mercoledì 15 giugno 2022

PAGLIACCI/AL MULINO martedì 14 giugno 2022

 Locandina dello spettacolo 

È una serata epocale, veramente indimenticabile quella che la direzione del Teatro Lirico Giuseppe Verdi ci propone in chiusura di stagione. Epocale perché abbiamo assistito alla prima esecuzione mondiale di un'opera incompiuta di Ottorino Respighi. Poi perché possiamo assistere a un titolo che non va in scena in questo teatro da quasi vent'anni. Infine per la durata alla quale neanche i più appassionati sono più abituati: tre ore e trentacinque minuti in teatro assomigliano ormai più a un sequestro di persona che ad una serata di spettacolo (lol!). La fortuna è che è un dittico che non passa inosservato e che le compagini artistiche erano di assoluto rispetto.




Apre la serata Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, assente sulle scene triestine e da 19 anni, che è una pietra miliare verista che non può, e non deve, mancare troppo a lungo nelle stagioni di un teatro d'opera italiano. L'allestimento  scenico di Paolo Vitale, i costumi di Giada Masi e la regia di Victor Garcia Sierra ridondano sul piccolo palcoscenico del massimo triestino, tra colori, masse artistiche e movimenti: i nostri occhi non possono che vagare per selezionare e comporre un proprio spettacolo, aspetto che prediligo sempre ad altri scarni allestimenti dove la focalizzazione è inevitabile, ovvia e guidata. Ma sono sicuramente le voci di tutti i cantanti, siano essi prime parti, coristi o voci bianche, a riempire la sala, note potenti di dolore impossibili da ignorare, e di preallerta al femminicidio che si compie davanti ai nostri occhi. Splendido lavoro creativo da parte di tutti, davvero.



Ho trovato la compagnia molto omogenea per qualità sia vocale che artistica: al Canio di Amadi Lagha, alla Nedda di Valeria Sepe, dal Tonio di David Cecconi al Peppe di Blagoj Nacoski, dal Silvio di Min Kim ai Contadini di Damiano Locatelli e Francesco Paccorini...bravissimi tutti! Lo stesso dicasi per il rimpolpato Coro del Teatro diretto da Paolo Longo, ancora insultato dal dover cantare con la mascherina, e quello de "I piccoli cantori della città di Trieste" diretti egregiamente da Cristina Semeraro. L'Orchestra del Verdi ha portato avanti una stagione in assoluto stato di grazia, senza sbavature in nessuna sezione e con suono netto e potente. Indubbiamente la giovane bacchetta del Maestro Valerio Galli deve aver infuso ancora più energia ai nostri...




Venendo Al mulino di Ottorino Respighi ascoltiamo musica sinfonica meravigliosa, appesantita da un libretto verboso e ridondante che forse spiega perché era rimasta così a lungo in un cassetto...ed è veramente solo la musica a tenerci incollati alle nostre poltrone: travolgente, ondivaga, suggestiva, potente. La regia  di Daniele Piscopo è molto curata ma viene impoverita da scene e costumi, sempre a firma del regista, che rende sì il misero ma confonde la narrazione con ambienti indefiniti e fallisce nel tentativo di trovare un effetto per l'improvvisa inondazione che dovrebbe portare via tutto il male nel finale. 



Anche qui la compagnia di canto è ragguardevole partendo dalla Aniuska di Afag Abbasova- Budagova Nurahmed al Sergio di Zi Zhao Guo, dal Nicola di Domenico Balzani al Pope di Cristian Saitta, dall'Anatolio di Min Kim alla Maria di Anna Evtekhova, dall'ufficiale di Blagoj Nacoski al Soldato di Giuliano Pelizon. Stacca di una lunghezza la bella prestazione di Francesco Cortese, cantante del coro triestino, in un piccolo ma efficace Solo: davvero bravo! Il resto dei suoi colleghi cantano in scena come deportati e in un bellissimo intervento fuori scena che fa da contrappunto al solo: momento musicalmente bellissimo! L'Orchestra è in questo caso diretta da Fabrizio Da Ros, artefice assieme a Paolo Rosato, del compimento di questa...incompiuta.

Serata storica, applausi scroscianti.

