giovedì 30 marzo 2023

SATIRI giovedì 30 marzo 2023

 Locandina dello spettacolo 

Non è il primo spettacolo firmato Virgilio Sieni cui assito e non è la prima volta che faccio fatica a trovare le parole per raccontare quello che ci ha proposto.

Intanto condivido con voi come viene presentato lo spettacolo sul sito del teatro

“Satiri”, accompagnato dalle musiche di Bach eseguite dal vivo al violoncello da Naomi Berrill, è interpretato da Jari Boldrini e Maurizio Giunti i cui corpi in uno studio di movimento di assoluta originalità, trascolorano come in una nebulosa fatta di esplosioni fra dionisiaco e apollineo, di attrazioni e distacchi, di gesti che rispondono appieno alla poetica di Sieni, di cui gli appassionati ricorderanno l’intenso “Cantico dei Cantici” ospite al Rossetti nel 2017. La danza di questo artista, si basa sul concetto di tattilità e trasmissione fra i corpi, s’interessa alla dimensione multisensoriale del gesto e dell’individuo e approfondisce i temi della risonanza, della gravità e della moltitudine poetica, politica, scientifica e archeologica del corpo.

e nel comunicato stampa:

La danza di questo artista si basa sul concetto di tattilità e trasmissione fra i corpi, s’interessa alla dimensione multisensoriale del gesto e dell’individuo e approfondisce i temi della risonanza, della gravità e della moltitudine poetica, politica, scientifica e archeologica del corpo. I Satiri, secondo Virgilio Sieni, sanno gettare lo sguardo nellabisso dicendo sì alla vita e così, con questa pienezza, danzano Boldrini e Giunti. «Una danza per dermatoglifi - scrive Virgilio Sieni nelle sue note – che tracciano laria e una sintassi che sembra riferirsi allembrione del gesto che incontra il suo simile riconoscendolo diverso e amico. Pescano dal fondo del gesto per inscrivere forme dintesa e di empatia che si aprono a una disposizione musicale, le danze segnano lo spazio della materia inebriante che parla con il corpo. Il mondo quotidiano qui prende il largo e si separa dal gesto enigmatico che esplode tra il dionisiaco e lapollineo. Ancora una volta la danza si presta a laboratorio della vita, affronta azioni disperate, titaniche, si pone sulla soglia con atteggiamento vigile, mantico, divinatorio. Ma è essa stessa scienza dello stare, specchio di risonanze e richiami cognitivi».

Con una simile premessa, entro in Sala Bartoli e mi concentro - come prima di un'interrogazione dei bei vecchi tempi o di un esame - cercando di cogliere e comprendere quanto in premessa. Non vi nascondo quanto mi fa sentire ignorante leggere queste righe, che devo rileggerle un paio di volte per avere conferma che sono lontano anni luce dall'essere un intellettuale. In effetti, sono soltanto un blogger, uno che vuole condividere e confrontare le proprie emozioni, sensazioni, ricordi con chi vedrà o forse non vedrà mai gli spettacoli che vado a vedere. Mi dico anche che come me, probabilmente, la metà degli spettatori vive lo stesso senso di inferiorità e si interroga, alla fine dello spettacolo, per capire quanto ha capito, quanto si sente a disagio per non aver capito o quanto ha immaginato di aver capito e che invece, nel confronto con altri spettatori, risulta ancora e nuovamente un'altra lettura.

Così inizia lo spettacolo. La violoncellista si siede - la talentuosa Naomi Berrill, dotata anche di una straordinaria voce, che regala amabili melodie, cantando mentre suona - e iniziamo a percepire i corpi tesi, asciutti e vibranti di due danzatori che indossano soltanto un paio di boxer. In verità, uno dei due indossa anche una testa animale che lo fa somigliare ad una creatura mitologica fantastica, dotata di corna. I due esseri viventi si studiano, si avvicinano, si toccano, si fondono, si esplorano, si seguono. Nel mio immaginario forse si amano, si accoppiano, finché arriva il riscatto per l'animale - lo splendido Maurizio Giunti - che smascherato, sembra essere una copia dell'umano Jari Boldrini, altrettanto splendido.

