martedì 28 giugno 2022

WEST SIDE STORY lunedì 27 giugno 2022

 Locandina dello spettacolo 

La prima di West Side Story ha avuto anche il pregio di farci fare un tuffo nella dimenticata normalità, riportandoci all'assenza di distanziamenti e mascherine: la platea del Krizanke era festante e gremita all'inverosimile!

L'opera composta da Leonard Bernstein per quanto riguarda la musica, con libretto di Arthur Laurent e parole di Stephen Sondheim, è un capolavoro assoluto del teatro musicale americano del secolo scorso. La grandezza della musica di Bernstein racconta, anche ascoltandola ad occhi chiusi, lo svolgersi della vicenda, sottolineando i caratteri dei personaggi e lo svolgersi della vicenda, laddove le parole possono risuonare talvolta un po' datate. Il libretto non può fallire basato com'è sulleterno dramma d'amore di due amanti infelici.

La versione cui abbiamo assistito è ad opera di Mykal Rand, affermato artista multisettoriale basato a Londra, che ne firma regia e coreografie. Sembra diventato quasi un vincolo ormai, quello di trovare un regista anche coreografo, quando potrebbe essere più semplice tornare a due figure distinte, come per la gestione Robert Wise/Jerome Robbins, della versione cinematografica di riferimento. 

Venendo alla regia, ne apprezzo la buona artigianalità che in un solo mese di allestimento ha saputo essere logica, curata e molto fedele all'allestimento di riferimento. La parte meno riuscita sono le coreografie, con qualche intromissione hip hop fuori epoca, e troppo tecnica specialmente per i portoricani nella scena epica di America. Indubbiamente competere con il genio di Jerome Robbins, che è riuscito a creare sequenze ancor oggi attuali, è impresa titanica.


L'apparato scenico in cui prende vita lo spettacolo è mastodontico ma non particolarmente originale ed è firmato da Jason Denvir. È praticabile su due piani e riproduce perfettamente le architetture newyorkesi in cui si svolge la storia contemporanea di Romeo e Giulietta: cortile della scuola, spazio urbano o sfondo, meno riuscito, per le scene da interno. Suoi anche i costumi che non si fanno notare particolarmente e quindi giusti, visto che l'ambientazione non è certo rappresentativa della vita di persone agiate o di un particolare periodo storico. Splendido il disegno luci di Andrew Exeter che riesce a creare intimità laddove la scenografia non può e che esalta le scene corali, donando profondità alla struttura. 

Questa produzione conferma la tendenza degli ultimi anni, in cui a spiccare maggiormente è il comparto maschile. Abbiamo visto svettare su tutti il Tony di Adam Felipe e il Riff di Christopher Parkinson. Se Felipe è un cantante dal naturale timbro tenorile e un gradevole attore, Parkinson aggiunge a queste anche la capacità di essere un ballerino di grande talento. Bravi! Accattivante l'Action interpretato da Travis Ross. Bene tutti gli altri protagonisti Fernando Mariano, Alex Abad Cabedo e il resto degli artisti. 

Venendo al comparto femminile la Maria di Rosalia Morales era deliziosamente fresca ma quando la sua voce sale diventa fastidiosamente di testa per i miei gusti. Equilibrata e brava a tutto tondo - anche se l'avrei preferita più fiammeggiante - l'Anita di Philippa Stefani. Bene le altre interpreti anche se meno evidenti-

L'Orchestra Sinfonica Slovena della RTV ha suonato benissimo una partitura tutt'altro che facile, specialmente nel reparto dei fiati e delle percussioni. La guida di Michael Bradley deve essere stata preziosa per dirimersi in un territorio così impervio!

Lo spettacolo replica fino al 1° luglio e può essere una buona motivazione per fare una gita a Lubiana! Purtroppo non sono ancora disponibili foto di scena: le aggiungerò appena possibile...



sabato 25 giugno 2022

LE CORSAIRE giovedì 23 giugno 2022

Locandina dello spettacolo  

Finalmente sono riuscito a vedere questa produzione de Le Corsaire commissionata dalla direzione artistica della SNG di Lubiana nell'infausto 2020 e andata in scena a singhiozzo per le continue sospensioni causa pandemia...