Piccola nota: il mio vicino di poltrona ha tossito per tutta la durata di Pagliacci, massacrando l'ascolto a me e ai nostri confinanti che si sono lamentati a più riprese: dov'è finito il buon senso di stare a casa se si sta male?!?




martedì 10 maggio 2022

Festival di Lubiana 21 giugno/8 settembre 2022

 Sito del festival

Il Lubiana Festival festeggia il suo 70° anniversario. Uno dei più antichi ed imponenti festival internazionali, offre ogni anno un importante contributo agli eventi culturali della capitale slovena con un programma accuratamente selezionato e vario, che fa di Lubiana, nei mesi estivi, un punto d’incontro per rinomati artisti sloveni ed internazionali. Ancora una volta le linee guida saranno qualità e innovazione. Tra il 21 giugno e l’8 settembre assisteremo a spettacoli di balletto, opera, musical; ascolteremo tanti concerti e molto vari (musica sinfonica, da camera, vocale, popolare, jazz); il programma prevede anche una Master Class, un campus internazionale di arte figurativa, laboratori per bambini e ragazzi, una serie di eventi lungo il fiume Ljubljanica, numerosi eventi prima dell’apertura ufficiale del Festival e molto altro ancora. Nell’anno segnato dal 150° anniversario della nascita dell’architetto Jože Plečnik, il palcoscenico centrale degli eventi sarà nuovamente il teatro all’aperto delle Križanke. 

I biglietti sono già in vendita sul sito ljubljanafestival.si; 

in Slovenia al botteghino delle  Križanke, presso i punti vendita Eventim e i distributori di benzina Petrol; 

in Italia, a Trieste, presso Finmedia
–Radioattività, Via di Campo Marzio 6, biglietteria@radioattivita.com

 

I principali eventi di questa edizione celebrativa saranno la tradizionale Notte d’estate, il musical West Side Story, la danza del Béjart Ballet e quella di Eduard Clug dedicata a Stravinsky, l’opera Carmen, la leggenda drammatica di Berlioz La Damnation de Faust, il concerto di gala dell’Ottetto Sloveno in occasione dei 70 anni di attività; tanti eccezionali artisti internazionali quali i maestri Charles Dutoit, Christopher Eschenbach, Riccardo Muti, Daniel Baremboim, Manfred Honeck, Vasily Petrenko, Esa-Pekka Salonen; i cantanti Anna Netrebko, Elina Garanča, Placido Domingo, Juan Diego Flórez, Yusif Ejvazov, i solisti Rudolf Buchbinder, Lang Lang, Hélène Grimaud, Lana Trotovšek, Maxim Rysanov,  le grandi Orchestre quali West-Eastern Divan, Pittsburgh Symphony, Thailand Philharmonic, Royal Philharmonic, Wiener Philharmoniker; l’eclettico attore John Malkovic, il celebre cantatore sloveno Vlado Kreslin e molto altro.


domenica 10 aprile 2022

DON PASQUALE giovedì 7 aprile 2022

 Locandina dello spettacolo 


Che spettacolo! È una produzione deliziosa, fantastica, immaginifica, sia da un punto di vista musicale che da quello creativo! Questa stagione 2021/2022 della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste continua a rivelare sorprese ad ogni titolo!!

Don Pasquale è l'ultima opera ancora di grande successo che Gaetano Donizetti ci ha lasciato ed è chiaro il perché: nonostante il carattere dei personaggi rappresenti lo stereotipo di un'epoca, basta una regia attenta che la rilegga con credibilità e la grandezza di un capolavoro musicale si riafferma facilmente. E così è stato grazie alle idee del regista Gianni Marras, sostenuto dalla visionaria immaginazione delle scene e dei costumi di Davide Amadei e coadiuvato dal punto di vista musicale dal direttore d'orchestra Roberto Gianola e da quello del coro Paolo Longo. Il risultato è davvero delizioso: due ore e mezza che volano in un soffio, senza cedimenti di alcun tipo. E non può che essere  così quando si hanno idee, quando la regia è attenta a tutti i passaggi e a tutte le masse artistiche. Non a caso il coro della Fondazione (liberiamolo dalle mascherine, vi prego!) torna ad essere protagonista di azioni registiche pensate, in cui sa dimostrare le proprie capacità artistiche e attoriali oltre a quelle musicali che lo contraddistinguono. L'allestimento scenico omaggia la Pop Art, Roy Lichtenstein e i maestri del fumetto, strizzando l'occhio a tanta cinematografia (da Fellini a Vacanze romane) e riempendo gli occhi di colore, spesso volutamente kitsch soprattutto nei costumi, rendendo questa produzione del Teatro Comunale di Bologna di qualche anno fa, uno spettacolo di riferimento per avvicinare i giovani al lontano mondo dell'opera lirica.







L'ouverture dell'opera è un brano di tale forza e bellezza che varrebbe da sola l'essere andati a teatro (infatti riesce a strappare un applauso sentito) e bisogna riconoscere al maestro Gianola di non averla letta in chiave bandistica come spesso accade ma, anzi, di aver saputo gestire con stile ed eleganza il suono, ancora difficile da equilibrare con l'orchestra che invade la platea. Per tutta l'opera il Maestro ha avuto chiaro come il buon risultato arrivi dall'avere un gesto che sia leggibile dalla cavea orchestrale come dal palco e che entrambi i settori meritano e necessitano attenzione e ascolto: bravo! Come per Tosca, era tanto che non sentivo suonare così bene la nostra Orchestra, così amalgamata nel suono comune e precisa nelle varie sezioni, con solisti di grandissima qualità che non conoscevo e che sarebbe giusto far emergere, come violoncello, corno e tromba (non ho ricordo di un assolo così magistralmente suonato da anni).







