Come siamo diversi e quanto sono diversi i gusti di ognuno di noi...ne ho lette di tutti i colori, quasi tutti insoddisfacenti, su questa produzione di Manon di Giacomo Puccini ma a me lo spettacolo è piaciuto moltissimo! Devo però fare una precisazione: è la prima volta che sentivo e vedevo quest'opera, quindi non avevo alcun modello pregresso di riferimento. Conosco invece bene l'omonimo balletto che riunisce aspetti sia della lettura di Massenet che di quella di Puccini. Ultimo degli ultimi che dovrebbe permettersi di parlare e giudicare (ma tanto lo faccio lo stesso ;-) ho trovato la costruzione dell'opera pucciniana poco chiara, con salti spazio temporali troppo corposi, la parte della lezione di ballo totalmente inutile e situazioni emozionali molto, troppo disparate da un atto all'altro, come se mancasse qualche pagina del romanzo originale di François-Antoine Prévost. Con questa premessa la visione del regista Guy Montavon mi è risultata chiara, congrua e logica, visto che rilegge l'opera spostandola in un immaginario contemporaneo, dove dai tavolini di un chiosco all'aperto del primo atto, passiamo ad un lussuoso salotto, poi in un surreale tribunale e infine in due camere contigue, come lo scantinato in cui alcuni pervertiti costringono le proprie vittime: una dove è rinchiuso Des Grieux e l'altra dove agonizzerà Manon. Nulla mi è sembrato gratuito o non ragionato, anche se frutto di una rilettura ardita e fantasiosa ma cosa chiediamo ad un'artista se non di rileggere, inventare e volare alto?!?
Per cui il mio bravo a Guy Montavon che realizza una regia interessante e uno splendido disegno luci, ai costumi di Kristopher Kempf, che può liberare la creatività soprattutto nella scena del tribunale (ex banchina del porto di Le Havre) dove agghinda gli amici di Geronte/Karl Lagerfeld come un'accolita modaiola in bianco e nero, e alle scene di Hank Irwin Kittel che riesce a creare spazi e volumi originali ma suggestivi con scenografie costruite di grande impatto.
L'Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste suona Puccini così bene e così naturalmente che dovrebbe pensare a cambiare il proprio nome: ineccepibile, veramente, bravi! Forse è anche grazie al gesto della Direttrice Gianna Fratta che si compie questa perfetta alchimia: a volte una donna è capace di trovare il modo di risolvere sottigliezze che sfuggono più facilmente a noi uomini...i miei più vivi complimenti per una produzione veramente esaltante da un punto di vista musicale. Lode e gloria infine a Paolo Longo che ha di fronte a sé un coro in gran spolvero che rinvigorisce e acquista forza stagione dopo stagione: i volumi acustici di tutte le masse e dei solisti facevano a gara per superarsi ma che piacere essere invasi e pervasi quando la musica è suonata bene!
Venendo ai protagonisti la Manon Lescaut di Lana Kos è notevole sul piano vocale, quanto in quello interpretativo: giovane frivola poi annoiata padrona di casa, quindi processata, condannata e sottoposta al supplizio dell'arsura...è stata credibile in ogni passaggio e in ogni singola nota, ma che brava! Spero di vederla presto in qualche altro titolo.
Roberto Aronica è stato un Cavaliere Renato des Grieux di gran pregio musicale e artistico, migliorando scena dopo scena rispetto a qualche imprecisione iniziale (poco mi è piaciuto nell'ultima scena dove, forse per richiesta registica, l'ho trovato troppo freddo rispetto a quanto stava succedendo aldilà del muro). Il Lescaut di Fernando Cisneros è stato di buon livello e Matteo Peirone un affascinante Geronte di Ravoir, con qualche appannamento vocale ma una presenza scenica inappuntabile. Bene tutti i comprimari dall'Edmondo di Paolo Nevi al musico di Magdalena Urbanowicz, da Nicola Pamio come Lampionaio e maestro di ballo e all’Oste di Giuseppe Esposito.
Teatro poco pieno ma pubblico plaudente e competente.
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