E' sempre divertente scrivere una recensione dopo la prima, quando si possono andare a leggere quelle scritte dagli altri: mai come questa volta sono in totale disaccordo. Ho letto un coro quasi unanime di disappunto per uno spettacolo irrisolto, statico e malriuscito. Come sempre dico, nell'arte c'è spazio per tutti, perché ognuno può trovare i propri estimatori e il proprio pubblico.
A me questo spettacolo è piaciuto.
Ho lavorato a lungo nel mondo della lirica ma, non essendo tecnicamente competente, posso godermi uno spettacolo con gli occhi di un neofita.
E' così mi sono guardato questo allestimento de Il Trovatore, a firma di Filippo Tonon, che ha affrontato uno dei capolavori di Giuseppe Verdi con grande rigore e pulizia visiva. Dopo la scena iniziale di Ferrando, risolta in una profonda oscurità medievale, è un balsamo per l'anima vedere il fondale sollevarsi e svelare un prato pieno di fiori, nel quale Leonora canta la grandiosa aria "Tacea la notte placida" e la cabaletta "Di tale amor che dirsi". Lo spettacolo prosegue con questa alternanza tra cupo e colonne stilizzate in acciaio, le grate della prigione,
sottolineate da tre colonne di acciaio onnipresenti sulla sinistra a simboleggiare i faggi, i sostegni del tavolo delle torture, la torre della prigione.
La regia è curata, sia per i protagonisti che sulla massa del coro, protagonista di alcune tra le più belle pagine verdiane. Io li ho trovati tutt'altro che statici, presi a comporre l'accampamento zingaro a suon di musica, a duellare, mai abbandonati a loro stessi.
Molto belli i costumi di Cristina Aceti, cui rimprovero solo il costume di una comparsa, nella scena dei voti, di un rosso che cozzava troppo con la scala cromatica di tutti gli altri, ma per il resto uno splendido amalgama, che non faceva rimpiangere la ricchezza e l'inutile sontuosità di altri allestimenti indubbiamente molto più costosi: brava!
La parte musicale è stata buona, soprattutto per la direzione musicale di Francesco Pasqualetti, che non ha costretto i cantanti a sgolarsi per superare il muro di suono dell'orchestra, creando invece un'armonia di suoni rara nelle messinscene di Verdi.
Venendo alla compagnia di canto, ciò che accomuna i due protagonisti Leonora e Manrico, rispettivamente Marily Santoro e Dario Prola, è che entrambi sono a combustione lenta, offrendo una prestazione appena accettabile nel primo quadro e portandosi a casa un più che decoroso riscontro nei tre che seguono.
Vincenti da subito per volume, timbro e presenza, il Ferrando e il Conte di Luna, interpretati da
Vladimir Sazdovski e Domenico Balzani, il cui valore è stato ampiamente riconosciuto anche alla ribalta, dal pubblico triestino.
Venendo alla Azucena di Milijana Nikolic, massacrata da quasi tutti i recensori, è stata per me una splendida interprete: poco sicura, forse emozionata nella sua aria "Stride la vampa" ma perfettamente nel ruolo e con buone capacità vocali nel resto dell'opera.
Bene e adeguati il resto dei comprimari.
Pubblico numeroso, come sempre quando si affrontano i grandi classici.
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