martedì 9 aprile 2019

OTELLO martedì 2 aprile 2019

Locandina dello spettacolo

Ho sempre molta gratitudine, personale e professionale, per Walter Mramor, direttore artistico della a.Artisti Associati di Gorizia e della stagione teatrale di Cormons, per la scelta di dedicare una finestra costante, anno dopo anno alla coreografia italiana d'autore. E' quindi anche grazie a lui se questo spettacolo approda in regione, in questa versione che deriva direttamente da quella originale del 1994, creata per il Balletto di Toscana, fucina di talenti e di un nuovo modo di danzare in questo paese.

Il coreografo, Fabrizio Monteverde, è uno di questi. Nonostante avesse già prodotto qualche coreografia di successo sulla scena romana, deve la sua affermazione nazionale proprio alla compagine fiorentina. L'aspetto più curioso del talento di Fabrizio è che si avvicina al teatro convinto di voler fare l'attore ritrovandosi invece, dopo essersi immerso nello studio della danza contemporanea, coreografo di grande talento senza aver intrapreso la tipica formazione che ti vuole prima danzatore e poi coreografo.
Tant'è. E l'aspetto più interessante è che Fabrizio ha una cifra stilistica personale, riconoscibile e sempre molto interessante. Ricco di inventiva coreografica che evidenza nei passi a due di grande acrobazia e nella continua ricerca di nuovi movimenti per le mani e le braccia dei suoi danzatori.

Questo spettacolo mostra il fianco dell'età nell'ostentazione fisica, voyeuristica, colpo di coda degli anni 80 del secolo scorso, dove tutto sembrava ancora possibile, dove esagerare era d'obbligo, dove il corpo iniziava ad essere merce da esibire, possibilmente in televisione.
Così Monteverde indugia nel nudo, sicuramente per rivelare l'essenza dei suoi personaggi ma anche perché così si faceva e piaceva. Crea tensioni, sottolinea l'insinuarsi del pettegolezzo, del sospetto e riesce a trasmetterlo al pubblico, senza l'utilizzo della parola, dote rara nella narrazione in danza. Usa la musica di Antonin Dvorak in un collage sapiente e pertinente, senza usare la più famosa partitura verdiana ed  un'altra sfida che vince. Ambienta la tragedia del Moro di Venezia in un non luogo ideale: la banchina di un porto, luogo di arrivi e partenze, di addii e di dolore, di commerci leciti e illeciti. Ed è assolutamente pertinente. Intelligentemente realizza questa banchina con semplicissimi praticabili teatrali in legno, facilmente smontabili e trasportabili, ideali per una compagnia che vive di debutti secchi (ogni giorno una piazza diversa). come il Balletto di Roma. Emanuele De Maria crea un disegno delle luci raffinato e suggestivo, specialmente nell'effetto traforato che staglia i corpi dei danzatori dal basso, attraversando l'immaginaria banchina portuale.
I costumi di Santi Rinciari, tutti giocati sul nero e rosso, strizzano l'occhio al sadomaso e all'immaginario di Tom of Finland, offrendo al coreografo una possibilità in più per giocare con i cappottoni double-face.

Ma è la qualità dei danzatori del Balletto di Roma a regalarci ancora un'emozione: giovani ma intensi, potenti ma puliti, grazie indubbiamente alla grande cura che Anna Manes pone al lavoro di assieme, come da sua specifica responsabilità.

Otello è uno statuario Vincenzo Carpino, che crea un notevole ondeggiare di teste in platea per non perdere un solo centimetro del suo ingresso in scena, dove è nudo sotto un lungo cappotto di similpelle, che danza generosamente ma senza particolare finezza. Desdemona è la giunonica ma sinuosa Roberta De Simone, danzatrice salda e fluida cui perdoniamo un momento di defaillance dovuto alla tanta foga con cui danza. Iago è il giovanissimo ma fiero Paolo Barbonaglia, spavaldo e ardente dalla tecnica salda e dalla gran voglia di danzare. Minuta ma impeccabile l'Emilia di Azzurra Schena e splendidi, come già detto, tutti i componenti della compagnia.

Quindi lo spettacolo è intenso, appaga l'occhio e tocca l'anima, è ben danzato e lo trovate in giro in molte piazze italiane: andate!


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