Venendo al canto, Pablo Ruiz porta in scena un Don Pasquale di grande spessore: buffo, senza essere macchiettistico, con bel timbro, fraseggio limpido e grande capacità attoriale. Lo stesso dicasi per il Dottor Malatesta di Vincenzo Nizzardo: il sillabato di entrambi era da manuale! Graziosissima scenicamente e vocalmente la Norina di Nina Muho, comoda negli acuti e di solida tecnica che non viene messa in discussione neanche dalle richieste registiche che la fanno cantare di schiena o su una sedia girevole. Poi entra in scena Antonino Siragusa, un Ernesto a metà tra Tintin ed Elvis Presley: spassosissimo! Della bravura musicale e artistica inutile dirne: l'aria "Com'è gentile l'aria a mezzo april" cantata in un finto microfono d'antan resterà nel cuore di chi l'ha vista per anni. Completano il cast un adeguato Armando Badia, un Notaro in stile Groucho Marx, e il poliedrico multifaccia Fregoli d'aujourd'hui Daniele Palumbo, molto più di un mimo.

Non possiamo che sperare il meglio per i prossimi due titoli che chiuderanno questa stagione! 










martedì 15 marzo 2022

TOSCA giovedì 10 marzo 2022

Locandina dello spettacolo 

Non avrei mai pensato che un giorno nel mio teatro (perdonate il "mio" ma quindici anni come dipendente di questo teatro me lo fanno ancora sentire "casa") sarebbe arrivata una nuova Tosca con la regia di Hugo De Ana...e invece, eccola! La nuova sovrintendenza di Giuliano Polo sembra essere partita con il piede giusto, offrendo alla città di Trieste uno spettacolo di serie A come raramente si è visto qui, da noi: grazie!



La Tosca di De Ana è un tutt'uno, come quasi sempre nelle sue produzioni, occupandosi di regia, scene e costumi, riesce a ottenere risultati eccellenti in quanto a coesione e coerenza artistica. Questa produzione è arricchita da alcuni brevi cortometraggi che molto aggiungono al pathos: dalla ricerca notturna e forsennata del fuggitivo Angelotti da parte delle guardie papali, alla corsa di Floria Tosca verso Castel Sant'Angelo, le scene proiettate sul velario di proscenio ci aiutano ad entrare ancor di più dentro la storia di questi sfortunati innamorati. L'effetto è ancora più interessante man mano che lo spettacolo procede, quando dalle proiezioni saltano fuori pezzi di scenografie costruite, alternate a parti pittoriche: le foto che allego vi spiegheranno meglio delle mie parole. La recitazione dei protagonisti è attenta e curata, nonostante il cast che ho visto brillasse più per doti canore che interpretative, e merce ancora più rara sono ben sbalzati anche i caratteri dei comprimari. Le luci di Valerio Alfieri sono la "ciliegina sulla torta" capaci di emozionare come la luce nei quadri di Caravaggio: bravo!



Venendo al cast che ho visto Kristina Kolar mi è sembrata una buona Tosca dal punto di vista vocale ma trascura fortemente l'interpretazione: peccato. Ancora più solido vocalmente il Mario Cavaradossi di Mikheil Sheshaberidze cui non mancano né volume, né acuti: attorialmente sembra riscaldarsi strada facendo fino ad un terzo atto nel quale tecnica e interpretazione sono entrambi ad altissimo livello. Entrambi hanno un fraseggio limpido nelle arie principali ma che diventa incomprensibile nel resto dell'opera. Perfido comme il faut il Barone Scarpia cesellato da Alfredo Daza con scaltrezza ed eleganza, convincente sia vocalmente che scenicamente. Cesare Angelotti cantato da Cristian Saitta e il sagrestano di Dario Giorgelè sono ben disegnati e cantati, così come lo Spoletta di Motoharu Takei, lo Sciarrone di Min Kim e il carceriere di Giuliano Pelizon.



Una sorpresa ancora più grande me l'ha riservata l'Orchestra del Teatro che mai ho sentito suonare così fluida, legata, partecipe e che sembra aver trovato una perfetta sintonia con Christopher Franklin che ha saputo gestire palco e golfo mistico con assoluta attenzione ed eleganza di equilibri. Buona anche la prestazione del Coro, guidato da Paolo Longo, che vediamo in scena solo nel Te Deum e che sembra molto più voluminoso nel suono rispetto alle ultime prove. 