Ecco, già così la mia visione sembra lontanissima da quella del coreografo e mi sento ignorante perché non ho capito quello che lui voleva raccontare. O forse il suo racconto è troppo ricco di verbo per poter essere reso attraverso il movimento. Non lo so. Ma mi sento dubbioso, inadatto e non mi fa piacere.

Ho visto 50 minuti di bella danza, che posso chiamare danza e non "movimenti per corpi secondo la moda coreografica del decennio" per cui sono felice e appagato. I danzatori erano meravigliosi, talmente unisoni da sembrare due fratelli gemelli. È stato piacere puro per gli occhi così come la musica di Bach, carezza per le mie orecchie.

Allora, forse, bastavano meno parole di presentazione. O forse bastavano parole più semplice per far sentire anche me, l'uomo comune, a mio agio con chi ne sa di più, con chi è più alto di me, e non per farmi sentire ancora più piccolo, inutile e ignorante.

Questo è.

Sala piena, pubblico plaudente per quattro chiamate alla ribalta.




mercoledì 29 marzo 2023

SLAVA'S SNOWSHOW mercoledì 29 marzo 2023

 Locandina dello spettacolo 

A distanza di quasi dieci anni non posso che ripetere e confermare quanto detto all'epoca! E non ci crederete ma anche il bambino del 2023 ha detto le stesse parole di quello del 2014....le stesse parole: incredibileeee!!

Eh si: è impossibile non ritornare bambini assistendo ad uno spettacolo di Slava....ritrovi l'innocenza dello sguardo, la gioia della sorpresa e, soprattutto, lo stupore dell'attesa! È incredibile come, nonostante la frenesia da cui siamo tutti pervasi, di fronte alla magica poesia di Slava siamo capaci di restare fermi e aspettare l'evoluzione di un gesto, di un immagine appena abbozzata, in attesa di capire cosa vuole dirci. Magico.

A parte il bambino alle mie spalle (stavolta al mio fianco) che per tutto lo spettacolo ha pronunciato frasi tipo "Impiccati!" quando il clown entra con un cappio o "'Mazite!" (in triestino: suicidati NdT) quando era trafitto dalle frecce o infine "Morimo tutti!" quando siamo stati avvolti da qualcosa che non vi racconto per dovere di suspence, per il resto siamo tornati tutti bambini, a dispetto dell'età anagrafica: naso in su a sognare, immaginare, sperare. 












Slava's SnowShow è in tournée da più di 15 anni ed ha riscosso successi ovunque. Se ne è parlato è scritto ovunque, quindi non starò a rubarvi tempo inutilmente. Non posso fare altro che unirmi al coro di plausi e approvazioni e dire che riesce a costruire delle atmosfere rare e preziose, toccando momenti di altissima poesia, specialmente quando crea e mantiene certe tensioni con l'immobilità, sciogliendole poi con un minuscolo gesto risolutivo.


Pioggia di bolle di sapone, tormente di neve, invasioni di palloni giganti, ragnatele infinite, naufragi in mari di nebbia, squali improbabili e momenti altamente poetici come quando Slava duetta con il suo stesso braccio inserito in un cappotto appeso: degno di Charlie Chaplin!


Per il resto non c'è altro da raccontare perché dovete viverlo e vederlo, andando a teatro! Veramente uno spettacolo a mio avviso da non perdere.


A proposito, genitori del bambino al mio fianco, siete sicuri che vostro figlio non abbia bisogno di fare quattro chiacchiere con uno bravo? Ma proprio bravo, eh?!?

lunedì 27 marzo 2023

IL TROVATORE sabato 25 marzo 2023

Locandina dello spettacolo 

Come sempre gli allestimenti da camera della SNG Opera in Balet di Lubiana riescono sempre a sorprendermi e conquistarmi. Si vede che i soldi da spendere in faraonici allestimenti non ci sono ma la fantasia umana - per fortuna! - ancora sì, e riesce a supplire allo sperpero, talvolta inutile, di denaro. È così anche per questo Il Trovatore, tra le opere verdiane una delle mie preferite.

