Locandina dello spettacolo
E niente...io sono sempre più sloveno nei gusti operistici...volevo dirvelo.
Echissenefrega direte voi.
Ma io lo voglio ribadire perché, soprattutto chi mi legge a Trieste e dintorni, deve sapere che a 80 km di distanza dalla nostra città, ci sono degli spettacoli che hanno un respiro, delle idee, che noi manco alla Scala.
Ecco, l'ho detto.
E la mia opinione, per carità, ma andate a dare un'occhiata...
Mai ho visto un Macbeth di Giuseppe Verdi, in un allestimento più luminoso, elegante, privo di false foreste e di coriste cenciose e gobbe.
In questo spettacolo che si apre con un effetto specchio grazie agli artisti che entrano in scena alla spicciolata e prendono posto in una platea speculare alla nostra, prevale la fantasia teatrale, sfrenata e prolifica, del regista Jernej Lorenci.
Non ha freni Lorenci e passa dall'atmosfera del teatro nel teatro al settecento con dama e cicisbeo, dalla penombra alla piena luce, senza che nulla sembri mai esagerato, fuori luogo o senza senso.
Mentre in Italia andiamo ancora avanti con mastodontiche scenografie costruite, piani inclinati al limite del sovrumano, schiere di figuranti speciali, dove ci sono idee fresche e voglia di osare, bastano dei coristi (strepitoso soprattutto il comparto femminile!) e una cornice dorata. Nulla viene tradito o perso del dramma Shakespeariano ma tutto prende una piega contemporanea, nostra, che ci consente di vivere assieme agli artisti tutto quello che la narrazione dispiega.
Dovrei scrivere per ore per raccontare le tante idee, i mille spunti, le infinite suggestioni ma finirei per sminuire il lavoro di Lorenci: vi invito quindi ad andare ad assistere alle repliche di giugno e alle riprese che, sicuramente, seguiranno nella prossima stagione.
Molto lo deve anche al suo staff di collaboratori: a partire dallo scenografo Branko Hojnik, alla costumista Belinda Radulovic, dal light designer Andrej Hajdinjak al coreografo Gregor Lustek, che concorrono tutti assieme, eccellendo ognuno nel proprio campo, alla creazione di un'allestimento degno dei grandi festival e dei maggiori teatri d'opera.
E molto lo deve anche alla parte musicale.
Alla direzione eccellente di Jaroslav Kyzlink che suona Verdi come si dovrebbe con i clamori e i pianissimi; allo strepitoso coro della SNG di Lubiana che in Macbeth assume una rilevanza assolutamente protagonistica e che meritano un BRAVO infinito; e infine ad una protagonista strepitosa, una Lady Macbeth che potrebbe convincermi a rititolare tutta l'opera in Lady Macbeth, la grandissima Iveta Jirikova.
Per me che sono cresciuto a suon di Maria Callas, sentire una cantante che non me la fa rimpiangere nelle arie più celebri, che mi comunica pathos oltre alla tecnica, ha del miracoloso: a tutto ciò la Signora Jirikova aggiunge una presenza scenica di tutto rispetto che ben si abbina alle eccezionali doti di canto, di volume, colore e fraseggio.
Per contro ho trovato il comparto maschile meno esaltante.
Il Macbeth di Sinisa Hapac ha avuto un brutto inizio, un'ottima zona centrale e un finale sottotono, con una voce di buon volume ma con poco colore.
Per contro ho trovato Branko Robinšak in piena forma, con la sua bella voce tenorile e la capacità di squillare con estrema facilità.
Il resto della compagnia era assolutamente adeguata e coinvolta nella resa di questo bello spettacolo.
Teatro pieno, pubblico entusiasta: tre ore volate come se ne fosse passata soltanto una.
Benvenuti nel mio blog! Per sapere chi sono visitate www.corradocanulli.it In questi post vi racconterò la mia personale, personalissima opinione degli spettacoli che andrò a vedere a Trieste & dintorni! Aspetto i vostri commenti, ma non siate spietati come me! ;-)
giovedì 24 maggio 2018
mercoledì 9 maggio 2018
FROM BACH TO BOWIE martedì 8 maggio 2018
Locandina dello spettacolo
APPUNTI IN ORDINE SPARSO
1. sono sempre più felice di vivere in una città di provincia, lontana da certe frenesie. Nel vedere l'ansia e la velocità con la quale si muovono gli splendidi danzatori della Complexions Dance di New York, mi sono completamente riappacificato con i ritmi lenti e paciosi di Trieste
2. ammiro la capacità degli americani di fregarsene dei fisici dei propri danzatori: alti, bassi, magri sovrappeso, sproporzionati...va tutto bene, purché si muovano bene...bravi!
