Finalmente ieri sera mi sono sentito in Europa e non più in Italia! Al Tetro Verdi di Trieste abbiamo assistito alla prima di questa opera, che personalmente ascoltavo per la prima volta, che mancava dal palcoscenico triestino dal lontano 1871.
Il perché è abbastanza chiaro: non ci sono arie particolarmente indimenticabili - belle pagine corali sì - il tema è cupo e intriso di incesto e sesso, e si sente la transizione tra l'opera settecentesca e l'arrivo del romanticismo. Sembra quindi un po' ibrida anche se, vista nell'allestimento di ieri, si coglie tutta la modernità e la lungimiranza di una creazione che doveva risultare assolutamente scandalosa e troppo liberale per l'epoca in cui è stata composta e rappresentata. Tant'è che ha avuto fortune altalenanti, cambi di titolo e diverse riscritture.
Detto ciò, la mano, lo stile di Gaetano Donizetti è riconoscibile e già di grande levatura, pronto ad offrire al successore Verdi, una nuova struttura compositiva sulla quale impostare i tanti capolavori che ci regalerà poi il Cigno di Busseto.
Tutto questo vive e palpita nell'interpretazione di Carmela Remigio, una indimenticabile Lucrezia Borgia, animata da attimi di follia, momenti di disperazione e di amore profondo e materno, ma capace di dominare la scena anche solo con la forza espressiva del suo canto: voce possente, bel fraseggio, timbro interessante e salda tecnica belcantistica. Brava, bravissima! Veramente.
Come già scrivevo il team che Bernard ha raccolto intorno a sé tesse la rete creativa di questo allestimento con una coerenza e uno stile che restano indimenticabili. La semplice ma efficace e suggestiva scenografia ad opera di Alberto Beltrame, sottolinea ed esalta la vicenda nella linearità di due dolci collinette poste lateralmente, attraverso le quali le masse precipitano o fuggono di scena. Completa il tutto un pannello sospeso semovente che da soffitto a cassettoni, diventa pietra tombale, facciata di palazzo e baldacchino. Per non parlare della culla...ma di quella lascio a voi la scoperta, perché andrete a veder una replica, e non farete come i tanti abbonati che hanno lasciato il teatro semivuoto alla prima.
Lo stesso dicasi per i costumi firmati da Elena Beccaro: d'epoca ma modernissimi, con materiali e tinte ardite (l'abito giallo acido di Lucrezia è ancora scolpito nelle mie retine) e piccoli dettagli sbrilluccicanti a lasciare un segno. Tutto ciò è ancora più esaltato dall'incredibile e magistrale disegno luci di Marco Alba che miscela qualunque tipo di tecnologia per raggiungere il risultato voluto. I movimenti di alcuni personaggi e delle masse sono, come si usa ormai nel mondo del cinema, costruiti e arricchiti da un coreografo, qui Marta Negrini, che rendono la visione agli occhi di noi spettatori quanto più veritiera, completa e cesellata. Insomma un team di grande levatura artistica e capacità: grazie!
Venendo alla parte musicale, l'orchestra del Verdi ha sempre bisogno di riscaldare i suoi fiati, specialmente se sono i primi a suonare, ma poi recupera benissimo ed offre una prestazione di grande livello, guidata dalla bacchetta giovane ma sapiente di Roberto Gianola che, nelle note sul libretto di sala, ci spiega il passaggio di testimone tra Rossini, Donizetti e Verdi, con grande semplicità e chiarezza, dimostrando la grande conoscenza della materie e del periodo storico.
Il coro maschile guidato da Francesca Tosi è bravo, bravissimo a sembrare più ampio di quel che è, considerando anche che diversi comprimari escono dalle sue fila. La protesta sindacale che è in atto sembra volta proprio a incrementare la loro pianta organica e non possiamo che concordare, anche per avere dei volumi più importanti in occasione degli spettacoli.
Il timbro prettamente tenorile del Gennaro di Stefan Pop trapassa il suono dell'orchestra e giunge a noi chiaro, con buon fraseggio, potenza di emissione e capacità tecniche. Fisicamente ha il limite di essere molto corpulento e barbuto, aspetti entrambi inficianti le sue doti attoriali e che ci ricorda quella del giovane Pavarotti.
Sicuro, con voce chiara e tonante e anche lui dotato di buona tecnica, il Don Alfonso di Dongho Kim incanta per la crudele presenza scenica e la bella forza della sua importante voce.
Cecilia Molinari, nel ruolo en-travestì di Maffio Orsini ha una bella presenza scenica e una voce impostata e adeguata, forse un po' piccola visto che si perde nei concertati e qualche volta è coperta anche solo dall'orchestra.
I comprimari sono tali e adeguati erano.
Qualche inutile fischio all'indirizzo del team creativo, ma proprio inutile.
Lo spettacolo è di quelli belli, da non perdere, ma ormai lo avrete capito. Repliche fino al 25 gennaio
Quando ti leggo...sogno! Ed e' come essere li' accanto a te a godere di tanta bellezza.
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