Un sentito grazie va a Franco Però, direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, per aver riportato a Trieste una delle sue figlie predilette: l'operetta! Messa in scena secondo la tradizione che tanto piace ai triestini, fatta di numeri cantati, ballati, parti recitate, doppi sensi e allegria.
Essendone stato parte per un paio di decenni, devo dire che, quando ne ritorno ad essere soltanto spettatore, sento riaffiorare ricordi meravigliosi ma mi rendo anche conto di quanto sia uno spettacolo poco raffinato e nazional popolare...senza nulla togliere! E' solo una presa di coscienza...
Indubbiamente, rilette in una chiave più attuale e rivisti i dialoghi, le operette restano portatrici di melodie meravigliose e care
Venendo a La vedova allegra che sarà in scena fino a domenica 9 luglio al Politeama Rossetti di Trieste che i complessi artistici del Teatro Nazionale dell'Operetta di Budapest hanno portato a Trieste, il primo aspetto che balza all'occhio e la grande scuola e professionalità che questi artisti hanno esibito: scene e controscene senza sbavature, artisti del coro che non sbagliavano un solo passo della coreografia che gli competeva, prime parti perfettamente calate nei propri ruoli, corpo di ballo unisono e di grande bellezza, orchestra allineata ed efficace: cosa chiedere di più?
Magari più parti danzate - ma forse sono di parte - meno recitazione e una durata più contenuta.
La regia di Attila Lorinczy è tradizionale e un po' becera ma, come dicevo prima, perfettamente in linea con quello che il pubblico triestino conosceva. Mi ha parecchio disturbato l'inversione di molti numeri musicali rispetto alla partitura originale: è pur vero che siamo di fronte alla piccola opera ma se il compositore l'ha costruita in un certo modo, perché doverla stravolgere? Potremmo appendere La Gioconda a testa in giù? E poi, se proprio si vuole rivoluzionare, perché non affronatre tutto lo spettacolo e dargli una bella scrollata?
La scena di Balazs Cziegler è sontuosa e vuole stupire con LED e giochi d'acqua, ma alla fine risulta solo caotica e un po' pacchiana con una commistione di stili che riporta più a Hollywood che a Parigi. I costumi di Ildi Tihanyi sono un po' tristi e anche loro hanno poca coerenza stilistica con l'ambientazione che sembra essere degli anni '30 del secolo scorso... La coreografia di Jeno Locsei si limita ad un numero barbaro/tribale iniziale, pieno di ironia ed energia, e ad un Can Can niente più che gradevole: manca totalmente un vero e proprio numero di valzer.
Venendo alle prime parti, abbiamo avuto il piacere di ascoltare voci educate e musicali e una menzione a parte merita il Camille de Rossillon di Gergely Boncser che ha un timbro tenorile ed una tecnica di tutto rispetto. Piacevole la Hanna Glawari di Timea Vermes, adeguato il Danilo di Zsolt Vadasz, notevole la Valencienne di Anita Lukacs e deliziosamente meravigliosa la Olga di Marika Ozvald. Molto bene anche tutti i comprimari.
Un cenno a parte lo dedico agli artisti locali: non sono mai stato un fan del duo Andrea Binetti/Alessio Colautti che, in effetti, in occasione del Gran Galà dell'Operetta ho trovato insopportabili - nell'espressività Binetti e nel canto Colautti - ma hanno saputo conquistare tutta la mia stima e il rispetto al momento in cui sono stati guidati e imbrigliati da una regia...bravi!
Ineccepibili coro, corpo di ballo e orchestra. Buona la direzione dlell'accattivante musicale di Franz Lehar da parte del Maestro Laszlo Maklary.
Insomma, nonostante le mie solite pulci a tutto, uno spettacolo piacevole!