lunedì 11 marzo 2013

MACBETH 8 marzo 2013

Locandina dello spettacolo

A distanza di 2 giorni dalla visione del "Macbeth" in scena al Teatro Verdi di Trieste, resta il ricordo di una splendida serata, sia dal punto di vista musicale che da quello visivo.

E' stata una intuizione brillante quella di recuperare quest'allestimento realizzato per il Teatro Comunale di Jesi. Semplice e lineare nella realizzazione, lascia spazio alla bellezza del capolavoro verdiano e alla regia. Si, siamo proprio di fronte ad un capolavoro. No, non lo diventa con questa mia certificazione: lo sanno già tutti che è così. Ma mi aggiungo al coro.

Ecco, partirei proprio dal coro, che è una delle colonne di questo spettacolo. I momenti più interessanti di questa opera sono affidati a loro che cantano strisciando, ondeggiando, rotolando, saltando, marciando, cadendo, dando prova di grande teatralità che a volte viene uccisa da qualche regista che, a corto di idee o un tantino retrogrado, li relega al ruolo di quinte umane. Questa volta no. Il regista Henning Brockhaus li usa come materia plasmabile e li adatta perfettamente al proprio credo artistico. Magari le streghe potrebbero ogni tanto stare un po' più fermine: si contorcono al punto da creare un effetto nausea da mal di mare, ma lo scrivo solo per cercare il pelo nell'uovo. Tornando alla regia, Brockhaus dichiara: "Macbeth è l’opera più sorprendente che Verdi abbia mai scritto da un punto di vista musicale, canoro e drammaturgico. Purtroppo Verdi però non sviluppò più nelle opere successive questo recitar cantando con le sue relative indicazioni interpretative. I due protagonisti non hanno una sola nota di bel canto e anche per questo oggi è difficile mettere in scena quest’opera. Nessuna Lady Macbeth, nella maggior parte delle edizioni presentate al pubblico, ha il coraggio di "sporcare la voce", per citare un termine del Maestro, di cantare con una voce abbruttita, andando così contro la volontà di Verdi."
Non potrei essere più d'accordo. Registicamente si adegua e allora Lady Macbeth ha un rapporto con il pavimento, con gli oggetti, realmente viscerale: canta da tutte le posizioni immaginabili, senza paura di "sporcarsi", mentre Macbeth sembra essere tutto d'un pezzo, bloccato, folle e irrigidito, nel suo desiderio di potere. Quanti rimandi alla nostra attualità politica....


In realtà il secondo protagonista della serata è il defunto Josef Svoboda che aveva firmato questo allestimento già nel 1995 per il Teatro dell'Opera di Roma. Qui lo riporta in vita Benito Leonori, restituendogli tutta l'aura di mistero, di intrigo, di buio, di sottobosco. Con dei semplici tessuti, riesce a ricreare saloni e foreste, aiutato tutt'al più da un gigantesco specchio che attraversa la scena in diagonale durante il banchetto, restituendo l'immagine del direttore, a sottolineare quasi una regia esterna dietro il dramma che si consuma in scena.


Queste stoffe vengono arrotolate o distese, dal basso verso l'alto, per ricostruire spazi immaginari o per sottolineare il crollo di certe situazioni: oppure vengono fatte avanzare per simulare "finché il bosco di Birna vedrai ravviarsi e venire con te". Splendide immagini proiettate sottolineano la vicenda e a volte la spiegano, come l'apparizione di Banco o i teschi, la corona che ruota senza essere poggiata su un capo o le cupe ombre di esseri misteriosi in movimento. Splendido! E molto ben supportato dai costumi di Nanà Cecchi, lineari, scarni e tristi come la vicenda. Poco visibili le coreografie di Maria Cristina Madau e del tutto inutili le due acrobate con i teli.


Venendo ai cantanti, giganteggia la Lady di Dimitra Theodossiu: maestosa e sottile, vocalmente imperiale e sussurrante, cesella questo archetipo femminile con tale maestria da sembrare lei stessa folle e perversa e omicida. Veramente strepitosa! Indimenticabili i suoi sottovoce al marito durante il banchetto che chiude il secondo atto: "e un uomo voi siete?" "voi siete demente" e "vergogna signor"...un brivido scorre lungo la schiena nel sentirle proferire questa parole per la profonda credibilità e il partecipato disgusto.
Le fa compagnia un ottimo Macbeth, interpretato da Fabian Veloz, baritono al suo promettente debutto italiano: l'ho trovato strepitoso nei primi due atti, in cui rivela uno strumento vocale sicuro, modulato e un'interpretazione sentita e intelligente. Sembra cedere dal terzo atto in poi, complice forse l'evoluzione del personaggio che inizia ad essere sempre più isolato e autoreferenziale: speriamo di risentirlo presto in qualche altro ruolo.

Anche il Banco di Paolo Battaglia risulta convincente, specialmente per presenza scenica e, nella terribile scena dell'agguato a lui e al figlio, anche vocalmente. Ugualmente interessante e ben costruito il Macduff di Armaldo Kllogjeri, travolgente soprattutto nell'intenso finale.
Completano il grande cast Giacomo Patti, Sharon Pierfederici, Dario Giorgielè, Stefano Consolini, Francesco Musinu e Giuliano Pelizon, tutti ugualmente coinvolti, appassionati e fondamentali alla riuscita di questo splendido spettacolo.


Mi resta da dire della splendida direzione orchestrale del Maestro Giampaolo Maria Bisanti, che conduce con estrema cura questa opera verdiana, senza sottolinearne i pericolosi clangori, anzi rivelandone momenti veristici, poco usuali per il Cigno di Busseto. Attento e partecipe alla scena, al coro ai cantanti, ottiene il massimo da tutte le maestranze: l'Orchestra del Teatro Lirico gli risponde come ad un padre; lo stesso fanno il coro, guidato egregiamente dal Maestro Paolo Vero, la Civica orchestra di fiati "Giuseppe Verdi" e i Piccoli Cantori della Città di Trieste.
Pubblico tipicamente maleducato da prima. Teatro pieno e, solo alla fine, il giusto riconoscimento e apprezzamento per un allestimento di questa qualità.

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