Locandina dello spettacolo
Punto 1: prima volta che vedo il Werther di Jules Massenet.
Punto 2: alla fine del primo atto non ne potevo più.
Punto 3: i restanti tre atti mi sono piaciuti moltissimo.
Detto ciò, devo dire che lo spettacolo mi è sembrato nel suo complesso interessante anche se tradizionale, elegante ed asciutto.
Ho molto apprezzato le scene di Aurelio Barbato, austere e incombenti, come si conviene ad un dramma di questo tipo; eleganti e perfettamente coordinati all'allestimento anche i costumi di Lorena Marin; splendidamente chiaroscurali le luci di Claudio Schmid hanno sottolineato con intelligenza il dipanarsi della vicenda.
Giulio Ciabatti si conferma, ancora una volta, un regista tradizionale, garbato e attento ad aiutare i suoi protagonisti nel rendere personaggi scomodi e inquieti come in questa opera. Ha saputo infondere leggerezza e soavità laddove era possibile, ma non ha tralasciato di sottolineare il dramma, senza calcare la mano.
Venendo alla musica, come già scrivevo, ho trovato il primo atto lento e monotono, ma ho finito con il ricredermi man mano che l'opera proseguiva: quella che mi sembrava solo una nenia è diventata un tourbillion emozionale che mi ha piacevolmente coinvolto. Nonostante sia andata in scena nel 1892, in pieno fermento verista, a me è sembrata un'opera pienamente romantica, colma dello sturmundrang che ne era il manifesto. Il libretto si ispirava a I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe, drammone che molti di noi hanno subito a scuola, nel quale si racconta tutto il disagio interiore, esteriore e la depressione di un povero innamorato, ripetuatamente rifiutato e accettato solamente dopo essersi sparato un colpo all'addome. Una delle agonie più lunghe che io abbia mai visto...
Molto di questa mio ricredermi credo di doverlo alla direzione d'orchestra di Christopher Franklyn che ha saputo dosare i suoni, senza perdere i colori, enfatizzando i momenti cruciali, arrivando a qualche clamore che la vicenda richiedeva, ma mantenendo volumi controllati e mai forzati. A parte alcuni passaggi più acuti cantati da Werther, durante i quali ho trovato il suono dell'orchestra molto, troppo forte ed ho avuto l'impressione che fosse "un aiutino" per sostenere il tenore che appariva stanco e in difficoltà. Infine, a mio modestissimo parere, nel primo atto gli archi erano troppo protagonisti, ma ho trovato l'Orchestra del Verdi in gran forma. Veramente!
Venendo ai protagonisti, metto al primo posto la Charlotte di Olesya Petrova, potente mezzosoprano, dal timbro caldo e fraseggio molto chiaro: mi è piaciuta molto la sua interpretazione e la presenza scenica, nonostante al suo primo ingresso in platea si fosse percepito qualche risolino...è vero, un certo tipo di fisicità è inadeguata a quello che dovrebbe essere il corpo di una soave, bellissima fanciulla e stiamo diventando sempre più sofisticati e pretenziosi rispetto all'immagine ed alla credibilità che ci aiuta a leggere un personaggio.
A pari merito una strepitosa Sophie interpretata da Elena Galitskaya, soprano leggero dal timbro cristallino e dalla freschissima interpretazione scenica.
L'Albert di Ilya Silchukov era al terzo posto delle mie preferenze, nonostante il suo personaggio sia tutt'altro che affabile o simpatico: vocalmente gradevole, tecnicamente sicuro, teatralmente convincente.
Il Werther di Luca Lombardo mi è sembrato molto professionale ma in continuo calo dal primo all'ultimo atto: forse stanchezza...non so. Convincente scenicamente, anche interessante vocalmente, ma proprio calante nella resa.
Bene Le Bailli di Ugo Rabec e adeguati tutti i comprimari.
Presenti e puntuali "I Piccoli cantori della Città di Trieste" diretti da Cristina Semeraro.
Uno spettacolo che, per quanto mi riguarda, mi ha fatto scoprire una nuova opera, che mi ha regalato delle emozioni e che ha conquistato la mia vista.
Teatro pieno, tanti giovani (finalmente più interessati al mondo dell'opera), applausi in crescita.
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