giovedì 25 maggio 2017

PAUL TAYLOR DANCE COMPANY 23 maggio 2017

Locandina dello spettacolo

Altra serata difficile e contrastata da raccontare.

All'apertura del sipario del Politeama Rossetti, abbiamo potuto vedere posizionati in varie pose alcuni tra i fisici più brutti che io abbia mai visto in 39 anni di frequentazione del mondo dello spettacolo...corpi tozzi, sproporzionati, trofici e anche grassi.
Lungi da me essere ossessionato da parametri di assoluta magrezza, che aborro ugualmente, ma andare a vedere uno spettacolo di danza vuol dire anche aspirare all'apollineo, sperare nel bello, sognare.
Niente di tutto ciò è stato possibile durante Mercuric Tidings la prima coreografia di Paul Taylor, che la sua compagnia ha scelto di portare a Trieste.
A distanza di 35 anni risulta un pezzo datato, veloce all'inverosimile, composto con un infinita serie di entrate e uscite che poco si imprimono nell'occhio dello spettatore.
Basato sulle sinfonie 1 e 2 di Franz Schubert e con i costumi (orrendamente indossati dai danzatori della compagnia) di Gene Moore.

Segue un brano ad opera di Doug Elkins che riesce a infondere una qualche emozione, soprattutto nel passo a due principale e nei duetti dove da voce a qualunque tipo di relazione: uomo-donna, donna-donna, uomo-uomo, bianco-nero, ecc. Già visto ma, almeno per me e il mio vissuto, delicato, ben descritto e sempre emozionante. Si intitola The Weight of Smoke, su musica di Justin Levine, Matt Stine e George Friderich Handel e costumi scontati di Karen Young.

Chiude la serata Promethean Fire, una coreografia di 15 anni fa (Paul Taylor ha 85 anni e continua a creare...) che è soltanto leggermente meno noiosa della precedente. I danzatori sono avvolti in calzamaglie nere e si muovono nuovamente all'impazzata in un turbinio di entrate e uscite, di piacevoli disegni coreografici e di insopportabili corsette old style. Per non parlare di tutto lo sfoggio della tecnica Graham, noiosa anche per noi che l'abbiamo studiata e veramente troppo datata. 
L'aspetto più fastidioso di questo manipolo di danzatori, con qualche minima eccezione, è la limitatezza atletica: non una posizione di danza giunge al suo massimo; una delle danzatrici cade dalla spalla del suo partner in un lift, francamente, piuttosto semplice; nulla viene raccontato o trasmesso....la sensazione è quella di aver assistito ad una performance di fine anno d un campus universitario americano...peccato.

Teatro pieno solo a metà, pubblico entusiasta. Forse avevo io la serata storta...

domenica 14 maggio 2017

LAGO DEI CIGNI 13 maggio 2017

Locandina dello spettacolo

Difficile trovare una chiave di narrazione per questa recensione...

Alla fine dello spettacolo mi sono detto che questa versione danzata solo con la mimica e la parte superiore del corpo non era male, aspettando fiducioso, però, di vedere quella fatta solo dalle gambe per poi mettere assieme le due immagini e farmi un'idea più precisa di Stasa Zurovac, il coreografo.
Ma non avevo letto le sue note sul sito del teatro.
E inizia il solito gioco di citazioni colte e rimandi che sembrano giustificare l'aria fritta.
Va bene, tutto può essere motivato ma se vado a toccare un feticcio come Il Lago dei Cigni poi non posso cavarmela con un vago "cercando di spiegare l'uomo" o "l'opposto, il riflesso dello specchio" per poi declinare due ore abbondanti praticamente di pura e solo pantomima...

Comunque, il risultato finale non è dei peggiori e il terzo e quarto atto aiutano a dimenticare la pochezza del primo e la confusione del secondo.
Del linguaggio coreografico ho già detto: interessante per quanto riguarda l'espressività del viso e del busto ma veramente misero per quanto riguarda le gambe: inesistenti salti, giri e lavoro di partnering... Oltretutto alla piccola compagnia di Fiume vengono affiancati una ventina di attori e qualche allieva (immagino, visto il livello molto basso) ma, ad esempio, sono gli interpreti delle danze solistiche del terzo atto...non so se mi spiego...

Le sei pretendenti del Principe nel terzo atto sono una delle parti danzate più interessanti, assieme all'ingresso in scena dei cigni (uomini e donne) del secondo e quarto atto, caratterizzate ossessivamente da cerchio e canone per piazzarsi in posa.
L'allestimento scenografico di Dalibor Laginja, le luci di Deni Sesnic e i costumi di Bjanca Adzic Ursulov sono invece interessantissimi e meriterebbero una coreografia riuscita e di qualità.

Passando agli interpreti Joseph Cane, con il suo viso angelico e il fisico da danseur noble, esce sempre indenne da queste strane produzioni del Teatro Nazionale Croato di Fiume; lo stesso si può dire per la professionalità e l'eleganza di Daniele Romeo; non riuscivo a staccare gli occhi dal meraviglioso port de bras di Svebor Sguric e dalla forza di Andrej Koteles. Ma il vincitore della serata è Ali Tabbouch che disegna un Rothbart con i fiocchi: bello, seducente, misterioso e intrigante e anche l'unico a sfoderare un minimo di tecnica nel 4° atto...bravo!

