il faut, scenicamente credibile, discreta pronuncia italiana; alterna la prestazione di Yao Hong come Liù: inizia bene con Signore, ascolta! ma convince meno nel Tu che di gel sei cinta...peccato perchè riesce a smorzare gli acuti con bellissima tecnica e lasciava sperare in meglio. Ottimi Ping, Pong e Pang, soprattutto il Ping di Geng Zhe, con bella e fluida voce baritonale.
Per nulla convincenti Timur e Altoum con voci insicure e fastidiosamente vibranti. Bene il Mandarin di Zhang Peng.

Scenografie con impianto tradizionale e qualche tocco di modernità a mio avviso malamente integrato, luci di dubbio gusto, costumi belli, curati in totale contrasto con il resto dello spettacolo.

Pubblico entusiasta.

lunedì 27 luglio 2015

EVOLUTION / ALESSANDRA FERRI 25 luglio 2015

Locandina dello spettacolo



Credo che sia stato il galà più raffinato cui io abbia assistito negli ultimi 40 anni: complimenti, Alessandra Ferri! 70 minuti di puro piacere, di gioia per gli occhi, di emozioni per l'anima...grazie!

Ero piuttosto spaventato all'idea del ritorno in scena di Alessandra Ferri: temevo che l'avremmo dovuta vedere - come qualche altra divina... - carrellata o parancata da una parte all'altra del palco, da qualche baldo e giovine danzatore in cerca di fama e visibilità. E invece, per fortuna, abbiamo visto tutt'altro. Questa Signora della danza continua ad avere un corpo adolescenziale e ce lo declina in tutte le mise possibili. Stesso dicasi per gli stili di danza: dalla classica al tacco, dal contemporaneo al destrutturato. Però, forse, in merito a questo, un pensiero in più avrebbe potuto farlo.

Apre la serata il temibile Rhapsody di Sir Frederik Ashton. Herman Cornejo ci delizia per presenza virile e per la sicurezza della sua tecnica. Qualche accordo di introduzione e...appare lei, la Ferri. Ero pronto a scattare con un applauso tale era la gioia di rivederla in scena! Per fortuna mi sono trattenuto: il pubblico udinese si è dimenticato di come si dovrebbe ricevere una Signora...e il teatro è rimasto muto. Tristemente muto. Un po' anche maleducatamente.
I suoi piedi, quell'incredibile cou de pied, la purezza delle linee sono ancora lì e parlano oggi come allora. Il corpo è sottile ma forte. Eppure qualche incertezza, qualche titubanza ci fa rimpiangere la leonessa di qualche anno fa...forse era meglio lasciare il ricordo o farsi coreografare qualcosa di più personale...

Segue uno dei più bei duetti maschili che io abbia mai visto: Concerto 622 di Lar Lubovitch,
sull'omonimo concerto di Wolfgang Amadeus Mozart. Lo danzano lievemente, seppur non proprio fluidissimi, Craig Hall e Tobin Del Cuore. Dalla bellissima camminata iniziale, agli appoggi fuori asse utilizzando il corpo dell'altro come un puntello, o come una sdraio, fino ai tanti e leggerissimi lift...Lubovitch ha creato poesia e delicatezza, tensione e grazia: bellissimo...grazie!

Poi l'unica delusione della serata, un brano di cui voglio ricordare la bravura del danzatore, Daniel Proietto, l'efficace tuta laminata/paillettata ad opera di Stine Sjogren e le splendide luci di Martin Flack che ad ogni cambio riescono a trasformare il costume in qualcosa di magnifico e diverso. Peccato che la coreografia sembrava a malapena una sequenza di studio.

Di After the rain, che avevo visto solo in video, confermo la prima impressione: intenso e toccante, bella coreografia di Christopher Wheeldon, musica meravigliosa di Arvo Part, splendida interpretazione di Craig Hall e Alessandra Ferri qui veramente insuperabile, vincente anche nello scarno body color carne.

Il Trio da Awaa coreografato da Aszure Barton è energia nera allo stato puro. Appena si accendono le luci sul palco i tre magnifici danzatori - Johnathan Alsberry, William Briscoe e Jeremy Jae Neal - ci ricordano immediatamente qual è la razza superiore (se veramente ne esiste una): sensuali, musicalissimi, fatti di burro e acciaio; autoironico e strepitoso...bellissimo e bravissimi! Anche il pubblico la pensa allo stesso modo.