Un'altra lode va alla grandiosa miscellanea di razze e colori di pelle che rendono questo ensemble una gioia per gli occhi.
3. non sopporto più la moda della destrutturazione del movimento. Alcune linee, alcune posizioni della danza classica, alcuni principi della modern dance, sono talmente belli che non hanno nessun bisogno di trovare nuove chiavi interpretative. Oltretutto guardare per 46 minuti splendidi danzatori che si contorcono come vittime di coliche è irritante per me, come per la fila di anziani spettatori che avevo davanti e che ha iniziato a parlottare, come studenti all'ascolto della più noiosa delle lezioni.
4. se la musica barocca per clavicembalo e affini ad opera di Bach fosse durata anche soltanto per altri 60 secondi, avrei chiesto la perforazione dei timpani. Oltretutto accostata con un mix stilisticamente piuttosto discutibile.
5. Desmond Richardson è ancora un danzatore strepitoso e si vede nitidamente la differenza di spessore rispetto ai suoi più giovani colleghi: il suo corpo racconta un vissuto importante, sia fisico che artistico. La coreografia che Dwight Rhoden, il coreografo principale dei Complexions, gli scolpisce addosso è totalmente rispettosa delle necessarie pause per comunicare appieno quello che lo strumento Richardson sa far vibrare, in incredibile divergenza con i contorcimenti che abbiamo dovuto vedere fino all'attimo prima.
6. il teatro era bello pieno!
7. dopo l'insopportabile barocco, si sono susseguiti quattro brani piuttosto inutili e privi di anima. Per fortuna la chiusura era affidata a Star Dust, un omaggio alla musica di David Bowie che ha ribaltato le sorti di una serata tutt'altro che felice, immergendoci in un clima simpaticamente anni '80, pregno di estro e genialità tipicamente americane, kitsch ma libere da cliché e piene di fantasia!
8. sono sempre più stufo di vedere splendidi danzatori alla mercé di coreografi senza idee, di creativi che evidentemente risentono ancora della crisi di fine millennio.
APPUNTI IN ORDINE SPARSO
1. sono sempre più felice di vivere in una città di provincia, lontana da certe frenesie. Nel vedere l'ansia e la velocità con la quale si muovono gli splendidi danzatori della Complexions Dance di New York, mi sono completamente riappacificato con i ritmi lenti e paciosi di Trieste
2. ammiro la capacità degli americani di fregarsene dei fisici dei propri danzatori: alti, bassi, magri sovrappeso, sproporzionati...va tutto bene, purché si muovano bene...bravi!
Un'altra lode va alla grandiosa miscellanea di razze e colori di pelle che rendono questo ensemble una gioia per gli occhi.
3. non sopporto più la moda della destrutturazione del movimento. Alcune linee, alcune posizioni della danza classica, alcuni principi della modern dance, sono talmente belli che non hanno nessun bisogno di trovare nuove chiavi interpretative. Oltretutto guardare per 46 minuti splendidi danzatori che si contorcono come vittime di coliche è irritante per me, come per la fila di anziani spettatori che avevo davanti e che ha iniziato a parlottare, come studenti all'ascolto della più noiosa delle lezioni.
4. se la musica barocca per clavicembalo e affini ad opera di Bach fosse durata anche soltanto per altri 60 secondi, avrei chiesto la perforazione dei timpani. Oltretutto accostata con un mix stilisticamente piuttosto discutibile.
5. Desmond Richardson è ancora un danzatore strepitoso e si vede nitidamente la differenza di spessore rispetto ai suoi più giovani colleghi: il suo corpo racconta un vissuto importante, sia fisico che artistico. La coreografia che Dwight Rhoden, il coreografo principale dei Complexions, gli scolpisce addosso è totalmente rispettosa delle necessarie pause per comunicare appieno quello che lo strumento Richardson sa far vibrare, in incredibile divergenza con i contorcimenti che abbiamo dovuto vedere fino all'attimo prima.
6. il teatro era bello pieno!
7. dopo l'insopportabile barocco, si sono susseguiti quattro brani piuttosto inutili e privi di anima. Per fortuna la chiusura era affidata a Star Dust, un omaggio alla musica di David Bowie che ha ribaltato le sorti di una serata tutt'altro che felice, immergendoci in un clima simpaticamente anni '80, pregno di estro e genialità tipicamente americane, kitsch ma libere da cliché e piene di fantasia!
8. sono sempre più stufo di vedere splendidi danzatori alla mercé di coreografi senza idee, di creativi che evidentemente risentono ancora della crisi di fine millennio.