Evito intenzionalmente di parlare di Odette/Odile.
Strepitosa la Regina di cui però ignoro il nome.
Insopportabili ai miei occhi, come in qualunque versione, il giullare in questo caso (cruda sorte!) raddoppiati!

L'Orchestra del HNK Ivan Zajc di Fiume suona con buona volontà ma i colori e le sfumature decise dal Direttore Matija Fortuna, virano troppo spesso sul bandistico con un risalto veramente esasperato e fastidioso  degli ottoni.
Teatro pieno.



martedì 9 maggio 2017

FAUNO/CARMEN/WALKING MAD 9 maggio 2017

Locandina dello spettacolo


No, la danza non riempe i teatri, no.
La Gallusova Dvorana di Lubiana è una immensa sala con 1545...saremo stati in 1500...no, la danza non riempie i teatri, no.

Abbiamo assistito anche ad una bellissima serata di spettacolo grazie al Balletto della SNG di Maribor. La serata era un trittico composta da Prélude à l'après-midì d'un faune, Carmen e Walking Mad, intelligentemente venduto come Bolero...

Il Faun così come è stato rititolato dal coreografo Edward Clug è il brano che meno mi ha convinto. Mi piace molto lo stile di Clug e ho trovato il suo Peer Gynt meraviglioso, ma in questo caso la partitura così romantica di Claude Debussy, cozzava malamente con lo stile sempre molto nevrotico e velocissimo di Clug. Peccato.
In scena i superbi Gaj Zmavc e Tetiana Svetlicna, fluidi, potenti ed accattivanti.


















Valentina Turcu, coreografa della seconda coreografia in programma, è stata brava, ma così brava da meritare un successo ancora più importante di quello che ha avuto finora: glielo auguro di tutto cuore.

Questa Carmen, basata sulla rilettura di Rodion Scedrin della partitura di Georges Bizet, è un piccolo gioiello che meriterebbe di essere visto da molti.
Non solo riesce nella difficilissima operazione di farci dimenticare le sequenze ideate da Alberto Alonso e immortalate per l'eternità dalla grandissima Maya Plisetskaja, ma è capace di narrarci la storia secondo un canovaccio drammaturgico originale e leggibilissimo, cui si aggiunge solo la morte di Zuniga ad opera di Don José


Il linguaggio coreografico è neoclassico, ed è pieno di dettagli, di sfumature e di piccole, grandi trovate. Avevo visto e apprezzato il suo Giulietta e Romeo di un paio di anni fa, ma qui devo dire che ha veramente fatto un gran balzo qualitativo in avanti.
Complice anche un allestimento semplicissimo ma di grande effetto creato da Dinka Jericevic: quattro grandi tavoli neri, serigrafati con delle immagini che possono sembrare rose o carne umana, e un tappeto di rose rosse in proscenio. Solo le quinte, senza il fondale e il brillante, musicalissimo disegno luci di Aleksandar Cavlek. Semplici ma d'effetto i costumi di Michal Negrin e Vesna Novitovic.
Carmen è stata una brillante Jelena Lecic, dal raffinatissimo uso delle punte, scenicamente incisiva e con splendide linee.
Ho trovato il Don José di Anton Bogov prestante ma con un'enfasi un po' troppo alla Grigorovich...
Sempre valido Sergiu Moga stavolta come Toreador che dispensa tecnica e presenza con generosità.
Molto bene il resto della compagnia presente e affiatata come sempre.


Dopo l'intervallo, la chiusura della serata era affidata a Walking Mad di Johan Inger, brano che ho molto amato, contrariamente ai suoi Bliss e Rain Dogs  che ho visto due settimane fa al Rossetti di Trieste e che avevo trovato datati e scontati.
Questa coreografia deve molto al muro scenografico, ideato come i costumi sempre da Inger, che spinge, sostiene, separa gli interpreti e le situazioni. Difficile raccontare e farvi credere che un muro (potete vederlo nelle foto anche nella sua trasformazione in pedana) possa essere il protagonista di una coreografia, eppure è così. Riesce anche a commuovere in qualche momento. O a creare suspance come quando una danzatrice ci si schianta contro e lui si piega ad angolo retto, costringendo anche il direttore d'orchestra a sospendere l'esecuzione del Bolero (sospensione voluta, ovviamente). Una coreografia che riesce a far ridere, a sognare, ad incupire....
Strepitosi tutti gli interpreti che doverosamente (e volentieri) cito: le tre fantastiche donne Olesja Hartmann Marin in bianco, Asami Nakashima in rosso e Tijuana Krizman Hudernik in marrone e i super uomini Matjaz Marin, Filip Juric, Yuka Omaki e Mircea Golescu capitanati da Gaj Zmavc e Sytze jan Luske.

Molto bene l'Orchestra della SNG di Maribor, guidata dalla mano esperta di Simon Robinson, uno dei pochi direttori che ho visto guardare più la scena che l'orchestra: grazie a nome di tutti noi danzatori!!