L'assolo A Mariner è magnificamente danzato da Tobin Del Cuore su coreografia della studentessa della Julliard School di New York Katarzyna Skarpetowska, ma non lascia un segno particolamente incisivo, quantomeno nella mia memoria.

Arriva il momento di Sinatra Suite di Twyla Tharp. Non mi piaceva negli anni 80 e contunua a non piacermi. Non credo che sia stata una scelta appropriata da parte di Alessandra Ferri: voleva farci vedere anche questo suo aspetto, la capacità di danzare sui tacchi, di essere frivola...ma qualcosa non funziona. I magnifici piedi di cui sopra, in quel tipo di scarpe, perdono qualunque fascino e sembrano quasi deformi; lo stile di danza è totalmente demodé; la mimica è forzata e il pretestuoso canovaccio è veramente troppo futile per essere credibile. Peccato perché sia la Ferri che Cornejo sono indiscutibilmente strepitosi.

In crescendo verso il finale arriva il momento del bellissimo Pacopepepluto - appena passato anche a Trieste con la Hubbard Street Dance Company - creato con rara maestria, arguzia ed intelligenza da Alejandro Cerrudo su canzoni di Dean Martin e Joe Scalissi. Lo danzano in una penombra che ci costringe a scrutare i loro corpi coperti soltanto da un perizioma, trasformandoci in voyeurs: loro sono scultorei ma enormemente plastici, come ogni danzatore dovrebbe essere....ma ogni tanto me lo dimentico! Grazie a Johnny McMillan, Tobin Del Cuore e Jonathan Fredrickson: bravi!

Chiude la serata il bellissimo terzo duetto da Le Parc di Angelin Preljocaj, celeberrimo balletto nel repertorio di quasi tutte le maggiori ompagnie internazionali. Di nuovo la Ferri è totalmente a suo agio con il suo talento interpretativo drammatico: è intensa, fluida, ammaliante. Il lungo bacio volteggiante resta un momento indimenticabile ad ogni visione. Qui era supportata da un Herman Cornejo perfetto nel ruolo e anche nello stile.


Bella la scelta di non interrompere il climax della serata, evitando la ribalta per gli applausi: ogni brano fluisce naturalmente nel successivo e conserva la potenza fragorosa che si sviluppa alla fine della serata, costringendo tre aperture di sipario con relativa ronda di ringraziamenti.

Un piccolo quesito: capisco che il Teatro Ristori di Cividale non abbia dimensioni adeguate, ma che senso ha fare date del Mittelfest a Udine?!? Non sarebbe più giusto usare il Comunale di Cormòns o qualche altro spazio più vicino a Cividale e alla natura del Festival?

venerdì 17 luglio 2015

ROMEO&JULIET 14 luglio 2015

Locandina dello spettacolo

Non posso smettere di ringraziare il direttore artistico del Festival, Darko Brlek, per aver proposto questa versione di Giulietta e Romeo che non avevo ancora mai visto. E' stata un'interessantissima visita al museo della danza, per scoprire la prima versione che Leonid Lavroski, Sergej Prokofjev, Sergej Radlov e Adrian Piotrovski avevano scritto assieme nel 1940.
Il lavoro di regia, di cesello della mimica, di costruzione degli assiemi e di ricerca delle danze popolari italiane è incredibile: al giorno d'oggi siamo abituati a vedere danza unisona fatta da splendidi danzatori, ma ci siamo persi per strada l'aspetto prettamente teatrale del raccontare una vicenda. Sin dall'apertura del sipario in questa versione invece, è molto evidente. Ad iniziare da due danzatrici che interpretano due bambinetti/mendicanti, per proseguire con i popolani che lentamente riempiono la scena, raccontando ognuno il proprio personaggio, per concludere con il maestoso duello che pervade tutta la piazza in un crescendo infinito. Tutto è facilmente leggibile e ci trasporta realmente in quegli anni, in quella situazione, in quel dramma.

Una grande compagnia, come lo è questa del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo ha ragione a tenere in vita un gioiello così prezioso, anche se è stato riposto in cassaforte per tanti anni. Onore e gloria, ripeto, al Festival di Lubiana che ci regala una perla tanto preziosa, nella cornice prestigiosa dello Cankarjev Dom, con tanto di Orchestra dello stesso teatro.
Questa è stata un'altra graditissima sorpresa: piacevole, in primis, per quanto è sempre ascoltare musica così meravigliosa suonata dal vivo; e poi per la bravura, la precisione, l'impegno e la forza con cui i professori suonano la partitura di Prokofiev. In Italia, ogni volta che un'orchestra deve accompagnare la danza, la vive come una occasione minore, di musica di serie B: avrebbero dovuto essere con noi per sentire con quale trasporto il Direttore Boris Gruzin li ha guidati e coinvolti. Bravi!

