sabato 15 giugno 2024

LA PORTA DIVISORIA/IL CASTELLO DEL DUCA BARBABLÚ venerdì 14 giugno 2024

 Locandina dello spettacolo 

Sorprendente finale per la stagione 23/24 della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste che , invece di un titolo classico, decide di salutare il pubblico con un dittico di assoluta "rottura": La porta divisoria e il castello del Duca Barbablù. Se dell'unica opera lirica di Béla Bartók qualcosa è dato sapere, della prima ignoro veramente tutto. Il bilancio finale è quello di un dittico che si compensa vicendevolmente.

La porta divisoria di Fiorenzo Carpi, completata nel 2022 da Alessandro Solbiati, in quanto rimasta incompiuta dal lontano 1954 (se volete approfondire seguite questo link all'interessante prolusione di Elisabetta Proietti) ha la sfortuna di essere l'unico libretto d’opera di Giorgio Strehler da La Metamorfosi di Franz Kafka. Strehler ha molto amato l'opera ed è un peccato che, a parte le numerose e famose regie d'opera, non abbia fatto di più per il melodramma. Questo libretto, che fu una commissione di Victor de Sabata, è talmente perfetto da far impallidire, per esempio, quello di Barbablù che segue nella serata triestina. Tutto è equilibrato: il testo, la suddivisione in quadri, i pesi scenici.

È veramente una divisione quella che impone la brillante scenografia di Andrea Stanisci (magistralmente illuminata da Eva Bruno!) che intrappola la famiglia di Gregor Sansa sul palcoscenico e, contemporaneamente, noi pubblico con lo scarafaggio, erigendo una rete che seguendo il perimetro del boccascena divide il palcoscenico dal pubblico, ad eccezione di una porta centrale che si apre brevemente per lasciare del cibo al poveretto o per sdegnarsi alla vista di Gregor trasformato. L'inquietudine crescente che si vive leggendo il racconto di Kafka è perfettamente resa in questo allestimento e molto fa anche la voce di Gregor che parte da un palco di primo ordine, alle nostre spalle, tra di noi, a ricordare la nostra fragilità e mutabilità terrena. Carpi è stato una colonna portante nel lavoro di Strehler e del Piccolo Teatro di Milano, componendo una quantità infinita di musiche di scena e colonne sonore, al punto da doverlo considerare come uno dei maggiori compositori italiani del genere. Lo stile sperimentale che adotta per La porta divisoria è parecchio ostico, rifacendosi alle avanguardie atonali e cacofoniche degli anni '60 del secolo scorso che videro in Luciano Berio il nome più conosciuto, ma bene rende il tormento e lo stridio che doveva vivere interiormente il povero Gregor. I costumi di Clelia De Angelis e la curatissima regia di Giorgio Bongiovanni chiudono il cerchio di un allestimento che, con musica più "convenzionale", sarebbe stato un successo ovvio e inevitabile. Di grande volume e buona presenza scenica le voci di Davide Romeo nel ruolo di Gregor, di Alfonso Michele Ciulla come Padre di Gregorio e di Antonia Salzano come Sorella di Gregor ma di assoluta qualità anche tutto il resto della compagine, con un cenno speciale ai tre divertenti pensionanti.

L'Orchestra del Verdi vince anche in questa occasione, con la buca d'orchestra ricolma di percussioni e percussionisti, capace di eccellere in Mozart, così come in Carpi/Solbiati e Bartok. Marco Angius vibra con loro e, credo, sudi sette camicie per coordinare i suoni stridenti della prima opera e maestosi imperanti della seconda, dove l'orchestrazione del Maestro ungherese raggiunge il capolavoro.

Venendo alla seconda, l'allestimento di Henning Brockhaus è molto lontano dalle mie corde, al punto di trovarlo per nulla convincente e in diversi momenti irritante. Sono in imbarazzo, ovviamente, visto che parliamo di un grande nome della regia teatrale ma in questo blog racconto le mie impressioni da spettatore e tant'è. La triade di artisti che sostiene questo racconto, ispirato alla omonima fiaba di Perrault, è invero di altissimo livello: Andrea Silvestrelli, nel ruolo del Duca, e Isabel De Paoli, nel ruolo di Judith la moglie di Barbablù, hanno entrambi il giusto volume, il timbro scuro e una grande presenza scenica che fa dimenticare la banalità del libretto (non so quante volte Barbablù domanda alla moglie di baciarlo o se ha paura...in ogni caso, troppe!). Lo stesso dicasi per Maurizio Zacchigna che, nel ruolo del bardo, introduce il clima che seguirà. Non ho apprezzato scene, costumi, luci e coreografie e quindi, come d'abitudine, non li cito per non associarli ad un commento negativo.

Sala pienotta, applausi di cortesia per la prima opera e molto più convinti per la seconda con tripudio per i due cantanti della seconda. Ma il Verdi non si ferma e si prepara per una Turandot al Castello di San Giusto e un ritorno più corposo del Festival dell'Operetta.

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