In tutti e quattro gli atti, riuniti in due tempi per essere digeribili da noi, frettoloso pubblico odierno, ci sono pochissimi elementi scenografici costruiti, mentre il resto si basa sulle affascinanti videoproiezioni di Neli Maraž che suggeriscono il climax ancora più del luogo e sull'utilizzo dei ponti mobili di questo piccolo teatro magnificamente restaurato e da un punto di vista della macchina teatrale meravigliosamente attrezzato. Basta la discesa dalla soffitta di pochi pali in legno per simulare la torre, una prigione, la foresta e altro. Un finto masso a sinistra serve da trono, da nascondiglio e così via tra il suggerito e il pratico, liberi di usare la nostra fantasia per immaginare.



La regia di Yulia Roschina è debole e molto si affida alle coreografie di Ana Pandur che però - mi dispiace scriverlo visto che è il mio mondo di riferimento e vorrei sempre e soltanto scriverne bene - poco apportano alla messa in scena, sono talvolta astraenti e forse troppo, rispetto alla vicenda. La regista non scende a fondo nell'interpretazione dei personaggi, allontanandosi con forza dalla rappresentazione della verità, soffermandosi piuttosto sul fiabesco e sulla cupezza gotica. Fortunatamente è supportata da un'eccellente compagnia di canto composta quasi totalmente da artisti a tutto tondo, dotati di grande presenza scenica e che risolvono autonomamente certa staticità registica. Le scene di Vasilija Fiser e i costumi di Belinda Radulovic ben si integrano le une agli altri e vengono sottolineate dal bel disegno luci di Andrej Hajdinjak. 



Dal punto di vista musicale il livello è ottimo. A partire dalla elegante lettura del Direttore d'Orchestra Roberto Gianola, che riduce gli ottoni e i relativi clangori che tanto piacciono ad alcuni direttori, sottolineando invece i momenti più delicati e poetici. Ben condotti i tutt'altro che facili concertati. Il coro diretto da Željka Ulčnik Remic ben si adegua e risuona potente pur non essendo particolarmente numeroso. 

Tornando alla compagnia di canto metterei al primo posto la Azucena di Shay Bloch, voce ben timbrata dal volume generoso e dotata di splendida presenza scenica. A seguire l'inossidabile Branko Robinšak, che si conferma un tenore di grandissime qualità, dotato di timbro squillante e potente: il suo Manrico ha avuto qualche difficoltà nella Pira, ma glielo perdoniamo per la generosità con cui canta tutto il resto dell'opera. .Bene anche la Leonora di Elvira Hasanagić, a suo agio nel registro degli acuti anche se qualcosa della sua interpretazione non mi ha convinto completamente. Bella presenza scenica anche per il Conte di Luna cantato da Jure Počkaj che ha grande e virile volume, ma forse poca estensione vocale. Grande padronanza di mestiere per il Ferrando Saša Čano che sa risolvere qualche defaillance tecnica con estrema abilità. Bene anche tutti i comprimari. A parte Azucena e Manrico, ho avuto la netta sensazione che il resto dei protagonisti abbia avuto bisogno di scaldarsi in palco, giungendo al terzo e quarto atto con voci molto più convincenti e performanti.

Il pubblico della capitale slovena mi è sembrato poco a suo agio con l'opera verdiana, forse assente da tempo dal repertorio del teatro, e ha avuto bisogno di molta guida negli applausi, trascurando malamente la conclusione di Stride la vampa e il Sul capo mio le chiome sento rizzarsi ancor!






martedì 21 marzo 2023

ROMEO E GIULIETTA martedì 21 marzo 2023

 Locandina dello spettacolo 

Chissà quante volte Renato Zanella, veronese e coreografo di questa nuova versione di Romeo e Giulietta, avrà ascoltato, incontrato, vissuto la storia dei due infelici amanti...infinite, credo. Forse è per questo che la sua lettura è molto più incentrata sulle due famiglie che sui due poveri giovani