Venendo alla danza, il livello della compagnia è tale che è difficile trovare punti negativi.

Vorrei solo sottolineare che, dal punto di vista coreografico, il linguaggio di Lavorski soffre di una povertà compositiva e di una datazione facilmente intuibile, che viene sopraffatta dalla potenza della musica di Prokofiev. Non sarà un caso che la partitura sopravvive ancora, e questa versione coreografica no. Non so quanti grand jetée e piquée arabesque eseguono i primi ballerini: non li ho contati, ma non ne potevo più. I passi a due sono piuttosto scontati, con pochissimi lift; le scene d'assieme sono la parte più convincente insieme alla Danza dei jongleurs che rivivacizza il secondo atto. Siamo solo dispiaciuti per la bravura dei danzatori che avremmo voluto vederli danzare una partitura più interessante!
La nostra Giulietta era Jekaterina Osmolnikova, deliziosa e curatissima, Romeo era l'elegante Maksim Zjuzin, entrambi solisti e non Principal della compagnia; Mercuzio era Aleksej Timofejev, Tebaldo Dmitrij Pikacov, Benvolio Aleksej Nedvriga e Paride Jurij Smekalov. splendidi tutti i danzatori, dal primo agli ultimi.
Luci, scene e costumi non erano assolutamente all'altezza della qualità della danza.
Teatro abbastanza pieno, tanti applausi


lunedì 20 aprile 2015

BALLETBOYZ 14 aprile 2015

Locandina dello spettacolo

Sono 10 gioielli, 10 pietre preziose, questi prodi e splendidi danzatori che formano la compagnia Ballet Boyz di stanza nel Regno Unito. Sanno essere leggeri come l'aria, forti come il ferro, ruvidi come il legno, lisci come l'acqua, caldi come il fuoco, sinuosi come il vento...sono veramente dei fenomeni della natura: fantastici!

Mi sembrava giusto aprire questa recensione parlando di loro, visto che sono i veri protagonisti e l'aspetto più interessante di questa serata. Peccato che ci fosse poco pubblico ad applaudirli...anche se i presenti hanno saputo essere molto calorosi. Ma è il problema degli spettacoli di danza contemporanea, dei titoli che non esercitano grande richiamo e delle compagnie che non si avvalgono di grandi nomi...

È una bella idea quella dei direttori artistici della compagnia, Michael Nunn e William Trevitt, di fondare un ensemble tutto al maschile e di far creare un apposito repertorio da coreografi interessati al progetto.

La prima coreografia Mesmerics e di Alexander Whitley mi è sembrata la più interessante nel dittico che ci hanno proposto. Piena di tensioni emotive, coreograficamente ricercata, ispirata alle formazioni che gli storni compongono istintivamente, è frutto di un giovane talento della coreografia britannica, ancora in forza come danzatore al Royal Ballet di Londra. I danzatori indossavano semplici magliette o canottiere, alcuni lise e sbiadite, come a sottolineare che l'importante è il contenuto della danza e non la forma. Bellissimo anche il light design ad opera di Jackie Shemesh e la musica di Raim.


Il secondo brano di Christopher Wheeldon, intitolato The Murmering, si riscatta con un movimento finale di rara bellezza, mentre la parte iniziale sembra essere solo una preparazione, un'introduzione ai temi che verranno poi sviluppati, ma per essere solo questa è troppo lunga e frammentata. Forse è anche troppo "classico" e di linea per questi danzatori. L'ipnotica musica di Philip Glass si sposa benissimo con i movimenti che Wheeldon propone ai suoi danzatori, aggiungendo un quid di classe e raffinata matematica. Molto belli i costumi di Amanda Barrow che seguono la danza fino a diventare quasi dei gonnellini durante gli chaines dei danzatori

Insomma, molte grazie al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per averci regalato un altro bellissimo spettacolo; qualche rimprovero al pubblico triestino per aver così poca voglia di rischiare e molti complimenti a Nunn, Trevitt e ai loro fantastici danzatori