Questa sarà un po' più di una recensione di un piccolo ma interessantissimo festival di danza urbana, di cui ho visto solo gli spettacoli pomeridiani di domenica 23 giugno. Vuole essere anche un omaggio, un riconoscimento alla presenza di Arearea in Friuli-Venezia Giulia, nel trentennale della loro brillante carriera!
Arearea nasce a Udine in anni molto vicini a quelli di Arteffetto (realtà di cui mi occupo da 35 anni), occupandosi da subito di danza contemporanea e urbana. Ricordo le loro produzioni in campi da calcio, al parco del Cormor, nel palazzo Pico di Fagagna, in alcuni box di plexiglass in piazze udinesi e in molti altri luoghi, sempre originali. L'artefice di tutto ciò è senza dubbio Roberto Cocconi che - dopo aver vissuto gli anni felici del Teatro Danza la Fenice di Venezia, sotto la guida di Carolyn Carlson, che tanto ha lasciato in Italia a numerosi discepoli - ha deciso di tornare nel suo Friuli per piantare e lasciar germogliare il seme della danza contemporanea. Presto a lui si sono accodati Marta Bevilacqua e Luca Zampar, anche loro maturati con la Carlson, e poi Valentina Saggin e Anna Savanelli a formare un collettivo di pensiero e di azione. Il riconoscimento ministeriale li aiuta ad iniziare a creare una struttura stabile, confermata poi con la realizzazione de Lo Studio, la sede logistica ed operativa della compagnia, nel quale verranno avviate tutte le attività necessarie a garantirne la vita nonché la sopravvivenza per la Compagnia. Negli anni in cui ho diretto "Trieste per la danza" il primo festival di danza contemporanea di Trieste in collaborazione con il Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, li ho invitati a presentare alcuni dei loro lavori in quello che ho sempre ritenuto un corretto rapporto di buon vicinato nonostante non avessero certo bisogno del mio aiuto (ne approfitto anche per chiedere loro scusa pubblicamente per una bassezza compiuta nel passato). Maggiori informazioni le trovate anche sul loro più che completo sito
Tutto ciò per dire loro grazie. Grazie per quanto hanno portato avanti con salda fermezza in questi anni; per la poesia del gesto e del pensare che non è mai mancata loro e che ha trovato in Marta una insostituibile musa ispiratrice; per aver sempre saputo trasformare i sogni e la fantasia in azioni concrete e fruibili; per essere stati generosi con i giovani che a loro si sono affidati per la formazione professionale; per aver portato e rinnovato il concetto di collettivo che si respira ogni volta che agiscono, con la schiera di amici/compagni/figli a dimostrare che l'unione dà forza: bravi!
Venendo ad AreaDanza, urban dance festival, che ha avuto luogo a Venzone, piccolo paesino vicino alla ben più tristemente nota Gemona del Friuli, lo ricorderò come un bellissimo pomeriggio passato assieme a danzatori e spettatori, con i quali a breve si inizia a socializzare di spostamento in spostamento. Si, perché il festival si sposta in giro per il paese alla scoperta di angoli sconosciuti e altri di maggior notorietà.
Apre le danze pomeridiane Touch up 4.0 portato in scena dagli allievi dell'Alta Formazione/Compagnia Arearea e che racconta, riuscendoci pienamente, di come il comandamento attuale sia diventato uno solo: la produttività. In virtù di questo l'uomo sta perdendo umanità, il calore del tocco come trasmissione di pensiero e di condivisione, rinsecchendolo in gesti sempre più precisi, millimetrici ma totalmente asettici. In scena, anzi, sotto la facciata postica del Duomo di Venzone (lo ricordo ancora dolorosamente sventrato dal terremoto del '76) hanno agito Aichatou Cherif, Giovanni Consoli, Filippo Seziani e Sara Soravito che mi hanno sorpreso per la notevole presenza scenica ed interpretativa oltre a quella tecnica (spero che le stigmati sui loro piedi, create dall'attrito con il cemento, passino presto...).