Il primo atto introduce la attualizzazione della vicenda, spostandola dal medioevo ai giorni nostri, e si concentra principalmente sulla famiglia Capuleti, raccontandone sfarzo, agio e potere. Zanella costruisce con intenzione i caratteri dei genitori di Giulietta e del loro clan, Paride e Tebaldo in primis, più di quanto non fa con Giulietta stessa, confinandola alla classica scena con la balia e nella presentazione al ballo. Il secondo atto, invece, è incentrato sui Montecchi, sulla loro goliardia, sulla voglia di leggerezza e di gaudio, evidenziandone un livello culturale e sociale infinitamente più semplice. Il terzo, unito al secondo, è finalmente dedicato ai due giovani amanti, pur con qualche variante di cui la più evidente è che concede loro un abbraccio lucido tra le loro morti.



Complessivamente l'operazione di attualizzazione operata da Zanella è interessante,  rendendo lo spettacolo più godibile e capace di somigliarci, nonostante la partitura mostri il fianco della eccessiva lunghezza al pubblico sbrigativo e impaziente di oggi. Tante le idee messe in campo per tenere l'interesse sempre vivo, tra le quali i Montecchi visti come atleti di scherma, l'ambiguità del rapporto tra Madonna Capuleti e Tebaldo, la festa da ballo in casa Montecchi al posto della scena in piazza, che concorrono a tenere alto il tono e lontano il dramma. 

Il terzo atto precipita in una china non preparata, cogliendoci impreparati al dramma che sta per compiersi davanti ai nostri occhi. Zanella attinge a molti stili e generi di danza, non riuscendo a trovare un linguaggio veramente suo: in questo ultimo atto cita Martha Graham e altri coreografi contemporanei, togliendo addirittura le scarpe da punta a Giulietta, secondo me forzato e inutile. Il coreografo veronese può vantare un paio di coreografie di grande successo ma, a mio modesto parere, è più a suo agio nella creazione astratta che in quella narrativa, dove inanella una quantità infinta di passi che però non sono di supporto al chiarimento della vicenda.  L'allestimento scenico di Alessandro Carnera, elegantemente fatto di tendaggi e di pochi altri essenziali elementi tridimensionali, è illuminato magnificamente da Jasmin Sehic, e aderisce perfettamente al progetto coreografico così come i contemporanei costumi di Alexandra Burgstaller che mancano però di coesione di stile. 




La compagnia della SNG di Lubiana brilla per talenti e per capacità di assieme: attenti, senza sbavature nell'esecuzione tecnica, unisoni e teatralmente presenti, sono una vera gioia per gli occhi! 

Giulietta è una deliziosa e tenera Nina Noc, convincente su tutta la linea, che dovrebbe soltanto virare l'esagerata energia del suo primo ingresso in fanciullesca spensieratezza. È affiancata da Yujin Muraishi che sciorina qualunque difficoltà tecnica come niente fosse ma che fatico a vedere come un tenero e baldanzoso Romeo, avendo lineamenti talmente orientali da rischiare l'inespressività. Non potendo citare tutti i ruoli, devo ricordare l'elegante forza interpretativa di Tjasa Kmetec come Madonna Capuleti e la virile presenza di Iulian Ermalai, assieme alla forte interpretazione di Tjasa Sarler, una Rosalinda dalle belle linee e dalla tecnica salda. Vince su tutti Lukas Zuschlag che disegna un Tebaldo capace di passare dal seduttivo all'arrogante, dal perverso al beffardo: bravo! 




L'Orchestra del Teatro Verdi guidata dalla bacchetta di Ayrton Desimpelaere avrebbe avuto bisogno di qualche altra prova ma sono sicuro che alle prossime repliche riuscirà a calarsi in una partitura per niente facile come è questa di Prokofiev.

Pubblico della prima numeroso e molto caloroso.




lunedì 6 marzo 2023

PASSI DI STELLE domenica 5 marzo 2023

Locandina dello spettacolo 

Sono uscito dal Teatro Nuovo Giovanni da Udine, dove si è svolto "Passi di Stelle" - Les Italiens de l'Opéra de Paris - con vari pensieri che vorrei condividere con voi.

