Locandina dello spettacolo
Uno spettacolo nato dal fatto che il coreografo Wayne McGregor abbia permesso a degli scienziati di mettere in sequenza il suo genoma completo, mi sembra piuttosto pretestuoso.
Il fatto che ogni sera un algoritmo creato da Nick Rothwel crei una sequenza diversa da rappresentare mi sembra una masturbazione mentale o un problema/piacere per chi lo danza: come pubblico triestino potrò vederlo soltanto una volta e avrei preferito che il coreografo lo mettesse in scena secondo la sequenza che riteneva più funzionale e riuscita...
Il sipario del Politeama Rossetti si apre dopo un piccolo ritardo.
Dalla soffitta pendono delle piramidi cave capovolte in acciaio, inquietanti e minacciose, ad opera di Ben Cullen Williams.
Si intravvedono barre di led e sistemi di illuminazione all'avanguardia.
Su un piccolo schermo davanti all'arlecchino fisso che sovrasta il sipario, appare un numero e una parola in inglese: di tutto lo spettacolo ricorderò solo lucent.
Un ragazzo nero dalle linee infinite e bellissime con una qualità di movimento straordinaria e molto
personale (non lo ripeterò più perché tutti i danzatori della Company Wayne McGregor sono così) inizia un lungo solo su una musica fastidiosa.
Entrano una decina di altri danzatori su musica ugualmente fastidiosa e sciorinano gambe e dinamiche inusuale, che attraggono la ma vista e mi fanno sperare che duri a lungo e di diventare sordo entro due secondi.
Il gioco di luci delle barre di led, dei tagli posizionati lateralmente si fa sempre più incredibile e raffinato. Fino a costringerci in certi momenti a chiudere gli occhi, per delle sciabolate che, come lo scrutare il mare di un faro, a turno colpiscono gli occhi di ogni singolo spettatore, costringendolo a chiuderli e impedendogli così di avere la stessa esperienza visiva, lo stesso ricordo di chi gli è seduto affianco. Lucy Carter le disegna e le dirige: un genio.
La musica continua insopportabile: sono proprio infastidito. Un esempio: occhio al volume...
Autobiograpjy dice di essere ispirato al DNA, dove ognuna delle 23 sezioni in cui è diviso, ricorda il numero dei cromosomi del nostro DNA ma anche 23 volumi della nostra vita, dei nostri ricordi, dei nostri movimenti.
Finalmente arriva un brano ispirato al settecento, a Mozart e le mie orecchie si rilassano. Da qui in poi la musica composta da Jlin in collaborazione con Unsound, non sarà più così fastidiosa ma anzi mi diventerà piacevole.
Poi inizia il blocco denominato Lucent, non so che numero sia. Ma la musica cambia, in ogni senso. I movimenti sono sempre pescati dal repertorio di McGregor: molti grands battements in tilt e pirouettes. Ma si crea un atmosfera in questo passo a due per due uomini che acquieta il mio animo, le mie orecchie, il mio cuore. Il fastidio, seppur intriso di piacere per la qualità dei danzatori, si trasforma in sentimento, in commozione anche se non mi scendono delle lacrime.
Lo spettacolo prosegue ma questa sensazione non mi molla.
Arriva un altro duetto, questa volta al femminile ma non ha lo stesso impatto (non c'è niente da fare: la danza sta diventando sempre più maschile che femminile).
Partono altre sezioni, precedute da altri titoli e altri numeri ma ormai il mio pensiero è mutato, anche se la musica ritorna qua e là fastidiosa, io sono entrato in un altro mood.
E questo per me è sufficiente per dire che lo spettacolo era incredibile, una delle operazioni più rischiose ma anche più affascinanti, cui ho assistito nel corso della mia vita.
Mi è sufficiente per dire che Wayne McGregor è un vero artista, un uomo capace di regalare emozioni, aspetto per me fondamentale, perché della mera estetica chissenefrega.
Ricordo quanto è stato preso di mira e insultato in svariate recensioni e occasioni, da un vecchio tronfio e arcinoto critico inglese, abituato più alla formalità che all'innovazione, che non riusciva a capire perché le sue coreografie entravano nel repertorio del Royal Ballet di Londra. Io vedevo solo brevi spezzoni online o l'arcinoto, bello ma molto classico, Chroma. Ora capisco, e credo che il critico deve veder con il cuore e non con il sapere.
Il pubblico triestino mi ha veramente stupito. In genere piuttosto refrattario al teatro contemporaneo, ancora di più alla danza e infatti la platea semivuota lo certificava, mi è parso abbia vissuto più o meno il mio stesso percorso, dapprima infastidito poi coinvolto e in perfetto silenzio, in piena tensione, ha seguito tutta la rappresentazione in religioso silenzio, scatenandosi poi in generosissimi applausi.
Trovo sempre poco rispettoso che nel programma di sala non appaia il nome degli interpreti. Forse perché lo sono stato a mia volta e so quanta fatica c'è dietro e quanto desiderio che questa ci fosse riconosciuta, anche solo con l'appartenenza ad un singola produzione. Sappiamo solo che erano i danzatori della Company Wayne McGregor e che erano meravigliosi.
Mi ha fatto molto piacere vedere i costumi di Aitor Throup, uno dei vincitori di ITS, organizzazione triestina con la quale collaboro fin dalla sua creazione
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