Girandoci di schiena abbiamo trovato Chiara Ameglio e Pieradolfo Ciulli della Fattoria Vittadini di Milano appollaiati sui resti di alcune trabeazioni, rimaste in un angolo delle possenti mura di cinta di Venzone, dopo il terremoto di cui sopra. So close, so far è un duetto ispirato alla distanza e alla volontà di colmarla, indagando i concetti di distanza e vicinanza sempre e comunque legati da un fil rouge che tiene in costante contatto mentale e fisico la relazione tra i due danzatori
Ci spostiamo in un cantuccio nascosto ma incantevole, sotto una torre di pietra dove Laura Corradi presenta un delizioso duetto intitolato "Più forte di me" che Laura racconta meglio di me: "Difficile definire il confine tra amore e tolleranza, tra rabbia e tenerezza. Quando si sconfina, quando in due si è una cosa sola, allora lì l’altro è cosa mia e mi appartiene, lo curo come fosse il mio corpo, la mia casa, il mio giardino, e non posso farne a meno". Il gesto dei due danzatori è netto, chiaro e racconta esattamente quello che la coreografa voleva, arricchendolo di freschezza rispetto al testo che suona più maturo, grazie ai giovani corpi e ai volti espressivi di Jessica Perusi e Tommaso Cera, vestiti elegantemente ma infine irrimediabilmente macchiati dall'erba in cui si rotolano.
Nella piazza centrale di Venzone, rischiano unghie e dita dei piedi Tjaša Bucik e Patricija Crnkovič, generose nel loro non porsi limiti rispetto ad una superficie così ostica, affrontata a piedi nudi. O naš/ About us è astratto da un lavoro a serata intera e poco racconta di sé in questo contesto: allora non resta che godere della bellezza e della bravura delle due interpreti.
Ci accomodiamo nella Loggia del Municipio e, dopo il nostro ingresso, arrivano i partecipanti ad una festa di giovani senonché la terra inizia a tremare e saranno urla di terrore, di ricerca degli amici, di consigli su come salvarsi, il tutto condito da un'assieme incalzante fatto di spostamenti di gruppo ad enfatizzare il dramma che si sta consumando. Qualcuno non ce la farà ma lo si intuirà soltanto, senza inutili sottolineature e piagnistei, esattamente come i friulani seppero dimostrare e fare Silenzio è un pezzo di Diego Sinniger De Salas per Twain Physical |Dance Theatre e non lascia indifferenti anche per la generosità con cui gli interpreti (Aleksandros Memetaj, Yoris Petrillo, Caroline Loiseau, Jessica De Masi, Ugnė Kavaliauskaitė e Anne- Gaëlle Stéphant) vivono i propri personaggi. Nel terremoto di Tuscania del 1971, 31 persone persero l’opportunità di dire e fare ciò che avrebbero voluto. "Passiamo la vita pensando che tante cose si possono fare domani ma c’è solo “oggi”: dovremmo vivere il momento, viverlo fino alla fine, godendo della bellezza del sorriso di un amico e amando il silenzio di due occhi che si guardano e fermano il tempo per sempre…"
Dopo poco ci aspetta l'ultimo brano - e che chiusura! - Messaggeri — preludio, un progetto di Maria Elisabetta Novello assieme a Roberto Cocconi, Luca Zampar e Fabiana Noro. Entriamo e troviamo una ventina di uomini vestiti di nero appoggiati ai muri che formano il perimetro del palcoscenico ricavato nella loggia. Al centro una figura ieratica e vibrante si staglia: è quella di una donna elegantissima. Improvvisamente inizia a fare dei gesti che presto si comprenderanno essere gli stessi con cui dirigerà gli uomini in nero, che poi sono i cantanti del Coro Polifonico di Ruda. Ma prima Roberto Cocconi, Luca Zampar, Marco Pericoli e Andrea Rizzo condurranno drappelli di cantanti silenziosi in disegni e azioni sceniche, costruendo il pathos che raggiungerà l'apice nel momento in cui inizieranno a cantare - meravigliosamente! - due brani: Stetit Angelus di Giovanni Bonato e Lux aurumque di Eric Whitacre. Il silenzio è rotto ma la tensione no e sale fino al culmine in cui Andrea indossa due ali di metallo e diventa un "messaggero di luce in questa epoca buia". Mezz'ora volata con grande emozione e tensione.
Pubblico attento e in crescita costante spettacolo dopo spettacolo, splendida iniziativa che spero si allargherà e allungherà sempre di più.
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