Il primo è che, per la seconda volta in due giorni, mi sono fatto "ingannare" dal titolo. Per molti anni hanno girato l'Italia, soprattutto quella dei grandiosi festival estivi degli anni '80, numerose compagini di "Les Etoiles de l'Opéra de Paris". In questo caso devo aver preso un pezzo del titolo e un pezzo del nome della compagnia e ho pensato di assistere nuovamente ad uno spettacolo di etoiles. No, errore mio. Questi giovani - giovanissimi! - danzatori provengono da vari ranghi della maison francese che vanno da Quadrilles a Primi Ballerini

Pensando a l'Opéra di Parigi non si può fare a meno di ricordare che è lì che la danza classica ha prosperato: eppure, vedendo in scena i danzatori di stasera, ho avuto la netta sensazione che fossero molto più a loro agio nelle creazioni di oggi, nel repertorio contemporaneo piuttosto che in quello classico. Nei passi a due del grande repertorio cui abbiamo assistito, ci sono state svariate imprecisioni che non mi sarei aspettato da danzatori provenienti da una compagnia così importante: lift insicuri, mani a terra per salvare un atterraggio da virtuosismo non perfettamente riuscito, fouettés en tournant ma non i canonici 32 bensì un mix di questi con quelli all'italiana, oppure finiti prima del termine della frase musicale, coppie sproporzionate e così via mi hanno lasciato un po' perplesso. Tutto può succedere e sono giovani ma la frequenza di imprecisioni è stata un po' troppo alta.

Infine, certe coreografie del recente passato sono talmente cucite sul corpo di chi le ha portate al successo che è difficile vederle indossate da altri danzatori, nonostante siano passati a volte più di trent'anni. Mi riferisco per esempio a "In the middle, somewhat elevated" coreografia di William Forsythe del 1987, che dopo la magistrale interpretazione di Sylvie Guillem e Laurent Hilaire sembra danzata solo tecnicamente e senza tensione, gambe alle orecchie a parte. 

Per fortuna poi arriva "Arépo" di Maurice Bejart del 1986 che portò alla ribalta lo statuario Eric Vu An ma che qui riusciamo a dimenticare per la felina bravura, la grande tecnica e lo slancio controllato dello splendido Alexandre Boccara. Lo stesso dicasi per Les bourgeois, tipico assolo da gala, che qui esalta il piglio sicuro e la brillante tecnica di Giorgio Fourés.

Questa serata messa assieme da Alessio Carbone, a suo tempo splendido interprete di Arépo e primo ballerino dello stesso teatro parigino, ha il pregio di regalarci coreografie desuete per i nostri palcoscenici e molto ben danzate. Delibes suite, un delizioso passo a due che inizia con i danzatori di schiena e così li fa terminare, è un piccolo gioiello ad opera di José Martinez, attuale Direttore della Compagnia, pieno di tecnica e di manège interni ormai dimenticati, magnificamente danzato da Clémence Gross e dal super virtuoso Jack Gasztowtt. Così come Caravaggio di Mauro Bigonzetti che porta alla luce la bellezza e la bravura di Bianca Scudamore e Francesco Mura. La nuit s'achève è uno splendido duetto, intenso e romantico, che ben sta nelle corde di Lillian Di PIazza e Alexandre Boccara così come Arbakkin sta in quelle di Silvia Saint Martin e Antonio Conforti. Ma forse l'apice della serata è Les indomptés un duo al maschile che incanta da trent'anni e lascia la platea a bocca aperta, pronta a scatenarsi in un applauso liberatorio. Claude Brumachon lo ha composto nel 1992 raccontandolo come "Un gesto, carico di una storia indicibile, che cambia nel momento presente e, con delle amare proposizioni, offrono la visione dell’uomo nella sua complessità": Alexandre Boccara e Giorgio Fourés l'hanno saputo raccontare magnificamente con i loro corpi.

Teatro pieno, pubblico indisciplinato ma generoso negli applausi anche a scena aperta, e vivido successo generale.