Così, di primo acchitto, ho pensato che questo nuovo collettivo artistico potrebbe ispirare una nuova favola da intitolare "Il principe, la bella e la bestia" dove, finalmente, i ruoli possono essere totalmente intercambiabili, visto che a turno sono bellissimi, regali e bestiali nel sapersi muovere...
Partirei da questo spunto per raccontarvi della produzione di debutto della compagnia Yellowbiz Art Collective che vive dell'indiscutibile maestria di tre danzatori: Michele Pastorini, Maria Matarranz de las Hera e Valentin Chou. Indiscutibile perché, appena muovonoanche soltanto un dito, capisci tutta la ricerca, la capacità e lo studio che c'è dietro a quel movimento. I loro corpi sono capaci di mollezza e di rigidità, di volo e di pesantezza, di sinuosità e di scatto violento e sono talmente maestosamente forgiati dalla danza che ti commuovi soltanto a vederli muoversi. Prima di vederli riuniti in questa nuova avventura, li ho spesso singolarmente apprezzati nel repertorio della compagnia fiumana in cui spiccavano come primi Ballerini e non posso che felicitarmi per questo loro nuovo progetto.
Se è vero quanto professato dai tre, in occasione della presentazione dello spettacolo
"l'opera problematizza il modo in cui la società pensa in base alle prime impressioni. Attraverso una serie di scene stimolanti, lo spettacolo sfiderà il pubblico a riconsiderare le proprie posizioni di partenza e lo incoraggerà a osservare il mondo che lo circonda attraverso una lente diversa e riflessiva"
è ancora più difficile per me parlare di questa creazione perché non posso che basarmi sulla prima impressione ricevuta e, come tale secondo il loro suggerimento, dovrei ripensare a quanto ho visto rivedendolo attraverso una lente diversa e riflessiva. Potrei non uscire vivo da questo loop... ;-)
Come in molta arte contemporanea, anche in questo caso non possiamo fare altro che viverla e tradurla secondo il nostro personale vissuto, secondo quanto ci ha suscitato, senza dovere o volere per forza capire e conoscere le intenzioni dell'autore. E allora durante la scena iniziale, in cui siamo in un luogo di partenze, in cui gli annunci si susseguono così come i percorsi dei viaggiatori, le loro storie, gli oggetti che perdono/trovano/abbandonano e così via, incontriamo subito la valigia e un fiore che torneranno svariate volte nel corso della narrazione. La valigia diventerà portatrice di novità ma anche raccoglitore di vissuto, di abiti/maschere che ci siamo finalmente tolti di dosso e che possiamo rinchiudere là dentro, magari dimenticandoli per sempre, mentre il fiore sembra essere un testimone che passa di persona in persona e, quindi, di relazione in relazione. Semplificando e forse banalizzando, ma questo sono io, il messaggio dello spettacolo è quello che tutti possiamo liberarci delle nostre maschere esteriori, dei condizionamenti subiti, delle educazioni imposte ma, per molti di noi che ci provano o ci hanno provato, il cammino è tutt'altro che semplice, facile e men che meno veloce.
I nostri tre si danno senza risparmiarsi e noi non possiamo che ringraziarli, stupiti per un finale che non volevamo arrivasse così presto...ad majora!
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