Accidenti, stavolta sarà difficile scrivere di questa opera: primo perché ero al mio debutto Britteniano; secondo perché lo spettacolo è altalenante. Ma ci provo lo stesso.
A me, nel complesso, è piaciuto e devo ammettere che sono partito parecchio prevenuto, soprattutto ascoltando l'aria di disfatta di chi entrava in teatro: "Mariuccia è uscita appena è scesa la tela alla fine del primo atto" "Io ho preso un posto di corridoio, così posso andarmene quando voglio senza fare alzare tutti" "Io ho preso un palco e mi sono fatto un caffè doppio". Ecco, non proprio incoraggiante. Però è risaputo che i frequentatori triestini del Teatro Lirico Giuseppe Verdi non sono molto amanti del novecento musicale. Sbagliano però perché "The rape of Lucretia" (Lo strupro di Lucrezia) è un'opera con dei momenti di grande bellezza e poesia musicale, che fanno di quest'opera da camera scritta da Benjamin Britten nel 1946, un piccolo e preziosissimo gioiello.
Nelle orecchie, e poi nel cuore, mi sono rimasti quella sorta di basso continuo che Tarquinio, Collatino e Giunio nella prima scena del primo atto creano impostando una nota e portandola avanti alternatamente: bellissimo! Oppure le parti più melodiche che Lucia, una delle ancelle di Lucrezia, canta nella seconda scena assieme a Lucrezia e Bianca; infine, tutti gli interventi del coro maschile. Veramente bella musica, che arriva al momento giusto per toccare le corde dell'anima.
Il libretto di Ronald Duncan è pungente e poetico al contempo e tuttora modernissimo. Ha la caratteristica di porre in contrasto la modernità, l'oggi con il passato, lo stupro di Lucrezia con la passione di Gesù Cristo, in un parallelo tanto ardito, quanto riuscitissimo.
Qualche perplessità mi resta sulla regia. Nenad Glavan in questa occasione mi convince più come scenografo: ha creato una bellissima arena mobile che, montata su carrelli, ruota intorno ad una arena offrendo scorci sempre diversi e stimolanti. Ma ho trovato ridondante e completamente inutile il solito, immancabile, abusato video che propone immagini mixate in precedenza, alternate a momenti in presa diretta che evidenziano i volti dei protagonisti o la bellissima (sic!) scena dello stupro. Non arricchisce, anzi distrae soltanto dalla scena, anche se ha una sua bellezza, esteticamente parlando, rafforzata dalla sua proporzione e posizione rispetto allo spazio scenico.
La recitazione dei protagonisti è curata, ma non convince fino in fondo: è molto più approfondita di quanto vediamo in genere nell'opera lirica, ma proprio per questo, alla fine risulta incompiuta per essere davvero credibile. Anche alcune idee sembrano buttate lì: è strano, ad esempio, che la stessa cassetta di medicinali da campo di guerra (si, tanto per modernizzare l'opera, la vicenda è spostata dall'epoca romana a quella della solita seconda guerra mondiale....basta!) resti in scena anche quando siamo a casa di Lucrezia e, come questo, tanti altri piccoli o grandi dettagli che distraggono lo spettatore dalla possibilità di immedesimarsi, di credere ciecamente alla lettura registica. Costumi adeguati, ma senza sforzo, di Teresa Acone e luci interessanti, ma poco precise.
La scena dello stupro diventa una danza, coreografata egregiamente da Almira Osmanovic, una delle più grandi danzatrici croate dei nostri tempi, che regala così alla Lucrezia di Sara Galli, un'arma in più di seduzione e di sfoggio delle proprie abilità. La Galli si muove come una danzatrice, è un'ottima attrice, ma è un soprano mentre la parte è scritta per un contralto e qualcosa non convince fino in fondo...a volte il volume, a volte il timbro: peccato. Adeguato il suo violatore, Tarquinio, interpretato dal baritono Carlo Agostini, e il Giunio di Gianpiero Ruggeri. Molto più interessanti ho trovato Lucia, una delle ancelle di Lucrezia, cantata dal soprano Nuria Garcia Arrés, dotata di bel timbro e buona tecnica, il Collatino del basso Marijo Krnic, vocalmente più interessante che scenicamente, e del coro femminile, Katarzyna Medlarska, e di quello maschile, Aleksander Kroner, entrambi precisi, con buon volume e teatralmente convincenti (perché hanno la toga solo nella prima scena? boh...)
Il Coro del lirico triestino, guidato da Paolo Vero, fa una fugace apparizione solo nel quadro finale, ma lo fa con precisione e costumi piuttosto discutibili. Bene la ridotta Orchestra che suona con grande potenza, forse troppa, guidata dal Maestro che sembra trascurare un po' l'attenzione acciocché le voci dei cantanti arrivino al pubblico con il giusto e dovuto equilibrio.
Il pubblico abbastanza presente, ha evitato l'esodo di massa nell'intervallo, come temevo, ed ha giustamente applaudito con calore Marijo Krnic e Nuria Garcia Arrés.