José Carlos Martinez, per chi di voi non lo conoscesse, è stato un "insolito" primo ballerino dell'Operà di Parigi. Insolito perché grande virtuoso pur essendo un ballerino di linee. Generalmente i ballerini della sua generazione dalle lunghe linee liriche non erano dotati di gran tecnica virtuosistica maschile. Ecco perché lo definisco insolito e spero di essermi spiegato meglio. Dopo essersi congedato come danzatore, ha diretto a lungo la Compagnia Nazionale di Danza spagnola per poi diventare coreografo freelance. In  questa veste ha rimontato a Lubiana la sua versione de Le Corsaire. Non sono uno storico della danza ma credo che sia un altro di quei titoli che ha avuto numerose riletture classiche che io stesso, ballettomane impenitente, faccio fatica a ricordare e a distinguere. La versione di Martinez ha il pregio di cercare di rimettere un po' di ordine e logica in tante stratificazioni culturali e non, che affiorano confusamente nel nostro immaginario quando pensiamo a questo titolo. Ho trovato vincente l'idea di spostare il grand pas de deux nel sottofinale e di riportarlo ad essere tale e non più col terzo incomodo... La vicenda di Conrad, il corsaro, innamorato di Medora, venduta al mercato delle schiave, è ben raccontata, meglio di quanto visto in altre versioni, anche se non possiamo definirlo un balletto narrativo. E per essere un ballet d'action gli manca un po'...di action! (Ho sofferto molto nel non vedere il pas de trois delle odalische ma solo una citazione dell'adagio dello stesso). Ma al bando le catalogazioni perché nel complesso è comunque un'operazione riuscita. Un sostegno notevole lo offre Inaki Cobos Guerrero che firma i meravigliosi costumi: veramente di una bellezza indimenticabile! Meno coinvolgenti le scene di Matej Filipcic e poco incisive, rispetto alle capacità cui ci ha abituati, le luci di Jasmin Sehic.





La mia adorata piccola compagnia slovena danza questa produzione con la solita limpidezza e solerzia. Certo, volendo affrontare produzioni con atti bianchi - anche se questo era di un bellissimo rosa - il direttore Zanella dovrà pensare ad uniformare un po' di più le fila del corpo di ballo femminile, troppo sparigliato per affrontare il rigore di simmetrie e disegni geometrici.  L'assieme è una costante sempre presente e portante e un bravo va a tutti i maestri ripetitori che mi sembra giusto citare almeno per una volta: Viktor Isajcev, Mojca Kalar Simic, Olga Andreeva e Stefan Capraroiu. Delicatissime e deliziose le danzatrici del corpo di ballo nella coreografia delle schiave nel primo tempo.




Andando ai protagonisti ho trovato Yaman Kelemet, una Medora incredibilmente cresciuta e maturata: splendido controllo dei suoi non facili piedi, espressiva presenza e allure da vera Prima Ballerina, brava! Qualche piccola incomprensione nel passo a due finale e nei fouettés della coda hanno solo lievemente ombreggiato una prestazione di ottimo livello. Il Conrad di Yujin Muraishi mi ha fatto temere per la sua incolumità in diversi virtuosismi: sia nei doppi sauts des basque che nei tours en l'air in passé il suo corpo perde compattezza e allineamento. Peccato perché ha una gran tecnica mentre la presenza scenica è consona agli standard orientali. Non posso dire che Nina Kramberger sia il mio tipo di ballerina e affiancata alla Kelemet il confronto è ancora più duro, ma si difende. Sicuro di sè, affidabile e tecnicamente solido il Lankendem di Thomas Giugovaz. Presenti, freschi e forti i quattro corsari di Miu Kitabatake, Erica Pinzano, Matteo Moretto e Filippo Jorio. Lo stesso dicasi per Birbanto e la sua amica, Hugo Mbeng e Tjasa Kmetec. Abilissime nei sostenuti le tre odalische danzate da Chie Kato, Erica Pinzano e Tasja Serler.






