Difficile scrivere di Wozzeck, nuova produzione della coreografa/regista/artista visiva/sceneggiatrice (e chi più ne ha più ne metta) Andreas K. Schlehwein, ma ci provo lo stesso.
E' difficile scrivere di un suo spettacolo perché le emozioni, i pensieri non esauriscono dopo l'andata in scena, ma restano dentro di noi a decantare, come un buon vino...
Sono talmente tanti gli stimoli che offre agli occhi e alla mente che non si riesce a "digerire" tutto durante lo svolgersi dello spettacolo.
Piccolo inciso: non so quanto è durato lo spettacolo, non mi è venuta neanche voglia di guardare l'orologio...
La Schlehwein affronta la complessa e drammatica vicenda del soldato Woyzeck, realmente vissuto nel diciannovesimo secolo, diventato un'icona come rappresentante del malessere psicologico e/o psichiatrico, procedendo per immagini, come è tipico del suo teatro.
E' come se, davanti ai nostri occhi, scorresse lo storyboard che l'artista ha immaginato: in questo è aiutata dalla location in cui ha deciso di dare vita a questo Wozzeck. Siamo all'interno del bellissimo ex-convento che domina Millstatt, costeggiante l'omonimo lago, nella Stiftsaal, spazio adibito prevalentemente a mostre che Netzwerk AKS ha appena iniziato ad utilizzare anche per spettacoli "altri". Lo spazio è perfetto e sembra suggestionare anche la struttura dello spettacolo che vive delle due porte sul fondo, trasformandole in certi momenti in schermi, altre in pertugi oppure in trasparenze attraverso le quali scrutare cosa appare dietro, altrove.
Stimoli dicevo. Uno dei tanti sono le note di regia (ahimé, in tedesco) che appaiono in video sul fondale e che una mano attenta e musicale cancella via via che sono declinate dalla voce forte ed educata di Eleonore Schaefer; oppure l'apparizione nelle mani delle danzatrici delle tante scritte su cartoni di recupero che ricordano personaggi e ruoli: Marie, Wozzeck, assassino, ecc. sottolineano, suggeriscono, insinuano.
Ma la nota dominante resta, ovviamente, la danza: quella misteriosa e ambigua di Unita Galiluyo; quella enigmatica e tesa di Maria Mavridou; e quella elegante e potente di Simona Piroddi. Coautrici della parte coreografica, supervisionata e assemblata dalla Schlehwein, sottolineano tutta la potenza del dramma scritto da Buchner ricorrendo a tecniche di contact, ma anche apportando poesia nei momenti che si percepiscono come frutto di improvvisazioni poi codificate e fissate. A turno diventano Marie o Wozzeck o il Tamburmaggiore o tutti gli altri protagonisti di questa vicenda triste e pietosa che ci ricorda come anche l'amore, summa di tutti i sentimenti migliori, possa diventare forza devastante e causa scatenante dei peggiori delitti. E la cronaca attuale lo sottolinea costantemente...
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