Arrivo al Politeama Rossetti trafelato, accaldato da una camminata veloce in questa estate ad intermittenza e non sono proprio felice che questo spettacolo si svolga al chiuso invece che all'aperto, sotto le stelle del Castello di San Giusto o in piazza Unità. Per fortuna c'è l'aria condizionata, ma sono sicuro che come me, molti altri spettatori avrebbero preferito un'altra location. Si desume anche dalle tante, troppe poltrone vuote che mi addolorano sempre quando vengono proposti spettacoli di qualità.
Però, poi, il sipario si apre sui primi otto danzatori della Parsons Dance. Ed è subito un uragano rinfrescante. Un turbine di corpi in movimento, una pioggia risanatrice di passi, un firmamento di stelle.
Danzatori che alla prima impressione sembrano dei danzatori degli anni 80 o 90 del secolo scorso: non longilinei o dotati di collo del piede a quintali come pretende la moda di oggi, ma danzatori forti, brevilinei magari, ma uomini e donne piuttosto che efebici manichini. E che piacere!!
La serata inizia con una coreografia magnifica e inaspettata per il Parsons che conosco da anni. Raffinata, delicata, giocata su linee infinite oppure rotonde, su cerchi e segmenti di linea; contemporanea, ma con echi jazz; musicalissima. Si intitola "Round my world", è stato composto nel 2012 e mi lascia sperare che sarà così anche il resto della serata: sorprendente e di ricerca.
Invece mi costringe al risveglio un quartetto, molto datato, e piuttosto insulso "Kind of blue" del 2001 che è pregno di uno stile jazz molto commerciale e poco incisivo.
Conclude il primo tempo un pezzo d'assieme brasilero, giustamente ruffiano e danzato con un'energia inesauribile: "Nascimento novo" che riconferma le doti nazional-popolari della coreografia di Parsons, tutt'altro che criticabile.
Il secondo tempo inizia con "Ebben" un duetto tremendamente kitsch con danzatore immobile o quasi (il bel Eric Bourne che ammireremo estasiasti nel brano conclusivo) ed una strepitosa Elena D'Amario che, nonostante le negative profezie di una feroce giudice di danza televisiva, di strada ne ha fatta parecchia e pure bene...collo del piede o meno, brava!
Segue il marchio di fabbrica della compagnia "Caught" che David aveva creato per sé stesso nel 1982 e che lo ha portato alla fama mondiale. Lo avevo visto molti anni fa a Spoleto, poi a Roma e continua a sortire lo stesso magico effetto su di me e su chi, forse, lo vede per la prima volta: grazie all'uso delle luci stroboscopiche e alla reazione del nostro apparato visivo, si ha l'impressione di vedere il danzatore, uno splendido Ian Spring, sospeso in aria durante gli innumerevoli salti di cui questo assolo è composto. O di vedere una serie di fotografie assolutamente perfette: mozzafiato, anche dopo 32 anni! Non mi stancherò mai di ripeterlo: i capolavori sono immortali.
Chiude la serata "In the end" coreografia corale del 2005 che strizza sempre l'occhio ruffiano al pubblico, ma che è danzata talmente bene, all'unisono e con un dispendio energetico tale che non puù coinvolgere e ammaliare.
Insomma, lo spettacolo è gradevole, scorrevole, danzato benissimo e la speranza è che David Parsons continui sulla strada intrapresa recentemente che lo ha portato, secondo il mio modesto parere, dalla strada del facile successo commerciale a quello del potersi permettere il lusso della ricerca e della sperimentazione.
Bravo Corrado! Posato e gentile come non mai. Sai suggerire senza imporre: e' una gran dote.
RispondiEliminaGrazie Denis! Mio sempre attento e partecipe lettore...
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