Insomma, veramente un bellissimo spettacolo che il pubblico presente alla replica ha lodato a lungo, come sempre quando un'operazione è convincente!





giovedì 3 marzo 2022

ROMEO E GIULIETTA mercoledì 2 febbraio 2022

Locandina dello spettacolo 

Chissà quante volte Renato Zanella, veronese e coreografo di questa nuova versione di Romeo e Giulietta, avrà ascoltato, incontrato e subito la storia dei due infelici amanti...penso infinite! Tant'è che, secondo me, in questa nuova produzione il suo focus si è incentrato molto più sul contorno e il contesto che sulla arcinota vicenda.

Mi spiego meglio. 



Il primo atto è una vera e propria presentazione della famiglia Capuleti, raccontandone sfarzo, agio e potere. Zanella si concentra maggiormente sui caratteri dei genitori e del loro clan, Paride e Tebaldo in primis, più di quanto non fa con Giulietta, confinandola alla classica scena con la balia e nella presentazione al ballo. Il secondo atto, invece, è incentrato sui Montecchi, sulla loro goliardia, sulla voglia di leggerezza e di gaudio, evidenziandone il livello infinitamente più semplice. Il terzo, unito al secondo, è finalmente dedicato ai due giovani amanti, pur con qualche variante di cui la più sostanziale è che concede loro un abbraccio lucido tra le loro morti.


Complessivamente l'operazione di attualizzazione operata da Zanella è interessante e rende lo spettacolo godibile e succinto, nonostante la lunghezza della partitura che mostra il fianco al pubblico impaziente di oggi. Tante le idee messe in campo per tenere l'interesse sempre alto, tra le quali i Montecchi visti come atleti di scherma, il rapporto ambiguo tra Madonna Capuleti e Tebaldo, la festa da ballo in casa Montecchi al posto della scena in piazza, che concorrono a tenere alto il tono e lontano il dramma. Il terzo atto precipita in una china non preparata, cogliendoci quasi impreparati al dramma che sta per compiersi davanti ai nostri occhi. Il linguaggio coreografico che viene usato in questa parte dello spettacolo sembra citare la Graham e altri coreografi contemporanei, togliendo addirittura le scarpe da punta a Giulietta - a mio modesto parere un po' forzato - lasciando i piedi nudi a cigolare sul tappeto danza. Zanella si conferma un abile costruttore di spettacoli, con una particolare attitudine per le scene corali piuttosto che per i duetti che, specie in coreografie narrative, potrebbero essere meno atletici. L'allestimento scenico di Alessandro Carnera, fatto di tendaggi e pochi essenziali elementi tridimensionali, illuminato magnificamente da Jasmin Sehic, aderisce perfettamente al progetto coreografico così come i raffinati costumi di Alexandra Burgstaller.


La compagnia della SNG di Lubiana brilla per talenti e per capacità di assieme: attenti, senza sbavature nell'esecuzione tecnica, unisoni e teatralmente presenti, sono una vera gioia per gli occhi! In tanto assieme, nelle formazioni sceniche più piccole, servirebbe maggior attenzione agli accostamenti di fisicità e personalità tanto diverse: ogni tanto scappa qualche accostamento azzardato su cui cade forzatamente lo sguardo...


Giulietta è una salda e tenera Yaman Kelemet, convincente su tutta la linea, affiancata dal bel Filip Juric, prestante e buon interprete del ruolo di Romeo, scenicamente maturo. Non potendo citare tutti i ruoli, devo ricordare la forza interpretativa di Tasja Sarler come Madonna Capuleti, di Thomas Giugovaz, che affronta il ruolo del "DJ" con grande sicurezza tecnica e interpretativa, e di Filippo Jorio, un Mercuzio sempre più saldo tecnicamente e scenicamente. Vince su tutti Kenta Yamamoto che disegna un Tebaldo capace di passare dal seduttivo all'arrogante, dal perverso al beffardo: veramente bravissimo! Nonostante abbia da sempre l'aspetto del principe della danza classica, è riuscito a calarsi in un ruolo che sembra l'opposto di come appare.

Non vedo l'ora che l'orchestra torni nel golfo mistico, restituendo così il suono come dovrebbe e come eravamo abituati a sentire. Amplificato, dal fondo del palco, non mi è sembrata la loro migliore prestazione: qualche disordine nei fiati e qualche squilibrio nei volumi, inevitabile in una sistemazione così sfavorevole e complessa. Kevin Rhodes personalizza fortemente alcuni tempi, evidentemente d'accordo con il coreografo ma porta a buon risultato una partitura decisamente complessa.

Lo spettacolo dura due ore e quarantacinque minuti che volano via veloci, riempendoci gli occhi e l'anima.