Ogni volta che assisto ad uno spettacolo di Wim Vandekeybus esco sempre con lo stesso quesito: perché mi è piaciuto tanto? Stavolta credo di averlo capito: mi piacciono i suoi spettacoli perché la tensione non cala mai pur con le sceneggiature dell'assurdo, del non sense, che li caratterizzano.
Cerco di spiegarmi meglio anche se temo risulterò caotico e multi tematico come lo spettacolo Booty Looting che ho visto ieri sera in un tutto esaurito Teatro Palamostre di Udine. Grazie all'attenta programmazione del Teatro Contatto, da sempre un'isola felice di innovazione nel conservativo e tradizionale Friuli, ho avuto la fortuna di poter assistere a questo spettacolo senza dovermi spostare, come minimo, a Lubiana.
La serata della Compagnia Ultima Vez si apre su un palcoscenico spoglio e pieno di materiali poveri, che sembrano quasi inutili, sui quali troneggia una fotocopiatrice. La prima persona che vediamo apparire è la sorpresa principale della serata, il musicista Elko Blijweert, che disegna un tappeto sonoro di straordinaria efficacia e presenza grazie ad un paio di chitarre e di bassi meravigliosamente e fantasiosamente suonati, sbattuti, svisati, staccati e riattaccati, giocando con il contatto della sua mano sullo spinotto dell'amplificatore che crea suoni impensabili: bravo!
Inizia il racconto di una storia che dovrebbe essere quella di Birgit Walker (un'antropologa o un'attrice del passato o l'omonima attrice che la interpreta?) o forse di Joseph Beuys (un artista americano), o forse quella di Medea, mito immortale...ma, in fondo, chi se ne frega!?! Come per le favole che conoscevamo perfettamente da bambini, ma che volevamo ascoltare sempre e ancora, con gli stessi dettagli e le stesse voci che papà o mamma ci proponevano, così pendiamo dalle immagini che Vandekeybus ci propone, talmente belle e originali che vale la pena di organizzarle secondo il nostro personale vissuto, come fosse un nostro album dei ricordi, senza darci pena di capire a cosa ogni singola azione si riferisce.
Le immagini sono bellissime, sia i tableaux vivant creati dal coreografo che le immagini vere e proprie, scattate continuamente e immediatamente amplificate su di uno schermo posizionato vicino al fondale, ad opera di Danny Willems. Ma, in effetti anche per quelle il debito verso Vandekeybus è grande: dalla scena iniziale in cui i tre danzatori maschi (di bravura ed energia incrollabile) ricordano l'installazione in cui Beuys si fece rinchiudere in una gabbia per 3 giorni con un coyote, riparandosi solo con un grosso feltro, a quella in cui si girano dei piccoli cortometraggi dietro a dei pannelli che fungeranno da scenografie, ma che impediscono la visione di cosa accade al pubblico: il senso si capirà solo attraverso l'uso della parola e delle fotografie che appariranno.
Oppure la meravigliosa sequenza in cui uno dei danzatori fotocopia il corpo di Birgit Walter, teatralmente morta, spostandolo, disponendolo, trascinandolo sul vetro della macchina e ricostruendolo su di un pannello, con i singoli fogli A4 che lo compongono; o quando Medea/Walter trucida i propri figli e ne immortala il volto sofferente e urlante con la medesima tecnica. O ancora la sequenza in cui tutti tornano bambini e giocano con qualunque cosa, richiamando l'attenzione die genitori, e rischiando le ossa, forse anche la vita, per farsi vedere forti, fighi e finalmente adulti!
Insomma immagini e suggestioni infinite e bellissime, danzatori strepitosi (su tutti Luke Jessop), due attori fantastici, un bravo fotografo e un musicista con i fiocchi: cosa volere di più?
Uno spettacolo che dovete vedere se vi piace andare a teatro e lasciarvi suggestionare, prendere spunti esterni per riflettere su voi stessi, vedere immagini che impressioneranno a lungo le vostre retine. In ogni caso andate sempre, e comunque, a teatro invece di farvi cndizionare dal quel malefico schermo di vetro colorato che avete in salotto....
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