Meraviglioso sentire nuovamente l'orchestra nel golfo mistico con la giusta ed equilibrata distribuzione del suono. La partitura, un po' troppo pasticciata per i miei gusti, è stata condotta da Mojca Lavrencic con occhio attento al palco e ai giusti tempi per i danzatori. Sala gremita di bambini, pubblico plaudente



mercoledì 15 giugno 2022

PAGLIACCI/AL MULINO martedì 14 giugno 2022

 Locandina dello spettacolo 

È una serata epocale, veramente indimenticabile quella che la direzione del Teatro Lirico Giuseppe Verdi ci propone in chiusura di stagione. Epocale perché abbiamo assistito alla prima esecuzione mondiale di un'opera incompiuta di Ottorino Respighi. Poi perché possiamo assistere a un titolo che non va in scena in questo teatro da quasi vent'anni. Infine per la durata alla quale neanche i più appassionati sono più abituati: tre ore e trentacinque minuti in teatro assomigliano ormai più a un sequestro di persona che ad una serata di spettacolo (lol!). La fortuna è che è un dittico che non passa inosservato e che le compagini artistiche erano di assoluto rispetto.




Apre la serata Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, assente sulle scene triestine e da 19 anni, che è una pietra miliare verista che non può, e non deve, mancare troppo a lungo nelle stagioni di un teatro d'opera italiano. L'allestimento  scenico di Paolo Vitale, i costumi di Giada Masi e la regia di Victor Garcia Sierra ridondano sul piccolo palcoscenico del massimo triestino, tra colori, masse artistiche e movimenti: i nostri occhi non possono che vagare per selezionare e comporre un proprio spettacolo, aspetto che prediligo sempre ad altri scarni allestimenti dove la focalizzazione è inevitabile, ovvia e guidata. Ma sono sicuramente le voci di tutti i cantanti, siano essi prime parti, coristi o voci bianche, a riempire la sala, note potenti di dolore impossibili da ignorare, e di preallerta al femminicidio che si compie davanti ai nostri occhi. Splendido lavoro creativo da parte di tutti, davvero.



Ho trovato la compagnia molto omogenea per qualità sia vocale che artistica: al Canio di Amadi Lagha, alla Nedda di Valeria Sepe, dal Tonio di David Cecconi al Peppe di Blagoj Nacoski, dal Silvio di Min Kim ai Contadini di Damiano Locatelli e Francesco Paccorini...bravissimi tutti! Lo stesso dicasi per il rimpolpato Coro del Teatro diretto da Paolo Longo, ancora insultato dal dover cantare con la mascherina, e quello de "I piccoli cantori della città di Trieste" diretti egregiamente da Cristina Semeraro. L'Orchestra del Verdi ha portato avanti una stagione in assoluto stato di grazia, senza sbavature in nessuna sezione e con suono netto e potente. Indubbiamente la giovane bacchetta del Maestro Valerio Galli deve aver infuso ancora più energia ai nostri...




Venendo Al mulino di Ottorino Respighi ascoltiamo musica sinfonica meravigliosa, appesantita da un libretto verboso e ridondante che forse spiega perché era rimasta così a lungo in un cassetto...ed è veramente solo la musica a tenerci incollati alle nostre poltrone: travolgente, ondivaga, suggestiva, potente. La regia  di Daniele Piscopo è molto curata ma viene impoverita da scene e costumi, sempre a firma del regista, che rende sì il misero ma confonde la narrazione con ambienti indefiniti e fallisce nel tentativo di trovare un effetto per l'improvvisa inondazione che dovrebbe portare via tutto il male nel finale. 



Anche qui la compagnia di canto è ragguardevole partendo dalla Aniuska di Afag Abbasova- Budagova Nurahmed al Sergio di Zi Zhao Guo, dal Nicola di Domenico Balzani al Pope di Cristian Saitta, dall'Anatolio di Min Kim alla Maria di Anna Evtekhova, dall'ufficiale di Blagoj Nacoski al Soldato di Giuliano Pelizon. Stacca di una lunghezza la bella prestazione di Francesco Cortese, cantante del coro triestino, in un piccolo ma efficace Solo: davvero bravo! Il resto dei suoi colleghi cantano in scena come deportati e in un bellissimo intervento fuori scena che fa da contrappunto al solo: momento musicalmente bellissimo! L'Orchestra è in questo caso diretta da Fabrizio Da Ros, artefice assieme a Paolo Rosato, del compimento di questa...incompiuta.

Serata storica, applausi scroscianti.

Piccola nota: il mio vicino di poltrona ha tossito per tutta la durata di Pagliacci, massacrando l'ascolto a me e ai nostri confinanti che si sono lamentati a più riprese: dov'è finito il buon senso di stare a casa se si sta male?!?